L’ex premier, scrive Federico Geremicca, “attribuirebbe a Minniti (e non solo a lui, naturalmente) un piano ben preciso: attendere la possibile sconfitta del Pd e del centrosinistra alle regionali siciliane per passare all’attacco del segretario”.
“Non farò la stessa fine di Veltroni”. Renzi ridimensiona Minniti
Il segretario Pd teme un attacco alla leadership dopo il voto in Sicilia
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OMA – La tesi è spericolata: e proprio per questo, dunque, assai suggestiva. La espongono – e qui la sintetizziamo – i soliti «ambienti ben informati». In due parole: a spingere Graziano Delrio contro Marco Minniti sarebbe stato Renzi, preoccupato dalla crescita (e dalle possibili ambizioni) dell’attivissimo ministro degli Interni. Renzi contro Minniti? Renzi contro il ministro che meglio di ogni altro sta interpretando la nuova «linea dura» in materia di immigrazione?
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La tesi, dicevamo, è ardita. Ma il silenzio rispettato nelle ultime 48 ore dal segretario di fronte alla polemica che ha contrapposto due ministri Pd, qualche interrogativo effettivamente lo pone. L’ex premier è ufficialmente in vacanza da un paio di giorni ma, raggiunto mentre cerca faticosamente di organizzare la partenza con moglie e prole, non nega uno dei suoi articolati commenti: «Cazzate». O meglio: «Minniti sta lavorando bene: ed io, del resto, non sono estraneo alla sua scelta come ministro. Quanto al mio silenzio – aggiunge – molte volte è meglio fare che parlare: e io ho lavorato perché i dissidi rientrassero. Quindi, come le dicevo, cazzate».
Sarà. Ma gli «ambienti ben informati» talvolta lo sono davvero. E aggiungono che Renzi attribuirebbe a Marco Minniti (e non solo a lui, naturalmente) un piano ben preciso: attendere la possibile sconfitta del Pd e del centrosinistra alle regionali siciliane per passare all’attacco del segretario. Copione, onestamente, non nuovo. Credibile, certo, ma non nuovo: visto che fu quel che accadde a Walter Veltroni, primo segretario del Partito democratico e costretto alle dimissioni – gli successe Franceschini… – dopo la sconfitta alle elezioni regionali sarde (febbraio 2009).
Possibile? «Intanto vediamo come va il voto in Sicilia, che certo non è un test nazionale – annota Renzi -. Per il resto, so bene che alcuni considerano le regionali siciliane come uno spartiacque, ma mi pare tutto molto fantasioso. Quando Walter si dimise mancavano quattro anni alle elezioni politiche del 2013; dopo il voto in Sicilia, invece, un paio di mesi e si scioglieranno le Camere. A cosa pensano, a una crisi di governo o a un cambio di segretario a un passo dalle urne? Senza ripetere che la segreteria non è attaccabile, visti i due milioni di votanti alle primarie…».
Matteo Renzi, dunque, inizia le sue vacanze dicendosi tranquillo: per l’oggi e per il domani. Tranquillo ma non fino al punto da rivelare da quale parte stia nella disputa Minniti-Delrio. «Sto con Gentiloni», dice. Ma mentre spiega che nell’inattesa querelle ognuno avrebbe un pezzo di ragione, non riesce a non far trasparire un qualche fastidio per alcuni atteggiamenti del ministro degli Interni. Non si tratta di obiezioni di merito, visto che «Marco è bravissimo e Pd e governo stanno con lui». Però…
Però. «Però è come se Marco cercasse costantemente la rissa con tutti: non serve, perché sta lottando come un matto, sta facendo un buon lavoro e questo gli è riconosciuto». Però. «Però non può disertare un Consiglio dei ministri restandosene offeso e in disparte nella stanza affianco». Però. «Però non può incupirsi se non gli viene detto ogni giorno che è bravo: è bravo, il codice varato per le Ong è buono e stiamo ottenendo il risultato che cerchiamo, ridurre gli arrivi sulle nostre coste».
Ma è l’ultimo però a meritare qualche attenzione, perché somiglia a un consiglio, se non proprio a un avvertimento. «Però quando si raggiungono vette alte, come sta succedendo a Marco, non bisogna farsi prendere dalle vertigini». Vertigini da successo, insomma: che possono portare a passi falsi, a puntare a mete irraggiungibili, a commettere – diciamo così – errori frutto di un eccesso di euforia…
Dovessimo operare una sintesi, diremmo: Renzi non ce l’ha con Minniti per il lavoro fin qui svolto quanto – piuttosto – per certi protagonismi che lo accompagnano. E ce l’ha, forse, per il clima di dissensi e trappole che vede consolidarsi intorno alla sua leadership (un sospetto, diciamolo subito, che non riguarda certo – o soprattutto – solo il ministro degli Interni).
Ma a sera ormai fatta – e alla fine di una evidente prova di forza – Matteo Renzi racconta di una giornata tesa ma finita bene: «Ho sentito Marco e tutti gli altri, uno per uno. Va meglio, anzi mi pare sia tornato il sereno. Si continua a lavorare tutti assieme e con profitto. E poi dicono che sono un accentratore individualista incapace di mediare…». Ride. Ma magari è solo perché le vacanze possono finalmente cominciare.
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