Il Senato boccia la mozione di sfiducia contro il ministro dello Sport Luca Lotti che parlando in aula contrattacca, dice di “non accettare lezioni di moralità” dai Cinque Stelle e accusa i suoi avversari di voler “colpire una stagione politica”. Tra i 161 voti a favore del ministro ci sono anche quelli dei parlamentari fuoriusciti da Forza Italia e vicini a Verdini. Per questo motivo secondo Marcello Sorgi si tratta di “un salvataggio che costa molto caro”.
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otti si salva grazie anche a Verdini
Bocciata la mozione presentata dai Cinque Stelle. Ma il voto di Ala imbarazza il Pd. Il ministro interviene in aula e contrattacca: “Si vuole colpire una stagione politica”
Chi s’immagina un duello vibrante, gonfio di pathos e dai toni elevati, sbaglia di grosso. Gentiloni non c’era perché impegnato a Pistoia «Capitale della cultura». Idem la Boschi. Padoan si è affacciato all’inizio ma poi, evidentemente, aveva altro da fare. Emiciclo pieno, molti sguardi per la ministra Lorenzin con spolverino giallo, per la Cirinnà tutta in rossa, per la Pelino borchiata d’oro. Proteste e ironie dai banchi Pd quando la grillina Taverna ha tirato in ballo le indennità che i senatori perderebbero se cadesse il governo. I Cinquestelle hanno messo a segno alcuni colpi facili, ma pure loro ne hanno incassati per via della Raggi, del loro codice etico e delle disgrazie penali di Grillo, che Lotti si è spinto a bollare come «un pregiudicato» (sui banchi M5S qualcuno faceva gestacci del tipo «dopo vengo e ti sistemo io»). Si è celebrato il trionfo dell’ipocrisia, Pd e M5S impegnati a rinfacciarsi la doppia morale del giustizialismo nei confronti degli avversari, e del garantismo peloso quando i pm indagano gli amici. Per cui a conti fatti non è semplice stabilire chi le abbia buscate di più. Idem per quanto riguarda l’altro duello pieno di rancore tra il Pd e quelli che se ne sono appena andati.
Come se mai fossero stati insieme nello stesso partito, il bersaniano Gotor ha consigliato a Lotti di dimettersi, o perlomeno di restituire le deleghe in campo economico. L’attacco è stato condito con velenosi riferimenti al «familismo amorale» renziano, al «groviglio di potere» cresciuto a Rignano sull’Arno, al «giro tosco-fiorentino degli “amici miei” in salsa governativa» (i leghisti, meno raffinati, hanno evocato addirittura il Mostro di Firenze). Mentre Gotor parlava, dai banchi del governo partivano sguardi carichi di odio verso l’esponente di Mdp. Ha provveduto più tardi Marcucci a bastonarlo, denunciandone «lo spirito vendicativo, provocatorio, insoddisfatto e minaccioso». Ma tanto è bastato per scatenare l’ironia di Gasparri, berlusconiano. «Eravate venuti da Firenze a miracol mostrare», si è rivolto ai renziani, «ma non avete innovato un bel tubo. Bervenuti nell’Italia di Toto Cutugno».
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