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Pd spaccato sulle riforme e Renzi offre la modifica dell’ Italicum

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Per ricucire lo strappo nel Pd, il premier Matteo Renzi propone alla minoranza di modificare l’ Italicum dopo il voto sul referendum costituzionale. Ma l’opposizione conferma il no. La sinistra del partito prepara lo scontro finale. Per Marcello Sorgi “il Pd da ieri non esiste più”.

Renzi: “Cambiamo l’Italicum”. Ma non convince la minoranza Pd

Il premier: «Nuova legge dopo il referendum. Se vogliono rompere si assumano la responsabilità». Cuperlo: senza accordo mi dimetto

ROMA – «Smontiamo l’alibi dell’Italicum, per non perdere l’occasione della riforma costituzionale». Scuro in volto, compìto in giacca e cravatta blu con un occhio che corre agli appunti scritti anziché, come al solito, parlare a braccio in maniche di camicia, il segretario-premier Matteo Renzi apre la Direzione più attesa del Partito democratico facendo la sua ultima offerta alla minoranza. A chi – come l’ex segretario Pierluigi Bersani e l’ex capogruppo Roberto Speranza – domenica ha agitato la vigilia della riunione annunciando il proprio no al referendum («della serie: la risposta è no, qual era la domanda?», ironizza), risponde ammettendo che «è compito mio cercare un punto di accordo» e avanzando la sua proposta: la creazione di una delegazione per cambiare l’Italicum. Non adesso però: «subito dopo» la chiamata alle urne di dicembre. «Siamo disponibili a farci carico di un’ulteriore mediazione» purché alla minoranza sia chiaro che «la nostra responsabilità nel tenere unito il partito non può arrivare a tenere fermo il Paese».

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omincia con quaranta minuti di ritardo, la relazione del segretario che deve finalmente affrontare, occhi negli occhi, la sua minoranza refrattaria a sostenere il referendum. Il problema, gli hanno ripetuto, è il «combinato disposto» tra legge elettorale e riforma costituzionale («due pezzi di un’unica grande riforma», insiste Speranza), motivo per cui da tempo chiedono la correzione dell’Italicum. Passandoli in rassegna con sguardo livido, lamentando che «da quando sono segretario non c’è stato un solo momento senza polemica interna», sottolineando che sulla riforma Boschi sono stati accolti 122 emendamenti e «quando si fa un compromesso si deve rinunciare a qualcosa» (se si vuole averla vinta su tutto «è fanatismo»), scopre le sue carte. Acconsente ad adottare una proposta di minoranza, la Chiti-Fornaro, sull’elezione dei senatori, e tiene a battesimo il comitato di cui faranno parte il presidente Orfini, il vicesegretario Guerini, i capigruppo Rosato e Zanda, e uno o più esponenti di minoranza, che incontri «tutti gli altri partiti» («perché, come dice Fassino, da soli non ce la facciamo») rimettendo in discussione i paletti dell’Italicum: premio alla lista, ballottaggio, capilista bloccati.

«Abbiamo fatto un passo sul sentiero, ma è solo un passo», dice Gianni Cuperlo: chiede che le parole del segretario prendano forma in una proposta del Pd, e non dopo il referendum, ma «nei prossimi giorni». Per cercare un accordo: se non sarà così, avverte l’ex presidente Pd, «voterò no», ma alle frecciate di Renzi («ci sono persone che hanno votato da tre a sei volte la riforma e poi hanno cambiato idea: ognuno fa i conti con la propria coerenza») risponde con un annuncio: se a dicembre voterà no, si dimetterà da deputato. Una frattura dolorosa, se arriva a evocare il fantasma della scissione: «Dopo, se necessario, ci divideremo».

Non bastano le «chiacchiere», per usare il termine utilizzato due giorni fa da Bersani: quello che chiede la minoranza, contestata da uno sparuto drappello di anziani militanti all’entrata del quartier generale Pd, è un impegno più concreto. Più di quanto non appaia la proposta di Renzi: al momento, il no preannunciato resta: «Io fino all’ultimo istante non mi voglio sottrarre a nessun tentativo – garantisce Speranza – ma dobbiamo dirci la verità: se vogliamo cambiare l’Italicum dobbiamo mettere in campo noi una vera iniziativa politica». Motivo per cui «la proposta che hai fatto oggi penso non sia sufficiente». Non si esprime in direzione Bersani. La minoranza non partecipa nemmeno alla votazione finale, che infatti finisce con soli voti favorevoli.

«Da oggi non c’entra più niente la legge elettorale: andiamo sul punto e chiudiamo», invita Renzi. «Abbiamo dimostrato che facciamo sul serio: adesso si assumeranno la responsabilità, se vogliono rompere. Io non posso bloccare il Paese per far contento qualcuno della minoranza», commenta a sera coi suoi. Dal palco della direzione un ultimo appello: «Da 18 anni ci chiediamo chi ha ammazzato l’Ulivo: non vorrei passare i prossimi 18 anni a interrogarci chi abbia chiuso la prospettiva del Pd».

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lastampa/Renzi: “Cambiamo l’Italicum”. Ma non convince la minoranza Pd FRANCESCA SCHIANCHI


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