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La scelta Grillo-casaleggesca su Di Maio supera la linea di confine

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La scelta Grillo-casaleggesca di puntare su una propria creatura da laboratorio, senza metterla a confronto con esponenti qualificati della società civile o anche solo con i parlamentari che hanno condiviso lo stesso percorso dell’Uomo del Futuro, segna, in modo paradossale, l’attraversamento di una linea di confine”, commenta Andrea Malaguti.

Superata la linea di confine

Ambizioso, sveglio, ben educato, persino bellino, senza preparazione, storia e idee politiche che non siano state vidimate da Grillo e rivisitate dalla Casaleggio Associati, il trentunenne Luigi Di Maio è di fatto il primo candidato premier dell’epopea vincente e opaca del Movimento Cinque Stelle. Alle sgangherate primarie grilline parteciperà anche qualche altro figurante, ma la strada è tracciata. Il «movimento-partito-spersonalizzato» diventa personale. E chi meni davvero le danze è difficile da capire.

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Indifferente all’idea di essere considerato il ripetitore automatico di voci che arrivano da stanze lontane e impenetrabili, con in tasca un diploma di liceo classico insufficiente ad archiviare il suo corpo a corpo con i congiuntivi, a chiarirgli il ruolo di Che Guevara o la distinzione tra il Cile e il Venezuela, il vice presidente della Camera, inflessibile con gli indagati che non siano lui, populisticamente tenero con gli «abusivi per necessità», si sente all’altezza di guidare il Paese, trasformandolo da «bad nation» a «smart nation» di stampo nordeuropeo, e di sedersi allo stesso tavolo di Putin, della Merkel e di Macron. Una sensazione sciocca ed esaltante, di cui Di Maio, l’Uomo del Futuro, non riesce più a fare a meno. L’autostima evidentemente non gli manca. In bocca al lupo.

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La scelta Grillo-casaleggesca di puntare su una propria creatura da laboratorio, senza metterla a confronto con esponenti qualificati della società civile o anche solo con i parlamentari che hanno condiviso lo stesso percorso dell’Uomo del Futuro, segna, in modo paradossale, l’attraversamento di una linea di confine. Perché paradossale? C’è uno che vale più degli altri. Ma, a guardare il suo curriculum, al di là della dialettica spigliata, è uno piuttosto qualunque. E’ stato scelto lui o la sua disponibilità a essere consigliato e guidato?

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Nei mesi che precedettero la rielezione di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica, i Cinque Stelle puntarono su Stefano Rodotà e Milena Gabanelli. Un modo per segnalare il distacco dalle logiche di Palazzo, affidandosi alla credibilità di candidati che di certo non si sarebbero fatti condizionare da una telefonata milanese. Ci voleva coraggio. Quattro anni dopo quel coraggio non c’è più.

È sempre stato chiaro che il grillismo, anche nella sua dimensione più ingenuamente rivoluzionaria, prosperava in virtù di una spensierata rozzezza fondata su una presunta superiorità di valori. Oggi però il Movimento 5 Stelle è un partito vero e proprio, acerbo, ondivago, apparentemente pronto a consegnare al candidato premier anche la leadership politica da sempre in mano a un estenuato Grillo, costringendo parlamentari come Roberto Fico a prendere le distanze da questa svolta al ribasso e spingendo Alessandro Di Battista (più carismatico e consapevole dei propri limiti del multiforme amico Di Maio) a non fare ombra al Candidato Unico. Addio democrazia orizzontale. Una differenza con gli altri partiti però rimane. Nessuno sa – dall’Europa allo ius soli – quale sia la visione politica (sempre che esista) del vice presidente della Camera. Così come nessuno sa – ci ha pensato ieri il Financial Times a sollevare la questione – quale sia la visione politica di Davide Casaleggio.

Per capirlo servirebbe un esperto di algoritmi applicati alla teolinguistica. Secondo il filosofo canadese Alain Denault «viviamo in un’epoca in cui si deve portare il marchio a livello di evangelizzazione», un meccanismo che la Casaleggio Associati conosce bene e che spinge diritti alla mediocrazia. Pochi invisibili guidano una massa di formiche efficienti convinte di essere libere. Per questo è stato costruito un premier in pectore abituato a cambiare opinione quando la cambia la maggioranza? Dubbio atroce. Non sarà una tardiva sindrome di Ambra Angiolini? Solo che Ambra si occupava di tv e, uscita dal sofisticato circo di Boncompagni, si è emancipata grazie al talento.

Invece Di Maio, programmato da Milano, vorrebbe occuparsi di tutti noi. Gli basterebbe che il suo ego la smettesse per un attimo di agitarsi come un ossesso per capire che non è pronto. Il Movimento 5 Stelle doveva essere il trasparente rifugio dei cittadini, è diventato una straordinaria dependance dell’enigmatico Casaleggio junior. E nessuno ci ha ancora spiegato come si sia passati da Zagrebelsky a Di Maio, senza dire per lo meno: scusate, questa è la politica e anche noi ci dobbiamo adeguare.

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lastampa/Superata la linea di confine ANDREA MALAGUTI


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