Sono ragazzi e bambini le 22 vittime dell’attentato al concerto di Ariana Grande a Manchester. A ucciderli Salman Abedi, ventiduenne nato in Gran Bretagna da genitori libici, rifugiati politici in fuga dal regime di Gheddafi. Così l’Isis, seppur indebolito in Siria e Iraq, colpisce il futuro dell’Europa strappando la vita a giovani innocenti. “E’ stato un nostro soldato – recita la rivendicazione – che ha colpito un raduno di crociati”. Si temono nuovi attacchi e Theresa May schiera l’esercito nelle maggiori città britanniche.
Barba lunga e preghiere in strada, così Salman Abedi ha trovato la jihad
Britannico di origini libiche, i genitori erano fuggiti dal regime di Gheddafi. La bomba di Manchester confezionata da un esperto. Chiodi e biglie per essere più letale
L’identikit
N
ato nel 1994 in Gran Bretagna ma figlio di profughi. I suoi genitori scapparono dal regime di Gheddafi. Come tanti altri, arrivarono a Manchester: in questa città di mezzo milione di abitanti la comunità libica conta oltre 16 mila persone, la più grande di tutto il Paese. Salman*, secondogenito di quattro figli, era ormai diventato un «nuovo britannico». Ma secondo i media locali era già noto alle autorità. «Si era lasciato crescere la barba e aveva iniziato a recitare delle preghiere islamiche ad alta voce e parlava molto in arabo», racconta una vicina ancora sconvolta per il blitz delle forze dell’ordine. Altri spiegano che era tutta la famiglia a seguire l’Islam e avevano appeso una strana bandiera rossa, bianca e nera a una finestra. «Poi i genitori, verso Natale, se ne sono andati. Forse si sono trasferiti a Londra o forse sono tornati in Libia. Fatto sta che lui è rimasto a vivere da solo in casa», spiega il 64enne Roman. Che però aggiunge: «C’era un viavai continuo di gente strana».
- Salman Abedi, la storia di un «tranquillo» jihadista libico
Era nato e cresciuto in Inghilterra. Ma non si riconosceva nella società che lo aveva accolto e fatto crescere. Guardava così alla terra di origine. Quella Libia in cui erano nati i suoi genitori e nella quale lo Stato islamico aveva e ha un ruolo importante nella guerra civile. Questo era Salman Abedi, 22 anni, l’attentatore che si è fatto saltare nel concerto che la star statunitense Ariana Grande stava tenendo a Manchester domenica sera, provocando decine di vittime.
Salman nasce nel 1994 in Inghilterra dove i suoi si sono rifugiati per fuggire alle grinfie del regime di Muammar Gheddafi. La sua famiglia vive inizialmente a Londra, prima di stabilirsi nel sobborgo residenziale di Fallowfield, un quartiere periferico a Sud di Manchester. Salman, come i suoi genitori, è un devoto musulmano. Ma, per anni, la sua devozione si limita al rispetto dei precetti religiosi. Nulla più. Anche il suo atteggiamento non è per violento. Nel quartiere, pochi lo conoscono ma chi lo conosce non ha una cattiva immagine di lui. «Era un giovane molto discreto, sempre molto rispettoso – ha detto un vicino alla stampa britannica -. Suo fratello Ismael è molto socievole, Salman era più riservato». Salman Abedi inizia anche a studiare Business e management all’Università di Salford, ma abbandona gli studi e non si laurea.
Poi la trasformazione. Forse il rancore per un’integrazione fallita. Forse motivi personali. Forse la ricerca di qualcosa di estremo. Per lui l’Islam diventa più di una fede. Si trasforma in uno strumento di riscatto. Inizia a differenziarsi dai correligionari e dai numerosi conterranei che vivono a Manchester (nella città abita la più grande comunità libica della Gran Bretagna).
L’imam Mohammed Saeed Abedi si accorge di qualcosa. Nota che Salman si è incattivito e mostra «un volto di odio». Quando la guida religiosa pronuncia un sermone che denuncia il terrorismo, Salman lo contesta. La polizia inizia a mettere gli occhi su di lui. Capisce che può essere un rischio, ma non lo arresta perché non ha commesso alcun reato.
Salman è attratto dalla terra di origine. Si reca in Libia, dove probabilmente entra in contatto con esponenti del fondamentalismo islamico. Pochi giorni fa rientra a casa. La testa piena di parole d’ordine jihadiste. E poi, il resto ormai si sa. [africarivista]
Pochi isolati più in là, intanto, è in corso un’altra operazione: le palazzine di Royston Court, al civico 30 di Carlton Road, non sono accessibili ai residenti. «Ho mia moglie bloccata lì dentro – indica Akram Raman, 45 anni – Ci hanno detto che è legato all’attacco di lunedì sera: a quanto pare hanno fatto un blitz nell’appartamento del mio vicino di casa». Dall’altra parte della via Sam, 32 anni e studente, racconta: «Non me l’aspettavo, io qui vivo da qualche anno con degli amici. È vero c’è tanta diversità culturale ma è un quartiere residenziale, tranquillo».
I timori di May
Sembra così. Ma alle volte il male sa camuffarsi bene. E lo stesso Sam a ricordare: «Sì, avevo letto sul Guardian che due foreign fighter erano partiti da qui per andare a combattere con l’Isis in Siria». Oltre 800 ne sono partiti dalla Gran Bretagna, un piccolo esercito. E le stime dicono che almeno la metà è rientrata in patria. Certo, la vicina Birmingham è considerata la «capitale britannica del jihadismo» ma anche Manchester non è immune: a inizio anno un 50enne originario della città si è fatto saltare in aria vicino a Mosul. Mentre nel 2015 dai quartieri setacciati ieri dalle forze speciali partirono due studentesse del liceo femminile della zona: le gemelle Zahra e Salma, fuggite per combattere con l’Isis in Iraq. «I terroristi non vinceranno mai. I nostri valori prevarranno sempre», ha ribadito ieri la premier Theresa May. Parlando da Downing Street, prima di arrivare a Manchester per far visita ai feriti negli ospedali, ha aggiunto che il livello della minaccia terroristica nel Regno Unito rimane alto, «equivale a dire che un altro attacco è molto probabile».
L’ombra della cellula libica
I timori di May riflettono tutti i ragionamenti di chi indaga. L’ipotesi che Salman sia un lupo solitario non regge. L’ordigno esploso – riempito di oggetti metallici, biglie e chiodi – sembra essere fatto da un artificiere esperto. Ad assemblarlo non è stato un principiante. «È improbabile che una cellula terroristica “sprechi” una persona in grado di fabbricare bombe del genere: per i terroristi sarebbe perdere una risorsa indispensabile», fanno sapere fonti dei servizi britannici. Ecco perché prende piede l’ipotesi di una cellula libica. Sembra verosimile che Salman facesse parte di un network. O almeno abbia avuto la possibilità di contare sull’aiuto di qualcuno. E i nodi di questa rete vanno cercati qui, a una manciata di chilometri dall’Arena della strage. Tra queste vie residenziali. Insospettabili fino all’altro ieri. Da oggi non più.
vivicentro.it/cronaca
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