L’insuccesso dell’azione repressiva dovrebbe richiamare la necessità di renderla migliore e più efficace, non spingerci ad alzare bandiera bianca
L’anti-proibizionismo alla Woodcock e l’insegnamento di Paolo Borsellino
C
on un impegno degno di miglior causa, il pm Henry John Woodcock si batte da tempo per la depenalizzazione delle droghe. «Leggere» avevo capito io, anche se nel suo ultimo intervento pubblicato venerdì su questo giornale la distinzione tra «leggere» e «pesanti» è lasciata quasi cadere. L’aspetto più curioso di questa polemica sono gli argomenti usati. Parrebbe di capire che lo Stato dovrebbe rinunciare al «proibizionismo» in materia di droghe perché tanto ormai ha perso la sua battaglia, e le dimensioni e la diffusione del reato sono così grandi che non vale più la pena di combatterlo. Chissà come reagirebbe Woodcock se un suo collega dicesse la stessa cosa a proposito, che so, del reato di corruzione: per quante inchieste tu faccia, la corruzione dilaga, dunque depenalizziamola. L’insuccesso dell’azione repressiva dovrebbe infatti richiamare la necessità di renderla migliore e più efficace, non spingerci ad alzare bandiera bianca. E fa specie doverlo ricordare a un campione della legalità come il pm in questione. Ma l’argomento principe dei cosiddetti anti-proibizionisti alla Woodcock è che eliminando il reato si potrebbe anche ridurre il fenomeno sociale, circoscrivendolo e soprattutto sottraendolo all’illegalità e dunque ai poteri criminali. Il ragionamento fila così: se vendere droghe è legale per tutti, le mafie perdono ogni interesse e rinunciano al business, dunque avremo prezzi più bassi, qualità più garantita e meno trafficanti e capitali sporchi.
Purtroppo le cose non stanno così. Neanche un po’. E basterebbe aver ascoltato le parole pronunciate già tanti anni fa, nel lontano 1989, da un grande magistrato come Paolo Borsellino, per comprenderne il perché: «È da dilettanti di criminologia — disse in una conferenza a Bassano del Grappa — pensare che legalizzando il traffico di droga sparirebbe del tutto il traffico clandestino: resterebbe una residua fetta che diventerebbe estremamente più pericolosa, perché diretta a coloro che per ragioni di età non possono entrare nel mercato ufficiale, quindi alle categoria più deboli e da proteggere». Poiché infatti anche i più convinti anti-proibizionisti come Saviano si affrettano sempre a precisare che ovviamente per i minori il consumo resterebbe vietato, così come del resto è vietato l’uso di alcol e tabacco, è chiaro che per i ragazzi continuerebbe ad esistere un mercato nero, ovviamente gestito dai poteri criminali. È probabile anzi che questo mercato si allarghi ulteriormente, perché la legalizzazione aumenterebbe la già enorme offerta di sostanze stupefacenti. Due ricercatrici, che hanno applicato un modello econometrico alla liberalizzazione degli spinelli, calcolano che il consumo potrebbe crescere del 50%, il che in Italia porterebbe la cifra dei potenziali consumatori a ben sette milioni di persone. «Per scoraggiare i più giovani — ha fatto notare Maurizio Ricci su La Repubblica (15/5/2017) — bisognerebbe perciò quadruplicare il prezzo con le tasse. Ma in Italia la marijuana legale a quaranta euro al grammo significherebbe a sua volta dare spazio al mercato nero», determinando la convenienza economica per il contrabbando. I poteri criminali avrebbero dunque due ottime opportunità da sfruttare: il mercato illegale degli adolescenti cui le sostanze resterebbero vietate, e l’evasione fiscale per attrarli con prezzi più bassi. Bel risultato.
A meno che l’ipocrisia degli anti-proibizionisti non sia tale che essi in realtà diano per scontato che una volta depenalizzato l’acquisto anche i minorenni finiranno per poter facilmente aggirare i divieti, come accade oggi per alcol e tabacco. Ma in questo caso non si capirebbe perché ogni volta che si schierano per lo spinello libero aggiungono poi sempre che alcol e tabacco ne uccidono di più: vogliono forse, rendendo anche la marijuana più accessibile, che ne uccida di più anche lei? Restando in tema: sono stupefatto di queste posizioni. Come si fa a non capire che se diciamo ai nostri figli che lo spinello non fa male, ma che devono solo aspettare la maggiore età per comprarlo in tabaccheria, spingiamo anche chi non lo fa a consumarlo al più presto possibile per imitare gli adulti, come avviene per lo shottino e la sigaretta? E quando Woodcock dice che il suo rimedio potrebbe «frenare la violenza» che sconvolge la nostra città, pensa forse che le baby gang che ogni settimana riducono in fin di vita un ragazzo sarebbero più miti se potessero avere meno difficoltà a reperire droghe? E quando suggerisce un parallelo tra l’Alaska o la California e Napoli; o propone la produzione della cannabis come un’«opportunità di sviluppo per Scampia e altre periferie degradate, che pure hanno maturato un importante know how nel settore», sta scherzando?
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