La disciplina della Religione nel colloquio d’esame di Terza Media. L’anomala partecipazione dei docenti di Religione all’esame la cui materia non è oggetto di prova di valutazione
di Maria D’Auria
Roma- Nel 2017 è entrata in vigore una normativa che regolamenta il ruolo dei docenti di Religione cattolica per le attività di valutazione periodica e finale nei consigli di classe e, in sede di scrutinio finale, per la deliberazione sull’ammissione (o sulla non ammissione) degli alunni alla classe successiva o all’esame di Stato. In tale deliberazione, la manifestazione di volontà del docente di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale. La norma di riferimento è il decreto legislativo n. 62/2017, articolo 2, comma 3.
A distanza di due anni, però, permane una sorta di “vuoto normativo” riguardante la regolamentazione della Religione cattolica tra le materie d’esame e il ruolo che assumono i docenti di Religione in tale contesto. Infatti, secondo questa normativa, la Religione non rientra tra le prove scritte previste all’articolo 8, comma 4, lettera c), del D.L. 62 del 2017, e non costituisce oggetto del colloquio, atteso che lo stesso, ai sensi dell’articolo 8, comma 5, del citato decreto, è diretto a valutare le conoscenze descritte nel profilo finale dello studente. Pertanto, l’insegnamento della Religione Cattolica non condiziona il profilo finale dello studente sebbene quest’ultimo abbia scelto di avvalersene per tutto l’anno. Un’incongruenza, o una chiara contraddizione, che però non vale per tutte le altre materie.
A poco serve invocare l’articolo 309 del Testo Unico in materia di istruzione, il quale si limita ad aggiungere che «in luogo di voti e di esami, la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica non è espressa in voti», e ribadisce che detta materia «non è oggetto di specifica prova e valutazione in sede di esame».
A
nche da parte del MIUR nessuna risposta. Nessuna ufficialità sulla facoltà per questi docenti di valutare gli alunni che si sono avvalsi della materia che insegnano, in sede di colloquio orale, come per tutte le altre materie.
Una “mancanza” del Ministero, un vuoto normativo che sin dallo scorso anno aveva suscitato delle perplessità da più parti, e da diverse sedi si era iniziato a sollecitare qualche intervento chiarificatore. Così, qualche giorno fa è partita un’interrogazione parlamentare volta a chiarire il ruolo dei docenti di Religione Cattolica durante le prove di esame di terza media. La risposta del sottosegretario Giuliano, che si è “limitata” a ribadire che Religione e la corrispondente Alternativa non rientrano nelle prove scritte e quindi manco in quelle orali, non ha chiarito alcunché.
Questa specie di “risposta”, in realtà non risponde per niente, in quanto si limita a registrare che nelle normative fin qui prodotte non s’è prevista per questi docenti la possibilità di valutare nel colloquio finale i propri alunni. Non tenendo affatto conto che questa “scelta-non scelta” è al contempo lesiva ed offensiva tanto dei docenti quanto degli alunni stessi. Dei docenti perché questi devono stare in commissione (ma a fare cosa? Non è dato sapere…), e pure degli alunni che contrariamente alle altre discipline che sono obbligatorie, hanno scelto di avvalersi della materia di Religione Cattolica o della Materia Alternativa.
Delusi in primis i docenti di Religione. Alcuni manifestano la delusione a denti stretti, avvolti in una sorta di rassegnazione e piegati ad una “condizione che non vede una via d’uscita”. Altri esprimono il dissenso puntando il dito contro la CEI (che mai si è pronunciata su questa “irregolarità”) o contro il MIUR. “L’attuale Ministero non vuole prendere atto di questa realtà e pare farsi scudo delle lacunose ed ambigue norme fin qui prodotte – afferma un insegnante della scuola secondaria– Si limita a ribadire che nel DL 62/2017 appunto, non si contempla affatto questa possibilità. E questo diritto/dovere dei docenti e degli alunni viene semplicemente cestinato, o peggio, non riconosciuto”.
Una scelta-non scelta ministeriale-governativa che oltretutto pare non considerare affatto le disastrose ricadute didattico-culturali-formative sugli alunni che hanno scelto di seguire questa disciplina, e di riflesso anche sui loro genitori, tutti esposti all’inevitabile fraintendimento che Religione e Materia Alternativa “non contano”. Cosa che affatto non è. Nel caso della disciplina di Religione Cattolica, essa è tutt’oggi scelta da oltre l’ottanta per cento della popolazione scolastica italiana, con buona pace di ateisti, ateofili, mangiapreti & affini, che con modalità ed espressioni non di rado dozzinali e arroganti non vogliono arrendersi all’evidenza che questa materia, oltre a non essere una replica del catechismo parrocchiale, gode di ampio gradimento nella popolazione italiana.
I DUBBI – Che sia questa scelta-non scelta del MIUR dettata dalla tattica (pseudo) politica di ingraziarsi in qualche modo un qualche appoggio o approvazione di qualche gruppo o partito? Oppure ci sono delle considerazioni di carattere economico, del tutto omesse, o forse messe sotto il tappeto: e cioè il monte ore esorbitante richiesto ai docenti di Religione che devono coprire tutti le classi finaliste?
“Una quantità di tempo inedito fino a due anni fa, un tempo senza un solo centesimo di incentivo, e che tra l’altro espone noi docenti di religione, spesso impegnati in più scuole ad orari massacranti, restando in servizio seduti dalle otto del mattino, non di rado, fino alle 22.00 o alle 23.00 della sera- conclude un docente romano– Se queste ed altre problematiche possono apparire insolubili od esorbitanti, allora si abbia l’onestà di tornare indietro, ma non si scelga di ‘non scegliere’, un po’ alla Ponzio Pilato, per fare una citazione religiosa… appunto”.
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