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Castellammare di Stabia

RIACE: per Lucano la beffa è servita e parte l’era dei trasferimenti coatti.

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RIACE. Strano paese, la nostra Italia di questi mesi: ponti d’oro per gli evasori fiscali e punizioni esemplari per chi si prodiga per la pace sociale, coniugando solidarietà ed accoglienza.

C

hi non ha pagato le tasse, ruba a noi che paghiamo fino all’ultimo centesimo, ruba alla comunità, alla crescita ed allo sviluppo, soprattutto dei più deboli socialmente. Eppure l’attuale governo quasi coccola l’evasore: infatti, indaga sulle sue motivazioni, sulle ragioni che lo hanno spinto a non pagare le tasse, dando per scontata la sua buona fede e gli si condona. Agli evasori si fanno sconti da “saldi di fine stagione” o forse, da “svendita totale”, per aiutarli a mettersi a posto. Senza sanzioni o punizioni di sorta. Anzi: agevolazioni a più non posso. Questa beffa fiscale viene  spacciata per “pace fiscale”: ma, al di là degli eufemismi edulcoranti, si chiama condono, nel più classico stile della destra che favorisce sempre i ricchi e gli evasori. Pace amen, se tutto si fermasse qui, cioè alla clemenza verso chi si trova in fallo.
Invece, la stessa clemenza o comprensione non viene applicata verso chi si azzarda solo a parlare di immigrati senza dirne peste e corna, ma si sforza di capire l’entità del fenomeno e le motivazioni umane di tanti esseri umani che hanno avuto la sventura di nascere in paesi africani, dai quali l’Europa appare quasi come un miraggio di benessere.
Esemplare, a tal proposito, il caso del comune calabrese di Riace, proprio quello lì, quello diventato famoso per via delle due stupende statue di bronzo trovate al largo delle sue spiagge nel 1972. I Bronzi che adesso si ammirano al museo di Reggio Calabria.
Ma a Riace la Storia ha bussato ancora una volta, nel 1998 – vent’anni orsono – con lo sbarco di duecento profughi dal Kurdistan che vengono accolti con umana solidarietà dai riacesi, forse perché memori di altri sbarchi, pacifici o violenti, che queste coste joniche hanno vissuto nei millenni precedenti: dapprima i micenei, e poi fenici, greci, bizantini, arabi…. Il vedere arrivare una imbarcazione con esseri umani che cercano un approdo non deve essere stata una grande meraviglia per questi calabresi rivieraschi che, ormai, hanno come codificato il senso dell’ospitalità e dell’accoglienza. Considerato che la sciagurata politica dell’ultimo dopoguerra, come sviluppo economico di queste terre baciate dal sole, nei ruggenti anni ‘60 non ha proposto altro che l’emigrazione in massa verso il “triangolo industriale” Milano-Genova-Torino, l’arrivo di quei profughi fu visto quasi come una benedizione che portava al paese nuova linfa vitale e nuova forza lavoro capace di risollevare le sorti dell’anemica economia del paese. Perché, in effetti, tanti ridenti paesi appollaiati sulle colline sono rimasti desolatamente spopolati, case disabitate ed in abbandono, per le strade si incontrano pochi vecchi malinconici in attesa del ritorno dei figli per le minime settimane di ferie estive, e giovani senza prospettive del domani, smaniosi solo di emigrare verso il “progresso” del Nord – Italia o Europa – il prima possibile.
Il sindaco Domenico Lucano, detto Mimmo, durante i sui diversi mandati ha incoraggiato in tutti i modi i nuovi arrivati a fermarsi in paese ed ad intraprendere attività artigianali ed imprenditoriali che hanno ridato vita al borgo calabrese. Al punto che l’operato dell’amministrazione comunale è stata studiato ed ammirato anche oltre i confini d’Italia ed additata come esempio virtuoso della politica dell’accoglienza e come modello da esportare e replicare per  la sua collaudata riuscita. Negli anni sono stati avviati al lavoro qualcosa come 6.000 immigrati circa. Non è poco in una terra di disoccupazione ormai endemica.
Ebbene, arrivano le lezioni del marzo scorso ed al governo “del cambiamento” la musica cambia. Il nuovo teorema che deve passare è: immigrazione uguale a delinquenza. Da ora in poi quando si parla di migranti, che siano socialmente deviati o socialmente inseriti non ha importanza alcuna. Bisogna colpire e colpire duro. Riace ed il suo sindaco Lucano entrano subito nell’occhio del ciclone. A chi glielo chiede, il Ministro Salvini dichiara che andrà a Riace quando non sarà più sindaco Lucano. Bel modo, da parte di un ministro della Repubblica, di capire la realtà complessa di un paese multiforme come l’Italia. Ma mentre sulle tasse, l’elettorato della Lega va blandito, sui  migranti bisogna tenere alta la tensione. E picchiare duro, anche sulle irregolarità amministrative senza scopo di lucro. Invece, a parer nostro, se un sindaco ha amministrato bene creando un modello di sviluppo ben riuscito, collaudato e, perfino, ammirato dall’esterno, e lo ha fatto in modo formalmente non ineccepibile, ma senza scopo di lucro, bisogna pur capirne le umane motivazioni.
Certo per esigenza di legalità – anche formale – va richiamato ed anche sanzionato. Ma poi va trovata una soluzione di buon senso, e se è il caso emettere anche una sanatoria (come per gli evasori fiscali!) ed invitarlo od obbligarlo a mettersi a posto anche dal punto di vista giuridico amministrativo. Sarebbe stata una cosa di buon senso, che avrebbe coniugato legalità ed accoglienza, senza grandi strappi o lacerazioni. Il Ministro in campagna elettorale prometteva rimpatri di clandestini a un tanto al giorno. Solo parole vuote. Si è visto che non è così facile.
Sarebbe stato più pragmatico sanare l’esistente, andando a vedere come questo sindaco calabrese aveva risolto il problema dell’inserimento attivo dei migranti evitando che i più sprovveduti potessero andare a finire nelle spire della delinquenza spicciola.
Sarebbe stato troppo saggio. Ed invece arriva il decreto ministeriale che taglia i viveri al comune di Riace ed il sindaco Lucano finisce sotto inchiesta ed agli arresti domiciliari. È cronaca di queste settimane ormai. Per la penisola si ha una levata di scudi contro tanto accanimento, che ha il sapore di una vendetta consumata fredda e con freddezza. Dal ministero, saggiate le reazioni della piazza, si fa sapere, con apposita circolare esplicativa, che i migranti riacesi non sarebbero stati trasferiti a forza, ma su base volontaria. Cioè viene concesso loro di restare perché, in effetti, tutti dichiarano che vogliono restare in quello che ormai considerano il “loro” paese. Si aspetta il Tribunale del Riesame per il sindaco, auspicando per lui l’abolizione degli arresti domiciliari. Abolizione che arriva, ma si trasforma in divieto di residenza.
Quindi revocati i domiciliari, ma inflitto il divieto di dimora a Riace, comune che Lucano amministrava da anni come sindaco e dove adesso non potrà più esercitare il suo mandato dal quale decade (legge Severino) per evitare che possa reiterare e perseverare nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (legge Bossi-Fini). In pratica deve sloggiare dal paese per cui “ha dato l’anima” per farlo rinascere ad una nuova vita plurale, fondata sull’accoglienza e sull’integrazione pacifica e, oseremmo dire, armoniosa.
E finalmente tante coscienze benpensanti si placheranno, perché giustizia è stata fatta.
Loro la chiamano giustizia, noi non abbiamo parole per definire una siffatta situazione che ha tanto del paradossale che perfino Pirandello – maestro di paradossi – ne sarebbe rimasto perplesso.
Sarebbe cosa buona e giusta – adesso – lanciare un sottoscrizione nazionale di solidarietà a favore del Comune di Riace o di qualche sua Associazione che si occupa di accoglienza e sviluppo, come hanno fatto i generosi Lodigiani nei confronti dei bambini esclusi dalla mensa scolastica.
Carmelo TOSCANO

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