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Castellammare di Stabia

Vandalizzata la statua di Viviani, lo stabiese che ha cambiato un’epoca

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Ricordando le bellezze di Stabiae, non possiamo non citare uno tra i più grandi autori del Teatro del Varietà: Raffaele Viviani. Al cui ricordo, in villa comunale, si trova un busto ora vandalizzato

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i sente parlare molto spesso di Castellammare, ma poco di chi questa città ha resa migliore: uno di questi è Raffaele Viviani a ricordo del quale, in villa Comunale, si trova un suo busto, ora vandalizzato.

Dell’atto di alta inciviltà già tanto si è letto e tanti hanno scritto per cui non vale la pena di spenderci altre parole di deplorazione se non ricordare, come direbbe Viviani: << E ce ne stanno è fatiche…>> a cui aggiungo: e quante fatiche sprecate per civilizzare certe persone ricordando che ora, sul leggio nero accanto alla statua di Raffaele Viviani non c’è più nulla. Strappata la targa con le notizie sulla vita dell’autore e, imbrattata con delle scritte, e stata gettata in un’aiuola una ventina di metri più avanti.

Nessuna segnalazione o denuncia è arrivata del raid fino a quando, ieri mattina, ad accorgersene non è stato lo studioso Angelo Acampora che così ha commentato lo scempio:

“Non ho parole per commentare un episodio tanto grave e il fatto che avvenga nell’indifferenza è ancora più allarmante. Ma quella targa è sbagliata. Occorre correggere l’errore sulla data di nascita di Viviani prima di rimetterla al suo posto. L’autore, che con Eduardo de Filippo, ha innovato il teatro napoletano è nato il 9 gennaio del 1888 e non il 10. Basta leggere il certificato di nascita del Comune” sottolinea Acampora.

Note su Viviani: vita ed opere.

Viviani nasce a Castellammare di Stabia il 9 gennaio 1888 e sin da piccolo sono note le sue doti recitative al padre, anch’esso attivo all’interno del circuito teatrale, in particolare all’Arena Margherita di Castellammare, dove recitavano i ‘Pulcinelli’ dell’epoca. Molto presto Raffaele, insieme alla sua famiglia, per motivi economici fu costretto a spostarsi a Napoli; tra mille difficoltà fondò con il padre il “Teatro Masaniello”.

Viviani debuttò sulla scena all’età di quattro anni e mezzo cantando in un teatrino di Pupi, a Porta San Gennaro, e indossando il frac di una marionetta per sostituire Gennaro Trengi, tenore e comico, ammalato.

Ben presto, ebbe anche una duettista, Vincenzina Di Capua. A sei anni recitò in un dramma in prosa: Masaniello, nel primo Teatro Masaniello gestito dal padre. Inoltre, recitava e cantava anche canzoni come ‘O mariunciello e I figli di nessuno, in duetto con la sorella Luisella.

All’età di dodici anni, nel 1900, rimasto orfano del padre, Raffaele insieme con la sorella Luisella fu costretto a lavorare per vivere. Furono anni di lotta ininterrotta contro la fame e la miseria.

A quattordici anni, fu scritturato in un circo equestre, il Circo Scritto, per recitare la parte di Don Nicola nel famoso contrasto settecentesco la Canzone di Zeza. Convinto di non saper fare altro nella vita se non recitare, da questo momento inizia a fare il giro delle compagnie di circo e dei piccoli teatri di periferia. In seguito recitò da Felice (tradizionale ruolo comico) con il Pulcinella Giacomo Sportelli.

All’età di quindici anni fu scritturato, come artista di Varietà, dalla compagnia Bova e Camerlingo, insieme con la sorella Luisella, per una tournée in Alta Italia.

A Napoli, nel 1904, fu scritturato dal Teatro Petrella, dove interpretò per la prima volta lo Scugnizzo, una macchietta scritta da Giovanni Capurro e musicata da Francesco Buongiovanni, che Viviani aveva ascoltato al Teatro Umberto I, interpretata da Peppino Villani. L’interpretazione offerta da Viviani fu straordinaria.

Dopo ‘O Scugnizzo, nacquero una dopo l’altra, quelle caratteristiche figure di tipi partenopei che sono indimenticabili e straordinari successi del teatro di Viviani: Il trovatore‘O mariuncielloMalavitaIl mendicante‘O tranviere‘O sciupatore‘O cocchiereIl professore‘O sunatore ‘e pianino.

In questi numeri e macchiette, da lui create, mise a punto uno stile personale in cui l’arte della deformazione e della caricatura era temperata da una vena di sentimentalismo e di realismo.

Nel 1906, all’Arena Olimpia, Viviani, esordì con una macchietta composta da lui intitolata Fifì Rino, dando il via a quel marionettismo istrionico, ripreso in seguito da Nino Taranto giovane e soprattutto da Totò. Inoltre, sempre in quell’anno, si esibì nei caffè, gelaterie, concerti musicali e teatri dell’Italia settentrionale.

Nell’estate del 1907, tornato a Napoli, lavorò negli stabilimenti balneari, dove si esibì cantando con altri artisti.

La scrittura all’Eden, per Viviani, fu di particolare importanza: significava l’affermazione.

All’Eden debuttò, presentando sei melologhi di ispirazione realistica.

Il debutto fu salutato dal pubblico in maniera straordinaria; quella sera mise fine alla sua miseria. Con l’Eden di Napoli, chiuse il ciclo della fame. La sua carriera a questo punto può dirsi definitivamente avviata.

Nel febbraio del 1911, fu scritturato per il Fowarosi Orpheum di Budapest con l’impiego di rappresentarvi per un mese le sue macchiette.

Fece una specie di rassegna dei suoi tipi più pittoreschi, tra cui Il pescivendolo e la Festa di Piedigrotta.

Al ritorno da Budapest fu scritturato dalla Sala Umberto di Roma ed ottenne un grande successo, al punto da contenderlo ad Ettore Petrolini.

La tournée in Francia non felicissima ed i provvedimenti governativi successivi alla disfatta di Caporetto, nel 1917, lo spinsero a compiere il passaggio dal Varietà al teatro vero e proprio. Pertanto, Viviani organizzò una Compagnia di prosa e musica che debuttò al Teatro Umberto I di Napoli, il 27 dicembre del 1917, con l’atto unico (versi, prosa e musica) Il vicolo.

Raffaele amava come pochi la sua città: ne aveva appreso, nel corso del tempo i modi, le abitudini, i costumi e le usanze. La sua profonda povertà incise molto sulla sua formazione teatrale: Papiluccio, così chiamato da piccolo, portava in scena la semplicità.

E’ questa la parola adatta per descrivere Raffaele Viviani: SEMPLICITA’.

Come ricorda nel suo romanzo Dalla vita alle scene. Il romanzo della mia vita: <<Non mi fisso sempre una trama, mi fisso l’ambiente; scelgo i personaggi più comuni a questo ambiente e li faccio vivere come in questo ambiente vivono, li faccio parlare come li ho sentiti parlare [ ] >>

Quella che vive nel teatro vivianeo è la gente umile, fatta di pensieri semplici e di parole semplici. La drammaturgia è un riflesso della sua epoca, della sua società che mette in scena i personaggi teatrali fissi, quelli appartenenti a delle categorie umane specifiche.

Come Verga, non citato a caso vista la corrispondenza cronologica e l’ascendente meridionale su entrambi, Papiluccio fotografa la verità, quella che ha visto con i suoi occhi, respirato con la sua bocca e toccato con le sue mani tra i vicoli di Castellammare e di Napoli.

A questo punto è doveroso citare le sue grandi opere ma, prima ancora, mi piace riproporre, invitandovi ad ascoltarla, una tra le sue opere: Fravecature (ASCOLTA)

1917
Il vicolo (Commedia in un atto)
1918
Via Toledo di notte (Commedia in un atto)
1918
Piazza Ferrovia (Commedia in un atto)
1918
Scugnizzo – Via Partenope (Commedia in un atto)
1918
Scalo Marittimo (Commedia in un atto)
1918
Porta Capuana (Commedia in un atto)
1918
Osteria di campagna (Commedia in un atto)
1918
Piazza Municipio (Commedia in due atti)
1919
Borgo Sant’Antonio (Commedia in due atti)
1919
Caffè di notte e giorno (Commedia in un atto)
1919
Eden Teatro (Impressioni in due atti)
1919
Santa Lucia Nova (Commedia in due atti)
1919
La Marina di Sorrento (Commedia in un atto)
1919
Festa di Piedigrotta (Sagra popolare in due atti)
1920
La Bohème dei comici (Commedia in un atto)
1920
Lo sposalizio (Commedia in due atti)
1921
Campagna napoletana (Commedia in due atti)
1922
Circo equestre Sgueglia (Commedia in tre atti)
1922
Fatto di cronaca (Commedia in tre atti)
1923
Don Giacinto (Commedia in un atto)
1924
La figliata (Commedia in due atti)
1925
I pescatori (Dramma in tre atti)
1926
Zingari (Tragedia in tre atti)
1926
Napoli in frac (Commedia in tre atti)
1926
L’Italia al Polo Nord (Commedia in in due atti)
1927
Tre amici, un soldo (Commedia in tre atti)
1927
Putiferio (Commedia in tre atti)
1928
La festa di Montevergine (Rappresentazione in tre atti)
1928
La musica dei ciechi (Commedia in un atto)
1928
Vetturini da nolo (Commedia in un atto)
1928
La morte di Carnevale (Commedia in tre atti)
1929
Nullatenenti (Commedia in tre atti)
1930
Don Mario Augurio (Commedia in tre atti)
1930
Il mastro di forgia (Commedia in tre atti)
1932
Il guappo di cartone (Commedia in tre atti)
1932
L’ultimo scugnizzo (Commedia in tre atti)
1933
I vecchi di San Gennaro (Commedia in tre atti)
1933
L’ombra di Pulcinella (Commedia in due atti)
1933
L’imbroglione onesto (Commedia in tre atti)
1935
Mestiere di padre (Commedia in tre atti)
1935
L’ultima Piedigrotta (Commedia folkloristica musicale in tre atti)
1936
Quel tipaccio di Alfonso (Commedia in un atto)
1936
La tavola dei poveri (Commedia in tre atti)
1937
Padroni di barche (Commedia in tre atti)
1939
La commedia della vita (Commedia in tre atti)

Muratori (Commedia in tre atti)

I Dieci Comandamenti (Decalogo in due tempi)

Per chiudere, un consiglio:

Quando giriamo per la nostra città, pensando ai problemi, alla tristezza del quotidiano prosciugato dalla bellezza ed invecchiato di speranze, ripensiamo a Viviani, quello che dalla tristezza ha fatto nascere l’arte.

Redazione Campania

 

 


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