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el 2011 fu picchiata e violentata dal padre. La Procura di Termini ha chiesto 8 anni di carcere per il padre e 2 anni per la madre
Violentata dal padre a 15 anni perché lesbica, la Procura chiede la condanna dei genitori
La Procura di Termini imerese (PA) ha chiesto 8 anni di carcere per il padre e 2 anni per la madre della ragazza. Il processo per maltrattamenti, stalking e abusi e per l’uomo anche per violenza sessuale su minore, si sta svolgendo con il rito abbreviato*.
La vittima sarebbe stata “castigata” nel 2011 quando prima la sorella e poi gli altri avrebbero scoperto il suo orientamento sessuale. Doveva essere una punizione esemplare contro la figlia omosessuale: prima picchiata, poi chiusa in una stanza e infine stuprata da suo padre.
Una vicenda spaventosa per la ragazza all’epoca appena quindicenne. La prossima udienza si terrà a giugno.
La violenza contro la vittima da parte dei suoi parenti sarebbe scattata nel momento in cui era stato scoperto il suo orientamento sessuale, attraverso alcuni messaggi trovati sul suo cellulare. A leggerli per prima sarebbe stata la sorella della vittima, che poi avrebbe raccontato tutto ai genitori.
“Meglio morta che lesbica” avrebbe urlato la madre alla ragazzina, prima di chiuderla in camera, dove sarebbe stata anche stuprata dal padre.
La giovane ha denunciato quanto le sarebbe accaduto soltanto nel 2016 dopo la maggiore età, raccontando qualche anno dopo la sua vicenda al quotidiano la Repubblica “Vennero a prendermi a scuola e mentre eravamo in macchina mi davano botte dappertutto”.
Una volta rientrati nella loro abitazione, il padre si sarebbe spogliato e avrebbe detto alla figlia “Queste cose devi guardare, non le donne” e l’avrebbe violentata.
“Ho tentato il suicidio tre volte – ha aggiunto – ma dopo l’ennesimo abuso sessuale sono scappata e li ho denunciati, ero appena diventa maggiorenne”.
“Mi tagliavo i capelli e vestivo maschile – ha continuato – Quando hanno scoperto che ero lesbica, mi hanno picchiato in testa, sulle gambe, mi davano botte dappertutto”.
Dopo l’abuso da parte del padre, i genitori avrebbero mandato un sms identico a tutte le sue amiche “Buttana, lascia stare mia figlia” e poi avrebbero distrutto il telefonino.
“Ero ormai a un bivio – ha riferito la giovane – o la vita o la morte. E ho scelto di vivere e di denunciare i miei genitori”.
La ragazza sarebbe fuggita diverse volte da casa ma poi rintracciata dai genitori, pare, su segnalazione dei compaesani e nuovamente chiusa in casa.
Una volta fatta la denuncia per qualche tempo la ragazza era stata trasferita in una comunità protetta.
“Adesso – ha spiegato la giovane – è importante raccontare questa storia, perché tante altre ragazze che vivono situazioni simili alla mia non si scoraggino, non pensino mai di farla finita. Racconto perché anche loro trovino il coraggio di denunciare”.
Oggi la vittima è parte civile nel processo con l’assistenza dell’avvocato Giuseppe Bruno.
Il difensore degli imputati, l’avvocato Giuseppe Mancuso Marcello, aveva chiarito che “più volte e davanti a diversi Giudici è stata confermata la nostra tesi relativa all’inattendibilità della ragazza e l’assenza di elementi certi in relazione alla responsabilità penale dei genitori per i gravissimi fatti di cui sono accusati”.
* Il rito abbreviato, o giudizio abbreviato, è un procedimento penale speciale previsto dall’articolo 438 del Codice di procedura penale. Questo procedimento prevede che l’imputato possa chiedere al Giudice di rinunciare alla fase di dibattimento in cambio di un considerevole sconto di pena.
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