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Castellammare di Stabia

A Vestone la cultura del farsi prossimo: una sfida lanciata e accolta (Andrea Barretta)

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Con l’Associazione “Via Glisenti 43” di Vestone e la Cooperativa Co.Ge.S.S.

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i è conclusa con una mostra a Vestone la serie di incontri che ha messo a confronto il mondo dell’arte e quello dei diversamente abili. L’ambito è stato il progetto “Includere è un’arte”, con artisti chiamati ad essere imitazione e sequela nel testimoniare vicinanza e sintonia con chi ha più bisogno, ed esprimere la semplicità verso la ricchezza interiore maturata nel disagio, nella percezione di una festa della vita come prova d’esistenza.

La sede è stata l’Associazione “Via Glisenti 43” di Vestone, in provincia di Brescia, diretta da Gianfausto Salvadori, in un progetto con il contributo di Sergio Monchieri mentre, a tenere gli onori di casa, la presenza di Giovanni Parco Zani che ha coordinato i volontari della Cooperativa sociale onlus Co.Ge.S.S., presieduta da Angelo Tosana, con i quali è nata la collaborazione.

L’idea si è concretizzata nell’attivare un’officina creativa nella prospettiva di dare forma a un’esperienza solidale.

Così, per sedici mercoledì da febbraio a giugno, ventotto artisti hanno approntato una sorta di laboratorio e hanno realizzato, insieme agli ospiti diversamente abili, un’opera poi esposta insieme ai lavori dei disabili che al mattino e al pomeriggio si sono alternati nelle sale di “Via Glisenti 43”. Infine, la possibilità di acquistarle in un’asta di beneficenza il cui ricavato andrà a sostenere nuovi piani di inclusione sociale della Co.Ge.S.S., come altri già attivati tra cui la gestione a cura di propri assistiti di locali pubblici come i “Non solo bar” di Lavenone e di Serle.

Quante volte, soprattutto nei momenti difficili ci soffermiamo a interrogarci in silenzio su quel programma di vita che vorremmo ma non sempre abbiamo. Quante volte lo abbiamo chiesto a noi stessi ma altrettante volte ammettiamo che non sappiamo capire la felicità di chi ha poco e procura gesti d’interessamento nel riuscire a vedere quanto molti non vedono. E’ un dono, allora, la disabilità che dà la forza di condividere la gioia senza nulla in cambio che non la generosità di un affetto istantaneo, carico di emozioni nell’affermare l’amore come valore contagioso. Tant’è che la partecipazione s’è allargata ad alcuni convitati come la locale scuola d’infanzia, la “Cooperativa Sociale La Rete”, e altri artisti che hanno voluto fermarsi in una disposizione solidale. Non solo.

A dare attestazione di amicizia c’è stato l’aiuto dell’Associazione Artisti Bresciani, presieduta dal giornalista e  scrittore Massimo Tedeschi succeduto a Dino Santina proprio nel periodo degli incontri, e di Sabrina Paola  Tengattini nel dare adesione tangibile. Inoltre vanno citati i patrocinatori: Fondazione Vittoriale degli Italiani,  Garda Musei, Unione Cattolica Artisti Italiani, Associazione le Stelle, Rotary Club Valle Sabbia, Comunità Montana Valle Sabbia, Fondazione di Partecipazione StefyLandia.

La parola d’ordine è stata “interagire”, in uno spazio condiviso di riflessione e creazione in cui l’attività dell’artista, insieme alle persone con disabilità, ha potuto giungere alla materializzazione di concetti nati da uno spunto comune nel praticare l’arte come abbattimento di barriere sia mentali che materiali nei confronti di chi o cosa è altro da noi, un altro degli scopi della Co.Ge.S.S., prospettati dalla coordinatrice dell’attività sociale, Alessandra Bruscolini, nell’illustrare l’aspirazione di rinnovare il pensiero comune e i servizi a favore delle persone svantaggiate, e operare a prescindere dalle abilità caratteristiche per dare a tutti la facoltà di vivere in uno stato di benessere sociale e psicologico.

Ecco, dunque, che le risposte sono state visibili e vivibili, in giornate indimenticabili che hanno guidato alla qualità e condizione di ciò che si è, nel ritrovare l’onore nella scoperta reciproca di aver avuto accanto persone disposte a comprendersi. A queste consapevolezze, e non ad altre, ha mirato questo proponimento: per pronunciarsi, per raccontarsi, per proporre a chi si isola per scelta, ad aprirsi per capire l’handicap che non ha bisogno di essere giustificato. Allora, questo “includersi” a vicenda è stato il contributo che si è inteso offrire come esempio di civiltà in un’assemblea corale in “Via Glisenti 43”, che fa onore alla stessa comunità locale e che ha visto insieme le componenti di quella collettività che risponde a un invito, che ascolta e partecipa, e che non resta cieca e sorda al richiamo di quanti operano con sacrifici alla cura e all’ospitalità.

Un esempio che non va disatteso. L’inizio di un cammino avendo come dimostrazione un’associazione culturale e una cooperativa con persone schive e riservate in servizio volontario e non solo, come solo chi ha l’accezione del prossimo può esserlo, come solo chi sa mostrare l’alternativa dialettica della solidarietà nella direzione di chi l’ha persa. Verso certa politica che evidenzia la dicotomia dell’annuncio del fare con azioni che suscitano perplessità nel non procedere a nulla in aiuto, nel ridurre l’accettazione dell’altro, del diverso, a morale sbrigativa, soprattutto nei confronti dei disabili adulti. Questi ultimi, infatti, si ritrovano spesso in una situazione di privazione dei servizi offerti dal sistema sanitario e rischia di cadere in un processo di regressione che li allontanano dall’acquisizione o dal perfezionamento di nuove abilità che gratifichino, portando ad un buon livello di autonomia e competenza.

La scelta, qui e sempre, invece, dovrebbe essere quella di una lettura di storie personali che rappresentino una  visione di avvicinamento nel rilevare la capacità dell’individuo di ritrovare se stesso in una società in cui si pensa  all’handicap come a un settore che non dà ma che chiede assistenza, mentre il cambiamento – non ancora totale ma molto è stato compiuto se non avviato – è nell’orizzonte di un sistema socio-culturale con i disabili componenti attivi. Certo non esiste un profilo, ma tanti profili, ognuno con il proprio vissuto e il proprio modo di essere, cui va offerta una relazione con quanto è nelle loro potenzialità, per integrarsi in maniera autentica, per scoprire insieme risorse, valorizzarle e contribuire a svilupparle, facilitando quel percorso di crescita che porti ciascuno alla piena costruzione e alla percezione consapevole del proprio sé.

Un presente da essere vissuto se conduce verso una meta così grande da giustificare la fatica del cammino, perché la civiltà di un popolo si misura dalla sua forza di servire la vita, e perché una società che desse spazio solo a chi è del tutto autonomo e indipendente, non sarebbe degna dell’uomo, per quanto c’è di straordinario nei diversamente abili e che vale la pena di scoprire.

Tutto qui il senso di queste giornate, e non è poco. L’Associazione “Via Glisenti 43” ha inteso allontanare le discriminazioni, per scelte fatte non in base all’efficienza ma in relazioni autentiche nelle quali poter essere  riconosciuti come persone nel modello che possa suscitare l’impegno concreto di mantenere l’itinerario segnato dal nessuno escluso, per arrivare a qualcosa di buono, aiutati anche dall’arte.

Per questo in “Via Glisenti 43” tutti si sono sentiti parte di un’avventura: un cuor solo e un’anima sola, mentre  palpitanti mani hanno disegnato e colorato la felicità di esserci e a dire: “Ecco, ci siamo…”, siamo con te, nel  germoglio radicato nel messaggio che chiama la carità come forma incline alla vita associata, che spinge a farsi  carico nel restare edificati dalla fraternità che ha animato ogni ritrovo.

Non sorprende, dunque, l’incarnarsi del seme che dà speranza, ed eccoli, seduti intorno ai tavoli, personaggi in  prima fila, scomposti nei movimenti ma sempre con un sorriso, ed ecco più indietro una ragazza che alza le braccia quasi a voler toccare la nuvola che vuole riprodurre dai suoi pensieri, e tutti hanno il volto che s’illumina quando sentono di essere stati bravi, come quando odono la voce della mamma o quella di un fratello. E d’incanto tutto intorno scompariva, non esisteva più nulla, perché non si è mai visto niente di così limpido.

C’è sicuramente molta retorica intorno all’handicap e spesso si dimentica la realtà, quella di tutti i giorni, per  ribadire che di diversamente abili è bene parlarne sotto l’aspetto della quotidianità e non per momenti sporadici.

E’ bene asserirlo senza usare luoghi comuni, senza quel pietismo che imbarazza sia chi lo pratica sia chi ne è il  destinatario. Ma come vincere stereotipi e ipocrisie quando il disabile non ha pari rispettabilità con le diversità che ognuno di noi riveste rispetto all’altro, quando sul concetto di “persona” non s’investe e la coscienza di una propria equivalenza è relegata nella separazione dagli altri?

Quando assumiamo passivamente il relativismo pervasivo, il risultato è lo svuotamento della coesione sociale in cui un approccio con i disabili incontra non poche difficoltà. Non tutti, lo sappiamo, possono accedere ad abilità professionali, ma non per questo vanno abbandonati piuttosto che spronati ad acquisirle, con rendiconti che costituiscano il fulcro di un capitale umano attivo e consapevole, quando per indirizzo sociale e lavorativo, nonché per la frequentazione scolastica, s’intende la possibilità di un inserimento che tenga conto dei suoi requisiti fisici e mentali. Pertanto è fondamentale influire in maniera autentica, per scoprire insieme queste risorse, come fa la Co.Ge.S.S. che da circa vent’anni ne affronta lo scopo, nel principio della riabilitazione, nel riconoscimento di tutte le espressioni, e dà risposte alle famiglie nell’ansia del pensare al “dopo di noi?”, nell’aiuto per uscire dalla paura dell’incertezza.

Ogni occasione, come questa di Vestone, va colta come consapevolezza, perché il molto sarebbe niente senza il poco di tanti. Perché lo dobbiamo a quanti soffrono, come per le beatitudini che ne mostra il cammino, quando per nove volte c’è una lode a coloro che sono in difficoltà, i poveri, gli umili, i miti, i perseguitati. Per nove volte, allora, diciamo grazie all’Associazione “Via Glisenti 43” e alla Cooperativa Sociale Co.Ge.S.S., che con “Includere è un’arte” hanno esteriorizzato la stessa prossimità, in giornate in cui c’è stata la volontà di sconfiggere l’indifferenza nell’impegno costante per un orizzonte più sereno e, nel contempo, il creare un contesto di aspettative realistiche nel prendersi cura in risposta ai bisogni del farsi carico nella sua globalità.

Crediamoci, ed è questa la sfida da lanciare, consapevoli che questa cultura sia raggiungibile con interventi di  sostegno familiare e la partecipazione allo sviluppo dei servizi educativi e terapeutici disponibili, senza fare  confusione su Stato sociale e Stato assistenziale. Perché si giocherebbe sulle parole a danno sempre dei più deboli, e si ritarderebbe l’attuazione di un circuito comune in cui i disabili possano essere trattati con dignità, e sostenere l’attività, la ricerca e le iniziative degli enti e delle istituzioni che vi si dedicano.

Andrea Barretta

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