L’uomo morto in ospedale dopo aver trascorso parte della notte in caserma. La donna pubblica un video su Fb: “Una cosa indegna”
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Un clochard sporco e puzzolente”. Così è stato definito in aula Giuseppe Uva, l’uomo morto all’ospedale di Circolo di Varese nel giugno del 2008 dopo aver trascorso parte della notte nella caserma dei carabinieri che lo avevano fermato ubriaco per strada. “Un clochard sporco e puzzolente” che “viveva di espedienti”, lo ha chiamato l’avvocato Luciano Di Pardo, del collegio difensivo dei due carabinieri e dei sei poliziotti imputati per omicidio preterintenzionale, nel corso della sua arringa davanti alla Corte d’Assise di Varese.
In un passaggio del suo intervento, il difensore si è soffermato sull’ipotesi che Uva avesse avuto in passato una relazione con la moglie di un carabiniere. “Si è trattato di una spalmata gratuita di fango sull’onore di una famiglia – ha sottolineato – come si può pensare che una donna sposata possa tradire il marito per un clochard sporco e puzzolente?”. Ha sottolineato, inoltre, che l’uomo “viveva di espedienti” ed era stato “abbandonato dai suoi familiari che ora sono in cerca di un risarcimento”.
La reazione di Lucia Uva, sorella di Giuseppe e parte civile nel processo assieme ad altri parenti, non si è fatta attendere. E su Facebook ha pubblicato un video girato fuori dal palazzo di Giustizia di Varese in cui esprime tutta la sua indignazione. “E’ una cosa indegna – ha detto la donna – è stata offesa la memoria di mio fratello. Lo dice perché non ha argomenti per rispondere al perché mio fratello è stato picchiato”. Poi una foto sul social network di Giuseppe mentre cucina, una di quelle che conserva tra i ricordi: “Questo è il clochard sporco e puzzolente”.
Secondo Lucia Uva, il fratello avrebbe subito violenze da parte dei carabinieri. Mentre il procuratore di Varese Daniela Borgonovo – nelle scorse udienze, ha chiesto l’assoluzione degli imputati – non ha riscontrato comportamenti scorretti da parte dei carabinieri e dei poliziotti che intervennero quella sera in supporto dei militari. “Non c’è prova delle violenze”. I difensori si sono associati alla richiesta di assoluzione. Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 11 marzo, quando dovrebbero concludersi le arringhe della difesa. I familiari dell’uomo avevano anche chiesto un risarcimento simbolico di 4 euro, uno per ogni capo d’accusa. “Non ci interessano i risarcimenti, ma capire che cosa è successo quella notte”.
Quanto alla figura di Alberto Biggiogero, fermato assieme a Uva, che ha riferito di aver sentito Giuseppe urlare in caserma, secondo la difesa sarebbe stato “manipolato come un burattino” da Lucia Uva che “ha trovato terreno fertile a causa delle condizioni psichiche precarie dell’uomo”. La sorella della vittima, in particolare, avrebbe “costretto Biggiogero a presentare la denuncia e ha organizzato in televisione un processo parallelo”, mettendo in campo “una task-force di bugiardi per costruire un castello accusatorio che si è rivelato inconsistente”.
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