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Castellammare di Stabia

Uragano Harvey, un altro avvertimento

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Sull’uragano Harvey si trovano già parecchie notizie sui siti d’Informazione. Brevemente qui si rammenta che trattasi di una iniziale tempesta, che prima di toccare la costa orientale degli Stati Uniti nel Golfo del Messico, aveva raggiunto la categoria 4 (secondo la scala di misurazione “SSHS dall’inglese Saffir–Simpson hurricane scale” che va da 1 a 5) con venti a circa 200 km/h, per poi essere declassato a tempesta.

Nonostante questa diminuzione di energia, una volta raggiunto il Texas, poiché si muoveva lentamente, ha scaricato così tanta pioggia da provocare decine di vittime e danni per oltre 150 miliardi di dollari nonché inondazioni ovunque, sicché è stato definito il più devastante dell’ultimo secolo.

Non sono da meno i monsoni in Asia, che in una delle stagioni più devastante dell’ultimo decennio, a fine agosto 2017 hanno sommerso con piogge torrenziali l’India, il Nepal e il Bangladesh. Le vittime sono circa 1.200, mentre milioni di abitanti sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Chiuse 18 mila scuole nell’intera regione e sono almeno 41 milioni di persone a subirne le conseguenze.

Harvey, come il resto delle decennali acute intemperie, è il prodotto della mini era calda in cui siamo entrati da circa un secolo e mezzo e che, stando alla durata nelle precedenti epoche, dovrebbe statisticamente protrarsi per almeno altri 3-4 secoli.

Di questa ciclicità e alternanza di mini ere calde e fredde, ne abbiamo parlato (semplicisticamente e come sarà anche qui di seguito) in un precedente articolo “Allarme sui cambiamenti climatici: la Storia del caldo negli ultimi tremila annia cui si deve aggiungere l’uso attuale di combustibili fossili che favoriscono l’effetto serra.

In sostanza, è come se un lago (il clima caldo) ciclicamente nei secoli esonda, provocando notevoli danni, a cui però stavolta si è aggiunto dell’altro (la popolazione umana) che contemporaneamente svuota in esso alcune piscine olimpioniche (i gas generati dai combustibili fossili) aggravandone pertanto le conseguenze (l’effetto serra e quindi accelerandone il riscaldamento) come anche causandone di imprevedibili.

Abbiamo tuttavia un vantaggio rispetto al passato. Oggi la scienza moderna riesce (nei limiti delle attuali conoscenze) a comprendere cos’è successo nei tempi passati e in particolare in quelli in cui analogamente c’era una mini era calda come adesso.

Una delle procedure è quella dei carotaggi in laghi o zone di mare in cui risulta, pure da racconti storici, siano avvenuti uragani (nell’atlantico), oppure tifoni (nel pacifico) o ancora cicloni (nell’indiano e mediterraneo).

Sulla scorta dei sedimenti e soprattutto dei detriti che si individuano, una volta sezionata la carota se ne analizza l’accumulo, per controllare se c’è stata una violenta tempesta che ha strappato coralli, pietre e ogni genere di residuo da distruzione.

Questa verifica ha dimostrato che gli uragani degli ultimi millecinquecento anni si sono, ad esempio, concentrati soprattutto durante la mini era calda che c’è stata tra l’850 d.C. e il 1300.

Poi improvvisamente, con l’inizio della contraria mini era fredda (1300-1850), addirittura definita mini era glaciale per il tanto freddo che l’ha caratterizzata, il loro numero è notevolmente diminuito. Seppure nel 18° secolo è stato accertato che se ne sarebbero verificati alcuni. Cui uno in particolare intorno al 1780, che dall’Atlantico centrale si è scaraventato contro i Caraibi, per poi proseguire verso l’atlantico settentrionale e che è stato stimato come il più intenso di cui si abbiano testimonianze scritte e dalle quali si rileva pure che non sarebbe stato particolarmente veloce nel suo tragitto, anzi così lento da provocare per questo ancora più danni nei luoghi ove passava.

La presenza tuttavia di questo potente uragano intorno al 1780 appariva come un paradosso rispetto alla precedente conclusione che durante la mini era fredda (1300-1850) il numero era calato.

Ancora una volta i carotaggi e in particolare l’analisi dei coralli ha dato una risposta. Infatti è noto che più l’acqua si riscalda e minore è la presenza di ossigeno e viceversa. Ebbene si è visto che nei coralli la presenza di atomi di ossigeno erano notevolmente calata in quegli anni attorno al 1780, sicché l’esistenza di una corrente calda (spessa decine di metri), presumibilmente quella risaputa proveniente dal Golfo del Messico, incontrandosi con un vento medio carico di polveri originario del deserto del Sahara insieme a correnti fredde di alta quota, ha iniziato ad aggregarsi risucchiando il vapore proveniente dalla corrente marina in basso e condensando l’aria caldo-umida, così ingrossando la circonferenza del vortice innescato dalla rotazione terrestre, facendo passare la tempesta tropicale con venti a 100 chilometri orari, ad uragano di categoria 5 con venti oltre 250 km/h e generandone uno dei più potenti mai accertati che avrebbe fatto in particolare nei Caraibi oltre ventimila morti.

Si è pure compreso che le tempeste sui mari seguono come predatori di energia le acqua calde. Anche stavolta viene in aiuto l’analisi chimica del tipo di ossigeno contenuto nelle stalagmiti (concrezione calcarea a forma di colonna che s’innalza dal pavimento nelle grotte) il quale si differenzia tra tempeste e uragani, consento così di risalire persino a migliaia di anni addietro e accertare il tipo di intemperia. Ora il riscaldamento climatico in corso sta scaldando anche i mari lontani dall’Equatore, tra l’altro ove sono ubicate le città costiere più popolate. E come un carnivoro ogni uragano (tifone o ciclone) seguirà sempre di più le piste verso nord delle correnti calde.

Quindi, la scienza moderna ci dice che: Siamo in una mini era calda che durerà altri secoli; L’essere umano ne sta ulteriormente accrescendo il riscaldamento con le sue attività antropiche e quindi con i gas generati dai combustibili fossili, come l’anidride carbonica (indispensabile per la vita e per la fotosintesi delle piante ma allo stesso tempo indiziata dell’accelerazione dell’effetto serra e dell’acidificazione degli oceani quindi dei danni ai coralli e di tutti gli organismi calcarei i cui gusci si disfanno); Ci sono già state nei millenni altre mini ere calde alternate a fredde; Siamo tuttavia in una macro era glaciale che dura da circa 2 milioni e mezzo di anni, ciò significa che sulla Terra ci sono state ere geologiche molto più calde di adesso (dipende da diversi fattori persino dove si trova il sistema solare nella Via Lattea e rispetto ad ammassi di stelle); Durante le mini ere calde gli uragani sono più frequenti poiché la temperatura del mare è più alta e pertanto in presenza di venti freddi e carichi di polvere, ciò alimenta l’energia delle tempeste; Anche in ere fredde ci sono stati violentissimi uragani per la presenza di correnti marine calde in superficie.

Insomma, siamo destinati a dovere convivere per altri secoli con supertempeste improvvise, violente e sembrerebbe sempre più frequenti.

Ma mentre in passato la popolazione mondiale era di gran lunga inferiore e le città erano molto meno affollate e poche sulla costa, oggi è tutto il contrario. Pertanto il rischio di catastrofi, soprattutto umanitarie, è oltremodo aumentato per questa differenza di popolazione e ubicazione abitative.

E non sentiamoci tranquilli nel Mediterraneo. Anzi proprio qui abbiamo diverse pistole climatiche puntate, quali: Un eventuale vento freddo proveniente dall’Artico, insieme ad una risalita dello Scirocco e con il mare che in certe zone sfiora quasi i 30 gradi. Ciò che non sappiamo non è se, ma quando la Natura premerà il grilletto.

Noi umani abbiamo pure aggiunto dei dissennati ingredienti, quali: Un decennale abbandono politico-istituzionale della manutenzione negli abitati, di caditoie, pozzetti, scarichi, condotte, canali e vasche di acque meteoriche, domestiche, industriali e reflue; Assenza della pulizia di corsi torrentizi e fluviali; Spianamento e cementificazione di colline, spesso visibilmente sedimentarie, per fare posto a costruzioni ed altro; Realizzazione di insediamenti umani su pendii e in zone fluviali e costiere, senza neppure rispettare distanze almeno di (relativa) sicurezza; e infine disboscamento selvaggio e incendio di foreste, giungle e dei pochi alberi rimasti nelle nostrane colline, sicché il terreno è rimasto senza la protezione delle fronde delle piante e delle radici, pertanto è sempre più inaridito dal caldo e neanche più compattato. Saremo travolti da colate di fango e senza scampo.

L’uomo del passato, quasi inconsapevolmente, contro certi fenomeni naturali sapeva adattarsi, persino spostarsi, così peraltro anche evolvendosi. Noi umani dell’ultimo secolo, avvitati intorno alla nostra presunzione tecnologica e rafferme teorie culturali, nonché insipienza scientifica generale, pensiamo di potere sfidare la Natura. Tanto è vero che non accettiamo neppure il caldo cambiamento climatico in corso. Allora aspettiamoci di molto peggio e prepariamoci in tanti a soccombere. Non ho infatti mai appreso che qualcuno l’abbia mai spuntata contro la Natura.

A

dduso Sebastiano

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