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Un nome per guidare la nuova Europa di Ventotene

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el vecchio Continente attuale una figura simile è molto difficile da trovare. Ma un personaggio c’è: è tedesco ma non è un allievo di Angela Merkel, semmai potrebbe essere il contrario. Ha un’esperienza politica di prim’ordine; è social-democratico; ha 73 anni, età perfetta per quella carica; è stato Cancelliere tedesco dal 1998 al 2005. Si chiama Gerhard Schröder.

In un’intervista rilasciata venerdì al nostro giornale Romano Prodi rilancia la legge sullo “Ius soli” presentata da tempo al Parlamento. Il testo è fermo al Senato dove il Pd non raggiunge da solo la maggioranza assoluta e quindi ha bisogno di essere rafforzato con apporti esterni. Successivamente però le opposizioni a quel progetto sono aumentate e la maggioranza l’ha congelato, almeno fino a quando la legge di stabilità finanziaria non sarà stata approvata. Ciò significa che lo “Ius soli” tornerebbe in Parlamento nel gennaio 2018 senza tuttavia escludere che bisognerebbe forse emendarlo e rendere possibile il formarsi di una maggioranza assoluta. Il 2018 è tuttavia l’anno di fine legislatura e quindi di un nuovo Parlamento. La conseguenza di tutto questo discorso è che la sorte dello “Ius soli” è diventata quanto mai dubitabile.

Di qui l’intervento di Prodi il quale, per evitare che quella legge finisca in un cassetto e lì rimanga per un tempo indeterminato, ne chiede la ripresentazione immediata, magari con qualche emendamento di poca importanza e senza il voto di fiducia. Il tema a suo giudizio è talmente importante che il voto parlamentare deve esser dato per coscienza e non col vincolo politico della fiducia. Naturalmente la posizione di Prodi è interamente per il sì: chi nasce in Italia deve essere italiano e quindi europeo, sempre che, subito dopo la nascita, quel neonato e la sua famiglia restino in Italia per un periodo ragionevole di tempo e non per pochi giorni.

Romano: quasi sempre e ormai da molti e molti anni la pensiamo allo stesso modo. In questo caso tuttavia vedo parecchie e notevoli difficoltà. Le elenco anche se alcune di queste mie domande potrebbero sembrare paradossali.

1. La cittadinanza viene concessa a qualunque neonato figlio di genitori stranieri, provenienti da qualunque altro Paese, oppure alcuni ne sono esclusi ed altri no? Faccio un esempio: una famiglia anagraficamente nata in un qualunque Stato dell’Unione europea fa automaticamente parte dei 27 Paesi dell’Ue e non ha quindi bisogno di chiedere la cittadinanza ad uno di essi diverso da quello dei genitori?

2. Questo principio — se esiste per l’Europa dell’Ue — può essere esteso anche ad altri Paesi la cui storia abbia valori comuni con i nostri? Per esempio l’Inghilterra uscita dall’Ue ma comunque europea a tutti gli effetti; o anche gli Stati Uniti d’America e il Canada? E l’America del Sud e quella Centrale, di origini spagnole o portoghesi? Se queste ipotesi fossero applicate tutto il mondo occidentale avrebbe un’unica cittadinanza. Ma se non fosse così e per quanto ci riguarda, la cittadinanza italiana sarebbe singolare e non condivisibile se non si nasce sul nostro territorio. Nel qual caso si pongono altri e complessi problemi.

3. Accenniamo ad uno di questi. Supponiamo che i genitori del neonato in Italia sono di New York o di Los Angeles o di qualsiasi città Usa. E mettiamo che il neonato in Italia, una volta raggiunta l’età della ragione, preferirà avere la cittadinanza americana oppure inglese o tedesca o francese o brasiliana. Butterebbe via quella italiana e ne chiederebbe un’altra? Oppure si possono avere insieme tre o anche più cittadinanze?

4. Infine un’altra ipotesi: la famiglia che fa nascere il figlio in Italia appartiene ad una etnia profondamente diversa e anche a una diversa religione. Supponiamo che la famiglia sia turca oppure del Ghana, oppure dell’India o del Pakistan. Quel neonato è italiano se nasce a Roma o a Bari o a Palermo. Se è anagraficamente italiano, quando sarà adulto e avrà figli italiani, quei figli avranno profonde tracce dei genitori e dei nonni. L’americano no e l’arabo o il cinese sì? Ha un senso tutto questo?
Oppure in una società globale, sei giudicato e devi rispettare i doveri e i diritti del luogo dove ti trovi e non necessariamente in quello dove sei nato?

Caro Romano, mi piacerebbe conoscere la tua risposta a queste domande. Papa Francesco, come certamente sai, suppone che nella società globale in cui viviamo interi popoli si trasferiranno in questo o quel Paese e si creerà, man mano che il tempo passa, una sorta di “meticciato” sempre più integrato. Lui lo considera un fatto positivo, dove le singole persone e famiglie e comunità diventano sempre più integrate, le varie etnie tenderanno a scomparire e gran parte della nostra Terra verrà abitata da una popolazione con nuovi connotati fisici e spirituali.

Ci vorranno secoli o addirittura millenni affinché un fenomeno del genere accada ma — stando alle parole del Papa — la tendenza è questa. Non a caso egli predica il Dio Unico, cioè uno per tutti. Io non sono credente, ma riconosco una logica nelle parole di papa Francesco: un popolo unico e un unico Dio. Non c’è stato finora nessun capo religioso che abbia predicato al mondo questa sua verità.

Per lo “Ius soli” se ne riparlerà tra qualche mese in Parlamento e vedremo come andrà a finire. Nel frattempo però è accaduto in Europa un evento che nessuno si attendeva: di fronte alla Plenaria del Parlamento europeo Jean-Claude Juncker ha raccontato una situazione che sembrava poco ascoltata ma era invece molto importante e oserei dire rivoluzionaria a pochi giorni di distanza dalle elezioni politiche in Germania.

Ho scritto “una situazione rivoluzionaria” ed è effettivamente questa la realtà, ma se si guarda con occhio storico si vedrà che essa era già in corso di attuazione ai tempi del primo governo Prodi e poi quando lo stesso Prodi diventò Presidente della Commissione Ue ed estese i confini a molti altri paesi dell’Europa ex sovietica ed infine fu fatta propria da Matteo Renzi tre anni fa, all’epoca della sua visita con Hollande e con Merkel all’isola di Ventotene in seguito alla quale lo stesso Renzi formulò un programma europeista e quindi spinelliano, per l’attuazione del quale l’ex premier aveva cominciato a battersi senza tuttavia ottenere nulla di concreto.

Quel programma che per brevità possiamo chiamare Ventotene, è da tempo condiviso da Mario Draghi con un campo di competenze molto diverso ma con analoghe o addirittura identiche finalità ed ora, con una mossa improvvisa e radicale, è stato fatto proprio da Jean-Claude Juncker. In che cosa consiste? Nel rafforzamento e mutamento dell’Europa sulla linea di Ventotene.

Un’Europa collettiva, con meno senso di sovranismo nazionale e molto più ampio sovranismo europeo. A questa linea aderiscono già molte personalità ed anche alcuni governi. Abbiamo già indicato i nomi di Renzi e di Draghi ed ora anche quelli di Mattarella, Gentiloni e Minniti. Non è poco, le forze in campo sono autorevoli e sarebbero maggiori se Renzi si risvegliasse dal letargo vacanziero e riprendesse completamente il programma di Ventotene, da lui stesso lanciato ma poi messo a dormire.

L’intervento di Juncker, cui altri ne seguiranno come da lui stesso previsto dopo le imminenti elezioni tedesche, consiste nella creazione di un Ministro delle Finanze europeo, d’una velocità di offerta e di domanda economica promossa dai Paesi dell’eurozona, dal rafforzamento politico all’interno dell’Unione, dal presidente dell’eurozona, dalla creazione d’una vigilanza politica e poliziesca che controlli le cosiddette periferie dell’Isis in Europa, Londra compresa.

Juncker ha poi lanciato un programma di investimento e proposto una serie di accordi di libero scambio con paesi come il Giappone, il Messico, l’Australia e la Nuova Zelanda e tutta l’America Latina, dall’Argentina al Brasile, al Cile e a tutti gli altri. Ha proposto anche la creazione di un nuovo Fondo europeo e una politica dell’immigrazione molto simile a quella praticata da Gentiloni e Minniti per quanto riguarda l’Africa occidentale.

Infine — e sia pure con opportune cautele — Juncker ha lumeggiato la nuova figura d’un Presidente europeo eletto direttamente dal popolo sovrano dell’Unione. Non è da escludere che lo stesso attuale presidente della Commissione di Bruxelles che decadrà dal suo attuale incarico nel 2019, pensi a se stesso come candidato a quella carica presidenziale che oggi è più di forma che di sostanza ma che in un’Europa sulla linea di Ventotene diventerebbe del tutto simile alla struttura costituzionale degli Usa.

L’alternativa è che quella carica, ammesso che la linea Ventotene diventi una realtà, sia rivendicata da Merkel o da Macron. Si tratta tuttavia, in entrambi i casi, delle due figure politicamente più importanti dell’Europa attuale, partecipi di un duumvirato che non può essere rotto a favore dell’uno o dell’altro. Più probabile, sempre che sia una figura conosciuta e approvata dal corpo elettorale europeo, che sia di uno spagnolo o di un italiano. Non credo Renzi e non credo neppure Gentiloni o Mattarella: non sono personaggi di autorità popolare europea. Mario Draghi? È la persona più nota e più internazionale. Forse avrebbe le maggiori chance anche se non è molto amato dalla classe dirigente tedesca. Ma l’idea che Draghi sia pronto a battersi per raggiungere quell’obiettivo mi sembra — conoscendolo bene — da escludere.

Un Presidente europeo con poteri simili a quelli del Presidente americano non è facile da individuare. Il primo negli Stati Uniti americani fu Washington che veniva dall’aver guidato e vinto la guerra anticoloniale contro gli inglesi. Nell’Europa attuale una figura simile è molto difficile da trovare. Ma un personaggio c’è: è tedesco ma non è un allievo di Angela Merkel, semmai potrebbe essere il contrario. Ha un’esperienza politica di prim’ordine; è social-democratico; ha 73 anni, età perfetta per quella carica; è stato Cancelliere tedesco dal 1998 al 2005; adesso presiede un’associazione dedicata ad educare politicamente e culturalmente i giovani.

Si chiama Gerhard Schröder. Sarebbe un eccellente Presidente della nuova Europa. E Juncker potrebbe essere uno dei ministri del suo governo mentre Merkel, come tutti gli altri capi dei 27 governi, continuerebbe ad essere la Cancelliera del proprio, sempre che le elezioni imminenti vadano a suo favore. Quanto all’Italia, in una situazione auspicabile di quel genere, noi avremmo tutto lo spazio per far valere le nostre motivazioni ed anche un ruolo importante nella politica europea, specie sul tema dell’immigrazione e su quello economico dell’occupazione e del liberalismo socialdemocratico.

Se il nome di Schröder che ora abbiamo fatto e la proposta che diventi presidente dell’Europa andassero a buon fine, immagino che Spinelli, Rossi e Colorni ne sarebbero felici. Ed io con loro.

repubblica/Un nome per guidare la nuova Europa di Ventotene di EUGENIO SCALFARI

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