L’incubo dell’alluvione incombe su Piemonte e Liguria: la piena dei fiumi spaventa, il Tanaro esonda e, con un fiume di fango, fa rivivere il dramma del 1994, quando persero la vita 70 persone. La storia oggi si presenta diversa perché gli allarmi lanciati alla popolazione hanno avuto effetto.
“Fate presto o il fiume si porta via la mia casa”
Viaggio lungo le sponde del Tanaro dove è tornato l’incubo alluvione del 1994: “È una maledizione, verrebbe voglia di andarsene da queste terre”
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Ora rivivo quell’incubo. Ma oggi è peggio, perché 22 anni fa non c’era così tanta acqua». Parla singhiozzando, poi gli occhi gonfi di lacrime tracimano. La voce diventa flebile: «Basta, basta, basta. Dovrò ricominciare da zero. Ma io sono stanca, stravolta, non ce la faccio più».
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La maledizione del Tanaro è un rumore spaventoso. Come di esplosioni sorde che provengono dalle viscere della terra e rimbombano in tutta la valle. Sono i massi che sbattono tra di loro mentre la piena furiosa li fa rotolare verso il fondo valle. Torrenti esondati, ruscelli che scavano la montagna, alberi sradicati, campi allagati, strade franate, il fango dentro le case. Scuole e fabbriche chiuse. È così da Ceva fino a Ormea. Qui il torrente Armella ha rosicchiato la parete che sosteneva la piazza. Si è aperta una voragine di 5 metri. «Abbiamo sentito un boato, poi le urla. Siamo usciti in strada e abbiamo visto quell’automobile inghiottita dal terreno», racconta Stefano Pelazza, titolare di una vineria.
Sul Cuneese piove senza sosta da domenica. In tre giorni sono caduti oltre 450 millimetri di pioggia. La valle del Tanaro è isolata. «È come nel 1994, la situazione è tragica», dicono gli abitanti. Da Ceva non si passa. Intere zone del Comune sono state evacuate. La caserma Galliano, come già successo 22 anni fa, è finita sott’acqua. In cento sono stati trasferiti nell’ex convento dei frati cappuccini, dov’è stato allestito anche il centro operativo della protezione civile. A Bagnasco una cinquantina di persone passa la notte fuori casa. Lo stabilimento della Fassa Bortolo è sommerso. Nella zona industriale il fiume esondato fa dondolare pericolosamente i silos. Interi quartieri sono senza gas, luce e telefono. «Mai visto nulla di simile, è una maledizione», dice Roberto Beltramo, titolare del ristorante Nazionale. La Protezione civile tenta di liberare un canale intasato dai detriti. Si avvicina un’anziana, urla: «Fate presto, altrimenti si porta via la mia casa». A Priola, poco più a monte, il fiume ha inondato una vasta zona agricola. I vigili del fuoco tentano di salvare gli animali intrappolati nelle stalle allagate. La regola è: prima i cavalli, poi le mucche. Christian Clavario, meccanico di 26 anni, vive con la madre: «Ho due metri di acqua in garage. È un disastro, viene voglia di andare via», dice indicando il tetto di una costruzione che spunta da un lago che fino a due giorni fa non c’era.
A Garessio il Tanaro è furia della natura. Ha scavalcato il ponte centrale, portando via con sé segnali stradali e lampioni e dividendo il paese in due. Franco Peperoni, pensionato, scruta il fiume di fango dal cortile di casa. A proteggerlo dalla piena c’è solo un muretto di pietre alto poco più di un metro. «Speriamo che regga, altrimenti qui va a finire male. Nel ’94 mi ritrovai gli alberi sradicati in garage, ecco perché oggi ho tanta paura». Una battuta al vicino, poi lo sguardo si fa cupo: «Non c’è niente da fare, chi non l’ha vissuto sulla propria pelle non può capire l’alluvione. Quel terrore ti rimane dentro per sempre, me lo porterò nella tomba. Siamo come i terremotati». A valle del paese c’è lo stabilimento farmaceutico ex Sanofi. Fino a ieri dava lavoro a 120 persone. È finito sott’acqua. «Chissà quando riapriremo», dicono gli operai.
Alle sei di sera la gente del paese torna nelle case sotto una pioggia battente. Un’ultima occhiata al cielo, poi comincia la notte più lunga. L’ennesima. I vigili del fuoco intervengono in frazione Trappa per mettere in salvo il vicesindaco Bruno Bologna e la moglie, bloccati nella loro abitazione da un torrente esondato. Alessandro Cagna, titolare della storica pasticceria dei dolci garessini, conta i danni: «Ho il negozio allagato, per fortuna avevamo sollevato la merce da terra. Ma i macchinari sono danneggiati. Vogliamo riaprire il prima possibile. Ma se non ce la facessimo entro Natale, saremmo costretti a chiudere per sempre. Speriamo e preghiamo». Poco più in là, sull’angolo della piazza che affaccia sul Tanaro, c’è il caffè Curini. Ieri mattina il gestore ha visto davanti a sé un muro d’acqua. «Gridava di rabbia, era sotto choc», commentano i colleghi. Una vita di sacrifici travolta dalla piena nell’arco di un paio d’ore. Per portarlo via sono dovuti intervenire i carabinieri.
Nel vociare di paese monta una rabbia sorda: «Il fiume è sporco, perché non ci permettono di ripulirlo levando qualche pianta?». La verità è che se finora non ci sono morti è merito anche degli interventi degli ultimi vent’anni: ponti ad arcata unica per evitare l’effetto tappo e sponde rinforzate là dove il fiume curva. A finire sotto accusa è però la Protezione civile, che mercoledì sera aveva diramato un’allerta arancione (cioè moderata). «Perché non hanno previsto questa piena? Perché non hanno dichiarato l’allerta massima?», chiedono i sindaci e gli abitanti.
In serata Ormea è un paese fantasma. Nel buio della montagna, a tratti si scorgono le luci dei soccorritori. Sette frazioni sono isolate, alcune senz’acqua. Il sindaco Giorgio Ferraris era già primo cittadino nel ’94: «L’alluvione è nel nostro destino, non ce ne libereremo mai». Come si addomestica il mostro? Il sindaco Ferraris non dorme da 48 ore: «Cosa devo fare per proteggere la mia gente?».
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