Che l’Euro e l’unione monetaria fossero nati già con il dubbio in mano, e le tante riserve espresse da economisti e analisti, è un dato di fatto che non ha screditato col tempo queste teorie. Joseph Stiglitz, ne ha fatto un manifesto nelle tesi sul malessere serpeggiante in Eurozona. Ma non è il solo. C’è anche Fritz Bolkestein, ex Commissario europeo (olandese), ad alzare la voce sul fallimento della moneta unica. Egli è del parere che l’esperimento sia fallito, e che pertanto sia necessario introdurre una seconda e nuova valuta. Secondo Bolkestein, è l’unica via per salvare l’Euro, che considera ‘il sonnifero dell’economa europea’.
E non si pone problemi d’irriverenza quando si tratta d’indicare la Germania ( ma in qualche misura anche la Francia), quale responsabile di questo fallimento. Secondo l’ex Commissario europeo, i due paesi, sarebbero stati i primi a contravvenire alle regole dell’Unione, già nei primi anni del duemila, violando il patto di stabilità sancito da Maastricht, e sforando i limiti d’indebitamento del 3%.
Insomma l’Euro l’hanno fatto fuori, e, come ogni omicidio che si rispetti, non mancano i sospetti tra gli ‘inquirenti’.
Fritz Bolkestein è stato Commissario dalla fine degli anni ’90 al 2004, ed è l’artefice della nota “direttiva Bolkestein”, che si prefiggeva di eliminare i nodi burocratici e le barriere nazionali nel settore dei servizi, favorendo nel contempo anche una maggiore integrazione in ambito UE.
La crisi dell’Euro ha una storia, abbastanza controversa e complessa, ma le radici ci sono, e gran parte degli analisti sono concordi e unanimi nel citare la Germania come causa più plausibile di questa crisi. Vediamo di analizzarne i contorni.
E’ vero che la brexit non è stata un fulmine a ciel sereno, ma certamente, la luce anomala che ha prodotto, ha indotto gli operatori economici a guardare più da vicino i malesseri dell’UE, che sotto certi aspetti, agisce come una sorta di ‘società per azioni’. Una spa nella quale, ‘l’azionista di maggioranza’, non di rado fa il bello e il cattivo tempo, e poco importa se gli altri devono sottostare ai suoi diktat economici e finanziari. Il peso e la forza economica gli consentono di muoversi con una certa egemonia, come fosse naturale, e gli spazi a volte eccessivi e impropri, gli fossero dovuti.
E’ in definitiva il ruolo della Germania all’interno dell’Eurozona, ora che la brexit ha portato la Gran Bretagna fuori scena nell’Unione, l’investitura dei tedeschi è stata praticamente un fenomeno naturale; previsto per giunta. Previsto da Joseph Stiglitz, il Premio Nobel per l’Economia statunitense, antieuro per antonomasia, fin dall’esordio, che nelle sue analisi, ha sempre considerato il ruolo della Germania all’interno della zona euro, come un peso che, sulla bilancia dei 19 stati membri, è praticamente schiacciante. Stiglitz non si è certo preoccupato d’essere troppo franco verso la politica economica e finanziaria tedesca, ben consapevole che, la divisa europea, si porta dietro la ‘sofferenza’ di questo modo autoritario di procedere nell’ambito dell’Unione.
Anche il Presidente della BCE, ha da tempo denunciato il surplus nell’export della Germania, quel suo ostinarsi a mettere da parte centinaia di miliardi di Euro l’anno, che non lasciano indifferenti certi aspetti macroeconomici nell’Unione Europea, la cui economia, da anni, marcia verso la tendenza alla deflazione.
Se i dubbi sulla sostenibilità dell’Euro erano oggetto di discussione e dibattiti nei congressi internazionali, e ormai le conclusioni viaggiavano nel web in canali più o meno ufficiali, anche se l’establishment di Bruxelles, ovviamente ha sempre fatto orecchie da mercante, ora sul lungo tavolo della Commissione europea, prima o poi se ne dovrà discutere. La brexit, questo grande invaso che ha fatto tracimare tante questioni sottaciute o in sospeso, ora ha permesso il flusso dei tanti problemi che prima non erano abbastanza a fuoco. Eppure, sulla sostenibilità dell’Euro, ma soprattutto sul problema delle cause che lo rendono instabile, non si vuole la dovuta trasparenza.
Questo male è diventato invasivo, e ora emerge nuovamente con prepotenza, proprio come olio sull’acqua, ma non è certo recente tale meccanismo contorto. Se ne parlava sul finire del 2013, anno in cui la Commissione Europea, aveva dato avvio ad una procedura nei confronti della Germania, proprio a causa del surplus nelle partite correnti. In sintesi, le si imputavano responsabilità e una linea di comportamento ‘sleale’, poiché tendeva, già da anni, a vendere ma a non investire, a esportare fuori misura ma a non ‘consumare’. Tutto questo determinava da tempo difficoltà nell’economia di tanti paesi dell’Unione, contribuendo ad affinare ancora di più gli artigli di una crisi economica già in atto.
L’allora Presidente della Commissione, Barroso, dichiarò tre anni fa che, l’analisi sulla situazione avrebbe consentito di stabilire il peso reale e l’impatto dovuto al surplus creato dalla Germania sul versante commerciale, che si riteneva ‘persistentemente elevato’. A queste considerazioni, si aggiungeva tuttavia il fatto che questi eccessi, provenivano dai rapporti commerciali della Germania a livello globale, non si poteva pertanto attribuirne il peso al solo circuito europeo.
Già dal 2014, comunque, secondo i resoconti degli anni precedenti, in special modo a partire dal 2006/7, tale surplus rappresentava, per la nazione tedesca, il 7,0% del Pil. Il riflesso sull’Eurozona era del 2,5%, sempre in relazione al Pil ( e in riferimento al 2012).
Tra i mandati della Commissione c’è anche quello d’imporre un controllo in questi versanti, e pertanto resta ferma la raccomandazione di attenersi ad un limite massimo di surplus (6%), e di mettere in atto meccanismi correttivi qualora si vada oltre. Nel dibattito sulla procedura avviata dalla Commissione ai danni della Germania, c’è il dito puntato contro dai paesi del Sud Europa, i quali l’accusano di non essere leale sul piano delle relazioni commerciali, perché in qualche modo, si chiudono le porte ai consumi interni, accelerando comunque sull’export, e danneggiando così i paesi partner, non contribuendo quindi, a sollevarli dall’aggressione della crisi economica.
Limitare la domanda interna, con strategie protezionistiche (almeno in alcuni settori dell’economia tedesca ), non contribuisce a creare equilibrio tra i paesi dell’Unione, in particolare nella zona euro, dove si subisce questo riflesso in una condizione d’impotenza, davanti a chi presenta una situazione macroeconomica certamente più stabile, qual è appunto quella della Germania. Nonostante non sia immune da problematiche interne, non ultima la questione demografica, che la rende in ogni caso vulnerabile. Questa storia della contrazione demografica, non è di poco conto nell’analisi.
L’World Economy Institute di Amburgo, ha riportato uno studio sulle prospettive demografiche del paese, dal quale emergono analisi veramente preoccupanti. Sarà un vortice di conseguenze negative, che inciderà sui conti pubblici e la capacità produttiva. Nei prossimi 15 anni, secondo questi studi, la forza lavoro in Germania si ridurrà di circa 6 mln, allineandosi al trend giapponese. Il tasso di natalità è crollato ai massimi livelli rispetto a quello globale (l’Italia non è comunque un esempio..). Intorno alla metà del secolo, si pensa che la popolazione potrebbe diminuire di 20 milioni, un dato allarmante, che avrà le sue inesorabili conseguenze.
L’aspetto demografico, dunque, ha portato scompensi nel paese, che ha creato ingerenze in qualche misura indirette sulla questione del surplus e la crisi dell’Euro.
I fatti, nonostante le ragioni che stanno a monte di una tendenza poco virtuosa, restano. E sono la radice delle tante inefficienze in zona euro. La Germania, da una decina d’anni, va oltre la soglia imposta dall’UE sulle esportazioni, che è del 6%, e questi continui break determinano gli squilibri dei quali si è detto. Nel 2015, la Germania, ha sforato alla grande, arrivando ad un surplus nell’export dell’8%.
Questi dati, che poi ricadono nei paesi più svantaggiati sul piano economico come pioggia acida, sono anche parte della ‘requisitoria’ del Presidente dell’Eurotower, Mario Draghi, il quale replica alle obiezioni dei tedeschi sulla politica monetaria della BCE, e il trend di mantenimento dei bassi tassi, proprio citando i numeri del surplus commerciale, che risulterebbe deleterio per i paesi della zona euro. Dunque, la radice del problema, sostiene Draghi, non sono i bassi tassi d’interesse in sé, ma la conseguenza degli eccessi del surplus nell’export della Germania.
Gli esperti replicano che si tratta di una spirale perversa, dato che poi sarebbero proprio i bassi tassi a favorire il surplus, nonché la svalutazione dell’Euro.
I meccanismi economici e finanziari sono davvero tremendi, s’incontrano e si scontrano, si urtano e creano cortocircuiti veramente micidiali.
Si accusano i tecnocrati dell’economia tedesca di spingere sull’austerità a tutti i costi, mentre a livello interno, la contrazione degli investimenti, ha contribuito a ridurre sensibilmente la domanda aggregata del sistema economico in ambito UE. Limitando questi movimenti macro, la diretta conseguenza è stato il calo dell’inflazione, che a sua volta ha costretto la BCE ad intervenire in modo drastico, attraverso il consistente acquisto di asset (aumentato considerevolmente nel 2016), nel tentativo di riportare l’inflazione a livelli accettabili. Il nodo è dunque nelle manovre economiche e finanziarie della nazione tedesca, e qui è necessario intervenire con urgenza per rendere più efficaci le strategie della politica monetaria seguita dall’Eurotower.
Va detto che, nonostante il recente ottimismo della BCE, il credito in tutta l’area euro, sta subendo una sensibile e grave contrazione.
L’esperimento Euro, è considerato un fallimento su tutta la linea. Scriveva Frances Coppola, poco tempo fa sulla rivista on line Pieira:
“I dati economici dell’eurozona sono terribili, il progetto dell’euro è stato un enorme errore, prima di tutto da un punto di vista storico e culturale. L’euro è “il più grande pericolo per la pace in Europa occidentale che io abbia mai visto in tutta la mia vita” ed è “tempo di relegarlo nella polvere della storia”.
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