Thorbjørn Jagland, Segretario Generale del Consiglio d’Europa
Per un verso o per altro, la Turchia continua ad essere, da anni, tema di dibattito (ed anche di scontro) in seno all’Europa. Ultimamente poi, dopo il fallito colpo di stato e la successiva reazione di Erdogan, il dibattito attorno alla vicenda si è acceso ancor più rinfocolando le antiche motivazioni sostenute dai pro e dai contro.
Innegabile è che la Turchia sia, formalmente, un paese laico, come sostengono i pro, ma ancor più innegabile è che, con l’ascesa di Erdogan, l’asse si è di fatto spostato su uno stato religioso erodendo quella laicità di base che le venne data dal fondatore dell’attuale repubblica turca, Kemal Ataturk.
Con Erdogan, rappresentante di un partito di ispirazione islamica “moderata” (dice), il paese sta cercando, di fatto, di reintrodurre progressivamente i principi religiosi come principi di vita sociale ed inoltre, negli ultimi anni, il problema del rispetto dei diritti umani è notevolmente decaduto, situazione acuitasi dopo il fallito golpe.
Basterebbero già questi elementi per spingere a ben valutare l’accettazione della Turchia come parte integrante dell’Europa. Se poi ci aggiungiamo le valutazioni di tipo economico avanzate da chi, con la fede nel portafoglio, ne vede benefici derivanti da un mercato allargato ad oltre 75 milioni di abitanti, e vediamo lo stesso dato per quello che è in realtà e valutandolo anche sotto l’aspetto “umano e sociale”, al di là quindi del solito, barbaro, “pecunia no olet”, non si potrà non annotare anche che, proprio il fatto che la Turchia abbia cosi tanti abitanti, ne farebbe il secondo paese dell’Unione Europea, dopo la Germania. Bene si potrà pensare ma?
Esiste, ed è innegabile, anche il grande ma costituito dal fatto che il 99% di questi 75 milioni sia di religione islamica, il che – traslato in sede di governo europeo con le sue regole elettive – darebbe alla Turchia un elevato numero di parlamentari, e di conseguenza il rischio concreto di doversi trovare, un domani, a fare i conti nel prendere decisioni e legiferare, con politici ispirati da ideali islamici con tutti i rischi (e conflitti) che questo comporterebbe anche perché sarebbero storicamente estranei alla cultura Europea,
Alla luce di tutto ciò la domanda è e resta sempre: cui prodest la Turchia in Europa?
La risposta, ad ora, sembra essere solo una: probabilmente agli USA in quanto, come alleato militare dell’Europa, la Turchia lo sarebbe anche loro e, in questo, sarebbero molto più utile a loro di quanto lo sarebbe per l’Europa. Europa che, anche in questo, dovrebbe ben valutarne la tendenza golpista. Tendenza che, indubitabilmente, verrebbe portata, a quel punto, direttamente all’interno dell’Europa come Stato con tutti i problemi ed i rischi che ne conseguirebbero. Ma questo è altro ancora. Oggi ci soffermiamo unicamente sulle valutazioni della situazione attuale post golpe così come la vede e ce la descrive il Segretario Generale del Consiglio d’Europa,Thorbjorn Jagland, nell’articolo pubblicato oggi su la Stampa nel quale esprime anche il suo parere favorevole ad una Turchia in Europa ma …… Leggiamolo:
La Turchia rimanga nella famiglia europea THORBJØRN JAGLAND *
Si è scritto e detto molto sul recente tentativo di colpo di Stato in Turchia e sulle sue conseguenze. Eppure è difficile capire, finché non si vede direttamente, l’impatto profondo che questi eventi violenti, che hanno causato la morte di 290 persone, hanno avuto sul popolo turco. Durante la mia recente visita ad Ankara, ho potuto costatare i danni ingenti provocati al Parlamento turco dai raid dei caccia in mano ai golpisti. Si percepiva ancora paura e shock tra le persone che ho incontrato.
Una simile violenza non può essere tollerata sul territorio europeo. Si possono avere pareri divergenti sull’attuale governo, ma non si può non essere d’accordo sul fatto che ogni tentativo di rovesciare con la forza un governo legittimo ed eletto democraticamente è inaccettabile. Nell’Europa di oggi un simile attacco alle istituzioni democratiche è un affronto a noi tutti.
La Turchia prova evidentemente frustrazione nei confronti dei leader europei che, a suo giudizio, non hanno colto la gravità dell’impatto del tentato colpo di Stato sulla società turca. Vi è ampio consenso sul fatto che il golpe sia stato pianificato ed eseguito da una rete segreta infiltrata nell’esercito, nella polizia e nella magistratura. Questo mi è stato anche comunicato dai dirigenti dei tre partiti di opposizione rappresentati in Parlamento, nonché dal Presidente Erdoğan e dai suoi ministri. Se intendiamo esercitare un’influenza positiva sulla Turchia, dobbiamo mostrare solidarietà e capire lo stato attuale in cui versa il paese. Sono inoltre convinto che l’Europa debba ora impegnarsi di più, e non di meno, al fianco della Turchia.
Le informazioni sulle misure repressive eccessive e indiscriminate nei confronti di coloro si pensa siano implicati nel fallito golpe sono preoccupanti. La Turchia ha esercitato il suo diritto di deroga alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’articolo 15. La Convenzione continua tuttavia ad applicarsi sotto la supervisione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Le misure prese devono quindi essere strettamente necessarie e proporzionate alla natura della minaccia cui sono confrontate le autorità.
L’identificazione delle persone che hanno perpetrato il colpo di Stato dovrebbe essere fatta con estrema prudenza. Devono essere presentate prove concrete contro gli imputati. È necessario operare una distinzione tra chi ha partecipato attivamente alle violenze e i semplici simpatizzanti. Questi ultimi non hanno violato nessuna legge.
Dare prova di moderazione e discernimento è nell’interesse stesso della Turchia. Uno sviluppo positivo nelle ultime settimane riguarda la dimostrazione di unità dei partiti politici del paese, un fatto piuttosto raro. Un’epurazione su vasta scala nei confronti di funzionari, giornalisti, docenti e universitari, che punisce innocenti, alimenterà soltanto le divisioni e la sfiducia nella società. Indebolirà le istituzioni statali e paralizzerà i media, la cui libertà di espressione è stata, già prima del tentato colpo di Stato, indebitamente limitata.
Bisogna smettere anche di ipotizzare un’eventuale reintroduzione della pena di morte. Una tale misura escluderebbe la Turchia dal Consiglio d’Europa e porrebbe fine alla prospettiva di aderire all’Unione europea. Sarebbe un passo indietro, non etico, che condurrebbe all’isolamento del paese. Da parte sua il Consiglio d’Europa sfrutterà ogni opportunità per instaurare un clima di fiducia e fornire supporto e competenze alle autorità turche.
Dopo la mia visita, le autorità hanno accettato di lavorare con gli esperti del Consiglio d’Europa per portare i recenti decreti legge, promulgati sotto lo stato di emergenza, in linea con gli obblighi della Turchia derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In caso contrario, la Turchia rischia un’ondata di ricorsi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
È essenziale, per evitare l’abuso di potere, che la Turchia agisca per garantire i diritti procedurali delle persone in stato di arresto o in custodia cautelare (durata dello stato di arresto, accesso a un avvocato, accesso a un medico, visite dei familiari, possibilità di un riesame giudiziario), per garantire loro il diritto a un processo equo, a partire dalla presunzione di innocenza. La Turchia deve accertarsi che siano stabilite tutele efficaci per i giornalisti, gli insegnanti e gli universitari.
La Commissione di Venezia, il gruppo di esperti costituzionali del Consiglio d’Europa, continuerà a valutare la situazione dei giudici e dei pubblici ministeri in Turchia, nonché qualsiasi emendamento alla Costituzione turca. Il Consiglio d’Europa e il suo Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti prendono molto seriamente le accuse di tortura e di maltrattamenti riportate da Amnesty International e da altri osservatori. Per convenzione, i dettagli delle visite ad hoc effettuate nel paese dal Comitato per la prevenzione della tortura non sono annunciate pubblicamente; è sufficiente dire che avremo presto ulteriori chiarimenti su tali accuse.
Inoltre, intensificheremo la nostra cooperazione con la Turchia in materia di libertà di espressione. Anche questo è un elemento importante nel contesto della legislazione antiterrorismo turca, che ha rappresentato un ostacolo alla liberalizzazione dei visti con l’UE. Le leggi antiterrorismo non possono portare alla detenzione di giornalisti solo perché hanno affrontato argomenti legati al terrorismo o a organizzazioni terroristiche. Nelle prossime settimane si riprenderanno i dibattiti tra gli esperti del Consiglio d’Europa e le autorità turche per uscire dall’impasse attuale.
Infine, il Consiglio d’Europa è un’organizzazione intergovernativa in seno alla quale 47 Stati membri condividono la responsabilità collettiva di attuare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Gli Stati membri hanno un ruolo essenziale nel controllare l’esecuzione delle sentenze contro la Turchia pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, di cui un numero elevato riguarda la libertà di espressione e la libertà di riunione, e nel ricordare ad Ankara i suoi obblighi rispetto alla Convenzione.
La Turchia sta attraversando un periodo di tensioni e di incertezze. Occorre adottare un approccio unito e volto a ripristinare la fiducia e la comprensione reciproche. Il nostro obiettivo comune è far rimanere la Turchia nella famiglia europea e riconoscere l’importanza della democrazia, dei diritti umani e dello Stato di diritto, anche in circostanze difficili come quelle che affronta il paese in questo momento.
*Segretario Generale del Consiglio d’Europa
vivicentro.it/opinioni
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