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Castellammare di Stabia

Turchia indispensabile? ma anche no! E poi: chi si fida di Erdogan?

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All’indomani del tentato golpe in Turchia, Erdogan comprime le libertà con il rischio di avviare il paese anche verso una crisi economica. Perché investimenti esteri e il turismo non saranno più quelli di prima. Il premier turco sa che Ue e Usa hanno bisogno del suo paese così come scrive questa mattina, in un editoriale sulla Stampa, l’ambasciatore GIAMPIERO MASSOLO: Non possiamo fare a meno della Turchia.  Ma è vero anche il contrario e questo è il tema dell’articolo di RONY HAMAUI su la voce.info :

Turchia indispensabile. Ma chi si fida di Erdogan? (Rony Hamaui)

La Turchia resta un alleato cruciale per il mondo occidentale. Così nonostante le epurazioni seguite al tentato colpo di stato, nessuno chiede una sua uscita dalla Nato. Ma anche Ankara non può fare a meno dell’Occidente. Erdogan lo sa bene e dopo i proclami riprenderà le normali relazioni.

La situazione dopo il fallito colpo di stato

P

oco sappiamo, e probabilmente poco sapremo, del goffo colpo di Stato in Turchia del 15 di luglio. Goffo perché iniziato alle 10 di sera, quando la gente affollava ancora le strade, perché incapace di controllare le televisioni private e perché non è neppure riuscito a neutralizzare Recep Tayyip Erdogan, in quel momento in vacanza in un resort della città turistica di Marmaris. Tuttavia lo scenario mediorientale, dopo quello che il presidente turco ha definito “un dono di Allah”, appare ancora più incerto e pieno di interrogativi.
Innanzitutto la situazione turca ci mostra quanto il mondo islamico sia diviso non solo fra la sua componete laica e religiosa, sciita e sunnita, moderata e estremista, ma anche quanto sia complessa la convivenza civile fra quelli sinora definiti mussulmani moderati (Erdogan e Fethullah Gülen). Per l’Occidente trovare un interlocutore affidabile nella regione diventa davvero un’impresa difficile.
La Turchia rappresentava poi nel mondo arabo una delle pochissime nazioni democratiche, l’unica forse assieme alla piccola Tunisia che sarebbe potuto diventare un esempio per i molti regimi autoritari presenti nella regione. Poco ci conforta, a questo punto, sapere che l’Indonesia e la Malesia sono due paesi a maggioranza mussulmana retti da regimi democratici, poiché appaiono troppo lontani e troppo diversi per svolgere un ruolo trainate. Per altro, anche in queste due nazioni non sono mancate negli ultimi anni ripetute violenze contro i cristiani.

Relazioni internazionali complicate

Distrutte le libertà civili, con l’arresto di migliaia tra professori, giornalisti, magistrati, militari e dipendenti pubblici, ci si chiede che tipo di libertà politiche possano sopravvivere nella penisola anatolica. Le elezioni non sono mai state una condizione sufficiente per definire democratico uno stato e l’esempio turco ne è la riprova. In quanto alle libertà economiche e al correlato sviluppo del paese, che ha rappresentato il maggior successo di quattordici anni di governo del Akp (Partito per la giustizia e lo sviluppo), il contro colpo di Erdogan mette in seria discussione i risultati raggiunti. Il turismo, gli investimenti esteri e, più in generale, i rapporti con il mondo occidentale, vero motore dello sviluppo del paese, sono infatti messi in crisi dalle incertezze della situazione politica.
È tuttavia sul piano delle relazioni internazionali che la situazione appare particolarmente critica. La Turchia è stata un alleato cruciale per il mondo occidentale: un baluardo essenziale per combattere la guerra fredda contro l’Unione Sovietica prima e un avamposto insostituibile per cercare di contenere il marasma mediorientale, dalla guerra siriana all’Isis e al flusso dei migranti oggi. E senza considerare che per la Turchia passano oleodotti e gasdotti di importanza cruciale per l’Europa, mentre dallo stretto dei Dardanelli transita la maggior parte del grano prodotto nei paesi che si affacciano sul mar Caspio.
Certo, nessuno può cambiare la geografia. Così, benché lo statuto della Nato preveda che i suoi nuovi membri siano “stabili democrazie che perseguono pacificamente le dispute territoriali, etniche (…)”, nessuno né a Washington né a Berlino si sogna di fare uscire la Turchia dall’Alleanza atlantica.
L’occidente non può fare a meno della Turchia almeno quanto la Turchia non può fare a meno dell’Occidente. Erdogan lo sa bene e pertanto è probabile che, dopo aver accusato gli Usa di aver fiancheggiato i golpisti e fatto mancare l’energia elettrica alla base americana di Incirlik, chiesto con veemenza l’estradizione di Fethullah Gülen e incolpato l’occidente di terrorismo per aver sostenuto i diritti del popolo curdo, il suo cinismo lo porti a più miti consigli, come ha già fatto con la Russia e Israele.

RONY HAMAUIhamaui

Laureato all’Università Commerciale L. Bocconi e Msc. alla London School of Economics. E’ Amministratore Delegato di Mediofactoring e professore a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha ricoperto numerosi incarichi presso il gruppo Intesa Sanpaolo; e’ stato responsabile del Servizio studi della Banca Commerciale Italiana nonché professore a contratto presso l’ Università di Bergamo e l’ Università Bocconi. Ha lavorato presso l’Istituto per la Ricerca Sociale. è autore di numerosi articoli scientifici e ha scritto e curato diversi libri riguardanti gli intermediari, i mercati finanziari internazionali e lo sviluppo economico finanziario nei paesi arabi.

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