Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vede coronato il suo sogno di un passaggio della Turchia al sistema presidenziale che accresce in maniera esponenziale i poteri del capo dello Stato. A spoglio delle schede quasi completato il Sì vince di misura, con il 51,32% mentre il No raggiunge il 48,68%. Il risultato è un Paese spaccato. La Riforma sarà in vigore da novembre 2019
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stanbul, 17 apr. – Vittoria a metà per il presidente Recep Tayyip Erdogan al referendum costituzionale tenuto ieri in Turchia. Il fronte del “sì” ha ottenuto un risicato 51,3%, inferiore di almeno 5 punti percentuali dalle aspettative espresse alla vigilia della consultazione, mentre quello del “no” si è fermato al 48,7%. Ma il risultato del referendum, accolto come una vittoria certa dalla leadership di Ankara già prima che venisse annunciato il risultato ufficiale, è stato fortemente contestato dai partiti d’opposizione, che hanno denunciato brogli e irregolarità nella procedura, mentre migliaia di cittadini sono usciti per le strade a protestare.
La differenza tra il sì e il no rappresentato da meno di 1,3 milioni di elettori (su un paese di 80 milioni di abitanti) traghetta il Paese dall’attuale sistema parlamentare ad un modello presidenziale “alla turca”, dove i poteri saranno concentrati nelle mani del capo dello stato e, nella fattispecie, dello stesso Erdogan.
Ma restano forti i dubbi sulla legittimità del risultato.
Il CHP (Partito repubblicano del popolo) che ha contestato complessivamente 2,5 milioni di voti, ha denunciato una seria irregolarità di procedura riguardante almeno 1,5 milioni di schede, dovuta alla decisione del Consiglio elettorale supremo (YSK) – giusto a qualche ora dalla chiusura dei seggi – di accettare come valide anche le buste senza il timbro ufficiale.
Il YSK si è giustificato indicando alcuni precedenti (2004 e 1994), senza però menzionare che la legge elettorale del 2010 ha espressamente vietato le buste senza timbro e aggiungendo di avere deciso di accettarle “su richiesta dell’AKP” – come ha affermato il presidente Sadi Güven – e portando gli oppositori a gridare allo scandalo. “Non si possono cambiare le regole del gioco a metà”, ha affermato il leader CHP Kemal Kiliçdaroglu, mentre Meral Akgener, nazionalista MHP distaccatasi dalla linea ufficiale del partito, ha detto che “il Consiglio ha commesso un crimine” e che “la Turchia non può proseguire con quest’onta”.
EROSIONE DI VOTI IN OLTRE 60 PROVINCE PER IL BLOCCO AKP-MHP
L’affluenza al voto si è registrata all’86% su oltre 56 milioni di elettori in 81 province. In attesa che tra 11-12 giorni il risultato elettorale venga formalizzato, colpiscono alcuni dati sulla distribuzione dei voti. Il primo riguarda la perdita di consensi del blocco AKP-MHP (rispettivamente il Partito della giustizia e dello sviluppo e il Partito di azione nazionalista) sostenitori del sì, rispetto alle elezioni del 1 novembre 2015 che ha registrato un calo di 10, 7 punti percentuali. Il “sì” è rimasto anche al di sotto del 51,7% ottenuto da Erdogan per l’elezione presidenziale del 2014. Il blocco AKP-MHP ha perso consensi in 63 province, confermando quanto anticipato da diversi sondaggi precedenti al referendum, riguardo al mancato supporto di parte della base elettorale dei due partiti al progetto presidenziale di Erdogan. Il risultato diventa ancor più significativo se si considerano i mezzi economici e mediatici impari della campagna elettorale condotta dal blocco del sì a confronto con quello del no.
CITTA’ CONTRO CAMPAGNE
I dati mettono in evidenza che il “no” ha vinto nelle città principali tra cui Istanbul (51,4%), Ankara (51,2%) e Smirne (oltre 70%). Ad Istanbul il “no” ha prevalso anche nel distretto di Uskudar, dove risiede Erdogan. Il risultato che emerge nelle città economicamente e industrialmente più sviluppate (tranne Gaziantep e Kayseri) si contrappone a quello delle province interne e rurali del paese, indicando una profonda spaccatura ra il contesto urbano e rurale del paese. Nelle città anche gli elettori AKP più istruiti risultano avere preso posizione a favore del no.
IL VOTO DEI CURDI
La ridotta capacità politica del partito filo-curdo HDP (Partito della democrazia e della pace), dovuta agli arresti dei membri e dei dirigenti del partito, nonchè al commissariamento di diversi comuni gestiti da amministrazioni filo-curde, hanno causato un calo di voti al fronte del “no” nelle province sudorientali a maggioranza curda. Mentre qui l’affluenza alle urne si è registrata attorno al 75-80% , il blocco HDP-CHP per il “no” ha avuto una perdita media di circa 7 punti percentuali rispetto alle elezioni del 1 novembre 2015. Anche nelle province del sudest sono stati riportati casi di irregolarità e episodi di ostracismo nei confronti dei membri HDP presenti ai seggi. Il portavoce del partito Osman Baydemir ha detto che presenteranno ricorso al Consiglio elettorale, “i risultati non sono da considerarsi definitivi finchè non avremo ottenuto risposta alle nostre contestazioni”, ha affermato Baydemir.
IL PROCESSO NEGOZIALE
Il risultato del referendum mette in forse anche il lungo e accidentato cammino europeo della Turchia. Per Kati Piri, rapporteur per la Turchia al Parlamento europeo, “la popolazione della Turchia, con una minima differenza, ha supportato un pacchetto costituzionale adatto ad un sistema autoritario, che darà a Erdogan poteri non controllati”, ha comunicato Piri. “È ovvio che con questo risultato la Turchia non possa entrare a far parte dell’Unione europea se il pacchetto verrà applicato i negoziati con l’UE verranno sospesi”, ha aggiunto la rapporteur, sottolineando che “i risultati hanno dimostrato che esistono milioni di persone in Turchia che condividono i valori europei e che hanno scelto un futuro diverso per il loro paese. L’UE non deve chiudere loro le porte in faccia”.
COSA SUCCEDERA’ ADESSO?
La vittoria risicata del “sì” presenta diversi interrogativi. Dopo il tentato golpe del 15 luglio scorso Erdogan contava di avere un forte avvallo popolare per portare avanti la propria agenda politica in un Paese che si trova sotto lo stato d’emergenza da oltre 8 mesi. Il piano presidenziale supportato solo dalla metà della popolazione è anche una risposta alle misure repressive ed emergenziali portate avanti finora e alla sempre più difficile situazione economica in cui si trova i paese. Secondo alcuni osservatori questo potrebbe condurre ad una scissione interna dello stesso AKP, dove secondo indiscrezioni apparse sulla stampa locale già si insiste per un ritorno di Erdogan a capo del suo partito. Sebbene sia stato previsto che, per permettere al parlamento di fare le relative modifiche legislative,la riforma diventi operativa a partire dal 3 novembre 2019 data in cui sono state fissate le elezioni generali e presidenziali, non è escluso che il parlamento decida di indire consultazioni anticipate.
redazione/agi/aska/
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