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Trump nel fortino del New York Times

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Il tycoon si è recato in visita al “New York Times” dove ha parlato a ruota libera con i giornalisti che durante la campagna lo avevano aspramente criticato e annuncia le mosse dei primi cento giorni: subito l’abrogazione dell’accordo Trans Pacifico (Tpp) e il rilancio del carbone ma nessun riferimento al muro col Messico e all’abrogazione dell’Obamacare.

Donald nella tana del New York Times: “Sfortunatamente vi leggo tutti i giorni”

Il presidente eletto prima cancella l’incontro, poi si presenta in redazione: ed è uno show

 NEW YORK – Gli Stati Uniti non devono impegnarsi nella costruzione delle altre nazioni; la guerra in Siria va fermata, secondo una strategia che conosce solo lui e non intende spiegare; fosse per lui, sarebbe tranquillamente in grado di gestire il governo americano e le proprie aziende; Obama si è comportato molto bene, lo stima, e lo ha avvertito di un grande problema da risolvere, che però non può rivelare; legge sempre il «New York Times», suo malgrado, perché senza vivrebbe vent’anni di più.

La lite con le tv  

E

ccovi alcuni estratti della prima intervista in live tweeting mai fatta da un presidente eletto degli Stati Uniti. Ieri mattina Trump aveva in programma un incontro con i vertici del «New York Times», dopo la lite del giorno prima con i capi delle grandi televisioni americane, a cui aveva rinfacciato di essere dei «bugiardi e disonesti», che non avevano capito nulla di cosa stava avvenendo nelle elezioni presidenziali, perché avevano gli occhi tappati dalla loro partigianeria a favore di Hillary Clinton.

Verso le sei del mattino il presidente eletto ha fatto sapere al mondo via Twitter che l’appuntamento era annullato: «Hanno cambiato le regole in corso, non sono stati gentili, non vado più». Il «Times» aveva risposto, altrettanto pubblicamente, che le regole erano sempre rimaste le stesse: incontro con i vertici, ma almeno in parte on the record, a differenza di quanto era accaduto con i capi delle televisioni. Quindi possibilità di riportare quello che diceva. Qualche ora dopo Trump ci ha ripensato, ed è entrato nei corridoi della «Grey Lady», la signora in grigio, il giornale di riferimento degli Stati Uniti. È passato davanti ai ritratti dei suoi predecessori e di altri grandi uomini del passato, per sedersi intorno a un tavolo con l’editore Arthur Sulzberger, il ceo Mark Thompson, il direttore Dean Baquet (un nero), Tom Friedman, Maureen Dowd, e tutti i reporter che hanno coperto la sua campagna e lo seguiranno alla Casa Bianca.

Siccome la storia mediatica del momento è che Trump usa i social per scavalcare i vecchi mezzi di comunicazione, e rivolgersi direttamente al popolo, il «Times» lo ha preso in parola e si è rivolto direttamente al popolo. Eric Lipton e Mike Grynbaum hanno rivelato la lista dei presenti e il tono. «Se vedete qualcosa che non funziona nella mia amministrazione, venite a dirmelo. Arthur può chiamarmi quando vuole», ha cominciato Donald.

La diretta su Internet

Poi Maggie Hamerman e Julie Davis hanno cominciato il diluvio dei tweet di cronaca. Sul conflitto di interessi: «Presumo che dovrei fare un blind trust, farò qualcosa. Però sarei perfettamente in grado di gestire contemporaneamente la Casa Bianca e le mie aziende». Su Steve Bannon, consigliere strategico accusato di razzismo: «Breitbart, il suo sito, è soltanto un mezzo di informazione. È conservatore, ma fa il vostro stesso lavoro. Quello che state dicendo su Bannon è totalmente ingiusto. Se avessi il minimo sospetto che fosse un razzista, non lo assumerei». Sui neonazisti che hanno gridato «Hail Trump» a Washington: «Li ripudio». Sul rapporto con l’establishment repubblicano: «Lo Speaker della Camera Paul Ryan e il leader del Senato Mitch McConnell mi amano. Anche il leader democratico, Charles Schumer, mi piace». Su Barack Obama: «Mi piace, ha detto cose belle di me, e io di lui. Mi ha spiegato qual è secondo lui il problema principale, ma adesso non posso dirvelo». Sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo: «Non credo che dobbiamo fare i nation builder», i poliziotti del mondo e i costruttori delle democrazie, come all’epoca di George W. Bush e i neocon. Sulla Siria: «Dobbiamo risolvere il problema. Io ho un’idea diversa da quella di tutti gli altri». Sul Medio Oriente: «Amerei essere la persona che fa la pace tra israeliani e palestinesi».

Alle 2,15 del pomeriggio l’incontro finisce, e comincia una nuova era nella storia delle comunicazione e degli Stati Uniti.

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lastampa/Donald nella tana del New York Times: “Sfortunatamente vi leggo tutti i giorni” PAOLO MASTROLILLI – INVIATO A NEW YORK

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