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ue uomini sono una famiglia? Secondo Simone Schinocca, 39 anni, torinese, sì: “Io e il mio compagno viviamo insieme da otto anni”. Gigliola Galli, una signora altrettanto torinese che di anno ne ha qualcuno in più non è d’accordo: “Quando parlo di famiglia parlo di qualcuno con dei figli, qualcuno che voglia essere stanziale”. Fatto sta che Gigliola ha rifiutato di dare il suo appartamento in affitto a Simone. Inutile aggiungere che è scoppiato un caso.
Torino, niente casa alla coppia gay: “Voglio solo famiglie con bambini”
L’inquilino mancato: “Viviamo insieme da 8 anni, a cosa servono allora le unioni civili?”. La proprietaria: “Non è discriminazione ma sono meno stanziali”. E scoppia la polemica
«Se non possiamo essere considerati una famiglia – continua – mi domando per quale ragione si continui a parlare di unioni civili». La signora Gigliola Galli, che di anni ne ha molti di più, ha un concetto differente: «Se parlo di famiglia penso a qualcuno con dei figli che voglia essere stanziale. Non una coppia, di che tipo sia non mi interessa, ma una famiglia con bimbi».
Ecco bisogna partire da qui, da questa interpretazione differente, per spiegare una storia dai confini non così netti, ma che sta facendo discutere e indignare il web. E occorre partire da via Cibrario, strada che inizia dal centro di Torino e arriva quasi in periferia. Con case eleganti e storiche. Del tutto identiche a quella che c’è all’imbocco di una traversa e che Simone Schinocca (e il suo compagno) volevano affittare.
Si erano rivolti ad un’agenzia che c’è lì a due passi «dall’appartamento negato». Hanno individuato l’appartamento e iniziato a fantasticare. La richiesta era di 680 euro al mese. Simone e Michele, come si fa in questi casi, hanno rilanciato a 650. È legittimo. «Ma dopo qualche giorno quelli dell’immobiliare ci hanno chiamati dicendo che la proposta era stata rifiutata. Che i padroni di casa cercavano una famiglia. Ma anche noi lo siamo, abbiamo detto. Viviamo nella casa attuale da 8 anni. Non vogliamo traslocare e poi andare via subito». Niente da fare. E Simone, scocciato, ha scritto su Facebook un lungo post nel quale parla di discriminazione: «Che non è un concetto astratto. È qui… è ora… È ovunque dietro l’angolo». Rifiutati perché gay? Possibile?
Alle cinque del pomeriggio del giorno in cui il caso divampa, la signora Gigliola Galli prende coraggio e parla senza nascondersi: «Io non voglio discriminare nessuno. E se ho detto no a quelle persone l’ho fatto esercitando ilmio diritto di padrone di casa». Per lei, Simone, è poco più che un bambino. Ha l’età più o meno della figlia, e sa che il web moltiplica ed espande ogni parola. E per questo adesso spiega: «Io volevo una famiglia con bambini. Non una coppia. Perché se la coppia si rompe, e magari se ne va quello più forte economicamente, mi ritrovo nei guai. Cioè con inquilini che magari non pagano più. È già accaduto. Non vorrei replicare».
A parlare qui, in questa casa molto borghese e molto torinese, di omofobia, di discriminazione, si ottiene soltanto una reazione stizzita: «Perché non è così. E chi lo dice mente. E chi mente va incontro a conseguenze». E allora perché ha detto no? «Perché anche dal punto di vista della solidità economica le garanzie che mi hanno dato non le ho giudicate soddisfacenti. Avrò pure il diritto di scegliere, no? Che reato ho fatto per finire sulla graticola in questo modo, e alla mia età?»
Ecco i due concetti di famiglia: tradizionale e con figli e quella nata dalle unioni civili. E la discriminazione? Il titolare dell’agenzia immobiliare che si è occupato di gestire l’affitto dell’alloggio, il geometra Cesare Mosso, mette mille paletti prima di dire: «Non avevamo vincoli se non quello della famiglia. I gay rifiutati per discriminazione? Ma va là, queste sono tutte balle». E allora si torna alla parola famiglia. Che forse in questo caso andrebbe spiegata con o senza figli. Perché altrimenti si parla di coppia.
E mentre tutti gli attori di questa vicenda dicono la loro, arriva un tweet della sindaca Chiara Appendino: «Come ogni volta in cui una persona viene discriminata per qualsiasi motivo, oggi una parte della nostra comunità è stata sconfitta». E gli fa eco Alessandro Battaglia del Torino Pride che, dal suo punto di osservazione privilegiato, dice: «Torino non è una città chiusa».
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