Questa volta era nell’aria, ma le elezioni, nonostante i sondaggi, possono riservare sorprese, e allora la neo eletta Presidente del Taiwan, Tsai Ing-wen, ha atteso la fine dello scrutinio dei voti, prima di esprimere la sua gratitudine ai cittadini che avevano creduto in lei. Ed erano tanti, le ha concesso fiducia circa il 60% dei votanti. Ha stravinto dunque la candidata del fronte indipendentista, contro l’avversario che invece ha sempre seguito una politica filo-cinese,  in sintonia con l’establishment di Pechino. La neo eletta Presidente Tsai Ing-wen, di 59 anni, è la prima donna a ricoprire un ruolo rappresentativo così importante in Taiwan, e il 16 gennaio scorso, data in cui è stata eletta, resterà comunque nella storia del suo paese.
span style="color: #000000; font-size: 12pt;">Gli americani hanno esaltato l’evento, definendolo ‘the formidable challange’- ‘la formidabile sfida’-
 I cinesi non nutrono una grande empatia nei suoi confronti. Le ragioni si conoscono ormai da anni, fin dalla sua militanza nel Partito democratico progressista (Dpp), lei del resto non ha mai fatto viaggiare in incognito le sue speranze d’indipendenza totale dal gigante che circonda le isole, e che ha sempre considerato il Taiwan (o Repubblica di Cina o Formosa), una semplice provincia della Cina (o Repubblica Popolare Cinese). E’ un filo rovente sempre teso, verso le sei isole che compongono questo cosiddetto ‘Stato de facto’, che ha poco più di venti milioni di abitanti. Un moscerino, se vogliamo, nei confronti del quasi miliardo e mezzo di abitanti che popolano la grande potenza che si trova al suo fianco, ossia la Cina. I due paesi hanno in comune la lingua, e tante caratteristiche culturali.
Ma gli abitanti di Taiwan sono sempre stati fieri della loro identità , e anche coloro che non si sono mai schierati a favore dell’indipendenza, ne difendono il ruolo in quel punto asiatico estremo.
Intanto però i portavoce del governo cinese hanno già fatto sapere che gli indipendentisti non devono farsi illusioni, e farebbero bene a non avanzare ulteriori pretese, per loro diventerebbe ‘veleno’. Come dire: ‘a buon intenditor..’ Non hanno aggiunto grandi commenti sulla vittoria della leader del partito progressista – è stata segretario di partito – i cinesi non amano circonvoluzioni di parole, misurati quali sono nel parlare, ma sono lapidari quando devono trasmettere un messaggio, e anche questa volta hanno rispettato in pieno il loro stile.
Il problema è che le loro dichiarazioni rimbalzano in un muro di ostinazione, e questa vittoria ha rinvigorito il Dpp a Taiwan, risvegliando un ideale d’indipendenza che rivendicano da decenni, e che in definitiva è sempre stato un fuoco discreto sotto la cenere. Mai brandito come arma di conflitto (anche perché consapevoli dei pericoli nei quali incorrerebbero), ma nemmeno sottomessi o disposti a tollerare una sudditanza che comporti ingerenze sulla loro politica interna.
La vittoria di Tsai Ing-wen è stata quasi travolgente contro l’avversario del Kuomintang (il partito nazionalista che ha guidato il governo prima di lei), Eric Chu. Il Kuomintang comincia la sua storia nel ’49, quando un gruppo di dissidenti parte dalla Cina e si rifugia in Taiwan con il generale Chiang Kai-shek, in seguito alla guerra civile contro Mao Zedong. Nonostante i precedenti di avversione contro la Repubblica Popolare Cinese, questo gruppo politico nazionalista, nel tempo è rimasto filo-cinese, in aperto contrasto con i progressisti. I cinesi non si sono comunque mai rassegnati allo Stato ‘de facto’ in Taiwan, e hanno continuato a insidiare le isole anche con le armi, fino ai primi anni ’90.
Infine, nel corso di un incontro diplomatico, avvenuto nel ’92, i rappresentanti della Cina Popolare e Taiwan, hanno dialogato per chiarire le ragioni delle loro controversie ‘internazionali’, ma non hanno risolto i  problemi di convivenza, dato che la Cina non ha accettato la separazione delle isole dal continente, e le due parti hanno concordato per l’esistenza di un solo stato cinese. Realtà che non ha poi avuto seguito tra coloro che invece, a Taiwan, aspirano a vivere in pieno il loro sogno d’indipendenza assoluta dal grande colosso.
La nuova eletta presidente Tsai Ing-wen, ha sempre dimostrato senso della realtà ed equilibrio, dovrà ora intrecciare un ordito convincente e avviare rapporti di distensione con il governo cinese, dato che, a livello di scambi commerciali, dipende in gran parte, e per ovvie ragioni, proprio dalla Cina. Indipendenza e ‘dipendenza’, dunque, che non sono semplici da scindere e avviare su percorsi separati. Poiché a Pechino, anche per una questione di vecchia ruggine, non cederanno mai alle pressioni dei progressisti che costituiscono la coalizione del nuovo presidente, non resterà che portare avanti l’aspirazione della totale autonomia, senza urtare gli umori del vicino, evitando una politica di contrasti e tensioni che davvero recherebbe solo danno agli interessi di Taiwan.
In Cina, l’elezione di Tsai Ing-wen, è stata accolta con freddezza dal governo, ma con entusiasmo dalle ‘femministe’ di Pechino, che vedono in lei una speranza di riscatto, data la poca considerazione che le donne hanno sempre avuto. Proprio le attiviste dei movimenti femminili, considerano l’evento di grande importanza e impulso, per favorire l’emancipazione e una maggiore partecipazione delle donne alla vita pubblica di uno dei paesi forse più misogini, sono pochissime infatti le presenze femminili all’interno delle istituzioni cinesi.Â
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