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Taglio vitalizi: ecco come funzionano, quanto si risparmierebbe e come funzionano negli altri Paesi

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iprende oggi alla Camera l’esame della pdl Richetti per lo stop ai vitalizi che, dopo il voto finale di Montecitorio previsto entro oggi, passerà al Senato per il via libera definitivo. Ma la battaglia politica resta accesissima, nonostante sulla carta i numeri dicono che la legge dovrebbe passare con ampio margine. I sì annunciati sono infatti quelli del Pd, dei 5 Stelle, della Lega Nord e di Fratelli d’Italia.

Ma prima vediamo come funzionano i vitalizi in Italia (e come si vogliono modificare)

Il vitalizio è l’ ‘assegno pensionistico’ che i parlamentari ricevono alla fine del mandato e non prima di aver compiuto il 65esimo anno di età (salvo eccezioni). L’importo viene calcolato con il sistema contributivo, analogo a quello vigente per tutti i dipendenti dello Stato.

30 gennaio 2012 – L’ufficio di presidenza della Camera modifica il sistema previdenziale dei deputati. Manda in soffitta il vitalizio (che esisteva dalla prima legislatura del Parlamento repubblicano) e introduce una nuova normativa, che si applica:

  • ‘integralmente’ a tutti i deputati eletti per la prima volta dopo il 1 gennaio del 2012, dunque a quelli della legislatura in corso, la XVII – iniziata il 15 marzo del 2013.
  • ai deputati in carica al 31 dicembre del 2011 e a quelli già cessati dal mandato e successivamente rieletti, si applica invece un sistema ‘pro rata’.

Il diritto alla pensione viene conseguito dai deputati, dai senatori e dai consiglieri regionali a 65 anni se si è esercitato il mandato da parlamentare per almeno 5 anni; i deputati di prima nomina, invece, maturano il diritto dopo 4 anni, 6 mesi e 1 giorno dalla proclamazione, ovvero 6 mesi prima della conclusione naturale della legislatura. Per ogni anno di lavoro in più alla Camera, il deputato ha poi diritto ad andare in pensione un anno prima rispetto al previsto, con un limite di 60 anni. Per ottenere la pensione gli onorevoli versano un contributo pari all’8,8% dell’indennità lorda. Per la precisione 918,28 euro al mese.

Come abolire il vitalizio

Una legge approvata dai due rami del Parlamento o una semplice delibera degli Uffici di Presidenza di Camera e Senato? Entrambe le vie sarebbero idonee per raggiungere l’obiettivo di abolire qualsiasi forma di vitalizio per gli ex parlamentari o, più correttamente, di pensione – che oggi scatta dopo una sola legislatura, esattamente dopo 4 anni e sei mesi – spettante a deputati e senatori. Tra le diverse proposte in campo, almeno 7 quelle depositate in commissione, le proposte di Pd e 5 Stelle si equivalgono nell’obiettivo: la pensione dei parlamentari uguale a quelle di qualsiasi altro cittadino.

Differisce, invece, la strada da percorrere per arrivare a raggiungere l’obiettivo.

  • Per il Movimento 5 Stelle basterebbe una decisione in tal senso da parte dell’Ufficio di presidenza della Camera e, contestualmente, di quello del Senato. Dunque, la proposta potrebbe vedere la luce in tempi non biblici, purché a deliberare siano contestualmente entrambi i due organismi. Del resto, esiste già una sorta di precedente a cui potersi rifare: Camera e Senato hanno deciso, con delibera dei rispettivi uffici di Presidenza, di revocare la pensione agli ex parlamentari che hanno subito una condanna in via definitiva con pena superiore a due anni. Si tratta di una prima decisione assunta nel luglio del 2015 e poi aggiornata lo scorso ottobre, che ha di fatto tolto la pensione da parlamentare a 24 ex tra deputati e senatori (tra cui Silvio Berlusconi e Vittorio Cecchi Gori). Tra i componenti dell’Ufficio di presidenza di Montecitorio, c’è chi ricorda che in quell’occasione fu il leghista Davide Caparini a proporre in quella sede un’iniziativa volta a eliminare qualsiasi vitalizio per i parlamentari. L’eliminazione della pensione agli ex parlamentari condannati è stata un’iniziativa degli stessi presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso, nel maggio del 2015.
  • Per il Pd, invece, si può procedere anche con legge ordinaria, tanto che il dem Matteo Richetti ha presentato circa due anni fa (9 luglio 2015) una proposta di legge per una nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali, a cui sono state abbinate altre 7 proposte di legge, tra cui una della Lega e altre del Pd.

La proposta dei Cinque Stelle

Per i pentastellati il trattamento pensionistico dei parlamentari deve essere uguale a quello di tutti gli altri lavoratori. I contributi versati dai parlamentari in carica vanno a confluire nelle casse della previdenza pubblica e valgono per il conseguimento della pensione come accade per qualsiasi cittadino.

  • Contribuzione dei deputati: il trattamento previdenziale dei deputati è determinato sulla base del metodo di calcolo previsto dalla cosiddetta legge “Dini”. Si applica, altresì anche la cosiddetta legge “Fornero”. I deputati maturano il diritto alla pensione secondo le norme previste dal fondo previdenziale presso cui sono iscritti.
  • Entrata in vigore e ambito di applicazione: il presente Regolamento entra in vigore il giorno successivo alla data della sua approvazione. Le disposizioni si applicano anche ai deputati in carica nel corso della XVII Legislatura (ovvero quella attuale).

​La proposta del Pd

Il testo a prima firma del deputato dem Richetti mira alla abolizione dei vitalizi dei parlamentari e all’estensione nei loro confronti del sistema previdenziale contributivo vigente per i dipendenti pubblici.

  • Nuove norme anche per ex parlamentari: la proposta prevede che il nuovo sistema, interamente contributivo, si applichi integralmente non solo ai parlamentari in carica, ma anche a quelli cessati dal mandato che percepiscono gli assegni vitalizi o il trattamento previdenziale nella misura definita dalla disciplina vigente al momento della maturazione del diritto.
  • Consiglieri regionali: è disposta inoltre l’estensione di tale disciplina nei confronti dei consiglieri regionali, attraverso l’adozione di provvedimenti da parte delle regioni e delle province autonome.
  • Gestione separata Inps: le nuove norme si applicano a tutti gli eletti. A quelli in carica alla data di entrata in vigore della legge, a quelli eletti successivamente e a quelli cessati dal mandato. Sarà istituita presso l’INPS un’apposita gestione separata dei fondi destinati al trattamento previdenziale dei parlamentari. Nella suddetta gestione separata, dotata di autonomia finanziaria, contabile e di gestione, afferiscono le risorse destinate unicamente al trattamento previdenziale dei parlamentari.

Taglio vitalizi, ecco quanto si risparmierebbe

La legge, nella sua filosofia, prevede l’addio ai vitalizi dei parlamentari, con l’arrivo anche per deputati e senatori del sistema previdenziale contributivo, vigente per i dipendenti pubblici. Un sistema interamente contributivo, che sarà applicato non solo ai parlamentari in carica, ma anche a quelli che – terminato il mandato – percepiscono gli assegni vitalizi. Quanto si risparmierebbe?

Con le nuove norme la spesa per i vitalizi si ridurrebbe del 40%. “I vitalizi dei parlamentari sono quasi il doppio di quanto sarebbe giustificato alla luce dei contributi versati”, spiegò nel maggio scorso Tito Boeri, in audizione nella commissione Affari costituzionali della Camera. Il risparmio, osservò il presidente dell’Inps, sarebbe “in grado di contribuire in modo significativo alla riduzione della spesa pubblica o al finanziamento di programmi sociali”.

Portando le prestazioni parlamentari ai valori normali infatti la spesa scenderebbe a 118 milioni, con un risparmio, dunque, di circa 76 milioni di euro all’anno (760 milioni nei prossimi 10 anni). Nel dettaglio, con l’applicazione del sistema contributivo il vitalizio parlamentare minimo passerebbe da 26.379 euro a 2.487 euro, mentre quello medio scenderebbe da 56.830 euro a 33.568 euro. I tagli interesserebbero il 96% dei casi.

La legge prevede inoltre che il parlamentare, per avere diritto alla pensione, dovrà avere esercitato il mandato per almeno 5 anni, mentre la pensione si potrà ricevere a partire dal compimento dei 65 anni di età. Infine è prevista la costituzione, presso l’Inps, di una apposita sezione per la gestione separata dei fondi destinati al trattamento previdenziale dei parlamentari, norma quest’ultima che – bocciata dalla Commissione Bilancio – potrebbe palesare un rischio di incostituzionalità.

Vitalizi: ecco come funzionano negli altri Paesi

Negli Stati Uniti e nel Regno Unito c’è una vera e propria pensione. In Germania un vitalizio che sostituisce la pensione. In Russia, come in Italia, ci sono entrambi e, come in Italia scatenano polemiche tra i partiti. In Europa, invece, chi è stato eletto europarlamentare prima del 2009, gode di un emolumento più ricco di chi è giunto a Strasburgo più tardi, se il proprio Parlamento nazionale garantiva stipendi più ricchi di quello comunitario. Mentre in Italia continuano a infuriare le polemiche, ecco i trattamenti economici che ricevono i politici di altri Paesi.

Usa: in pensione a qualsiasi età con 25 anni di servizio

I membri del Congresso Usa hanno diritto a una pensione all’età di 62 anni, se hanno completato almeno cinque anni di servizio. Possono invece beneficiare di una pensione già a 50 anni, ma solo se hanno accumulato 20 anni di servizio, oppure a qualsiasi età se hanno completato 25 anni di servizio. L’importo della pensione dipende dagli anni di servizio, mentre la media delle più alte corrisponde a tre anni di stipendio. Secondo la legge statunitense, l’importo di partenza di una rendita da pensionamento di un membro del Congresso non può comunque superare l’80% della sua retribuzione.

Lo stipendio di un rappresentante americano è di circa 120.000 euro all’anno, poco più di 10.000 euro al mese. I leader dei rispettivi partiti arrivano più o meno a 180.000 euro annui, mentre lo speaker della Camera guadagna intorno ai 210.000 euro. Il sistema americano è molto trasparente: ogni rappresentante eletto, secondo le morme etiche previste dall’Ethics in Government Act del 1978, deve rendere pubblica la personal financial disclosure, un documento in cui attesta la propria situazione economica. Inoltre tutte le spese delle Camere, dagli stipendi degli staff alle spese di cancelleria, vengono riportate in un documento, lo Statemente of disbursements of the House, pubblicato periodicamente sul web.

Gran Bretagna: per i parlamentari un sistema “contributivo”

L’età minima della pensione dei parlamentari inglesi è 55 anni, anche se normalmente si arriva intorno ai 65. Il trattamento si basa sulla durata del periodo di servizio e sullo stipendio finale del parlamentare. Per ogni anno di servizio il parlamentare riceverà una pensione compresa tra un quarto e un sesto dello stipendio finale in base al rateo di contributi da versare e che può essere compreso tra tre aliquote (11,9% equivale a un quarto, 7,9% equivale a un quinto e 5,9% equivale invece a un sesto).
Le pensioni potranno essere aumentate annualmente sulla base dell’aumento dell’inflazione. In media un parlamentare che abbia svolto il suo compito per 15 anni, pagando il massimo dei contributi, potrebbe ricevere una pensione di circa 22.500 sterline all’anno, ovvero un terzo del suo stipendio da deputato.

Russia: anche a Mosca c’è la polemica sui vitalizi

Anche in Russia, come in Italia, i parlamentari sono percepiti come una casta. La questione delle loro pensioni e dei vitalizi però non è oggetto di scandalo nella società, assuefatta e indifferente a certi privilegi.
Duma Consiglio della Federazione, i due rami del parlamento russo, vengono eletti con un mandato di cinque anni. I parlamentari ricevono la cosiddetta “pensione base” calcolata su anzianità e diversi altri fattori e che si aggira, come per tutti i lavoratori, intorno ai 13.700 rubli (quasi 225 euro). Quello che fa la differenza è il cosiddetto “supplemento alla pensione”, un vero e proprio vitalizio, calcolato con metodo retributivo: il 55% del salario mensile, se hai lavorato da cinque a 10 anni e il 75%, se hai lavorato oltre i 10 anni. Secondo la legge, il cosiddetto “salario di base” per un parlamentare russo e’ di 81.500 rubli (1.332 euro), di recente tagliato del 10% a 73.000 rubli (1.193 euro). La cifra non riguarda i presidenti delle due Camere, che hanno un trattamento salariale diverso. Parliamo, quindi, di vitalizi che vanno dai 40.000 ai 55.000 rubli (853 – 898 euro) al mese. I parlamentari che sono rimasti in carica meno di cinque anni non hanno diritto alla rendita aggiuntiva. Così, facendo i calcoli, la pensione di un parlamentare russo non dovrebbe superare i 68.700 rubli, l’equivalente di 1.123 euro. Da considerare, però, che il salario reale di un parlamentare in carica varia molto e può arrivare in media a 400.000 rubli (circa 6.500 euro), calcolando diverse indennità, bonus e la retribuzione che arriva dal partito. Anche se ufficialmente non sono cifre da capogiro, si tratta di pensioni molto alte, rispetto alla media nazionale, e alle quali va aggiunta anche una sorta di rendita a vita, garantita ai qui parlamentari che sono insigniti di un qualche riconoscimento statale, cosa che succede di frequente.

Il tema del trattamento pensionistico di deputati e senatori non è oggetto di accesi dibattiti nell’opinione pubblica russa. Alla Duma, però, il deputato del Partito Comunista (Kprf), Alexey Kurinny, ha presentato a gennaio un disegno di legge per abolire i vitalizi, in quanto – a suo dire – rendono le pensioni degli ex parlamentari troppo superiori alla media nazionale. Stando a Kurinny, il sistema attuale è un’ingiustizia nei confronti del resto dei pensionati russi. Il vice presidente della Commissione per il lavoro e le politiche sociali alla Duma, Mikhail Terentiev, ha dichiarato a Russia Today che sosterra’ l’iniziativa qualora si rivelasse vantaggiosa per il bilancio pubblico. Rafael Mardanshin, vice presidente della Commissione per la legislazione alla Duma, e membro del partito di governo Russia Unita, si è opposto e ha ricordato che, essendo i parlamentari equiparati per legge allo status di ministri, bisognerebbe applicare la revoca del vitalizio anche ai membri del potere esecutivo.
A ottobre, i deputati del partito Russia Giusta, inoltre, hanno proposto di livellare alla media nazionale (35.000 rubli, 572 euro) gli stipendi dei parlamentari. A loro dire, è necessario privare i membri delle due Camere del Parlamento anche di una serie di “privilegi ingiustificati”, tra cui appunto quello del vitalizio. Dal 1 gennaio 2017, la Russia ha iniziato ad aumentare in modo graduale l’età pensionabile per i funzionari pubblici che passerà dai 60 ai 65 anni per gli uomini e dai 55 ai 63 anni per le donne.

Germania: il vitalizio sostituisce la pensione

Anche in Germania non mancano le polemiche in tema di vitalizi dei parlamentari. Così, mentre una parte della Cdu – il partito di Angela Merkel, attualmente al governo con la Spd – ritiene che sia ipotizzabile alzare l’età pensionabile fino a settant’anni, dall’anno scorso i deputati tedeschi hanno la possibilità di andare in pensione a 56 anni, se avranno lavorato al Bundestag per 18 anni. Il meccanismo entra in vigore dopo gli otto anni di lavoro da parlamentare: fino ad allora l’età pensionabile scatta a 67 anni, da quel momento in poi ogni anno essa scatta in avanti ogni anno di un anno, per un massimo di dieci anni. Per esempio, un “Abgeordneter” (deputato) nato nel 1960 che avesse passato 18 anni in Parlamento, potrebbe andare in pensione anticipata appunto a 56 anni portandosi a casa un assegno di 4087 euro. Successivi introiti personali, ossia se il politico dovesse tornare a lavorare dopo l’impegno parlamentare, non peseranno sul suo regime previdenziale.
Tecnicamente, la pensione dei parlamentari tedeschi è una indennità d’anzianità che viene riconosciuta secondo il dettame della Costituzione federale, la quale afferma che essa è pensata per garantire l’indipendenza dei deputati. In pratica, questo vitalizio sostituisce il trattamento pensionistico normale, dato che durante il loro mandato non vengono sostenuti i relativi contributi.

Se l’assegno minimo di pensione è di circa 1800 euro, la somma massima equivale al 67,5% dello stipendio da deputato a circa 5000 euro, e in teoria si raggiunge dopo 23 anni di attività parlamentare, e dunque riguarda in teoria ben pochi tra i 630 deputati eletti. I quali, a partire dallo scorso luglio, si sono però concessi un aumento delle proprie indennità a circa 9327 euro mensili – si tratta di un balzo del 2,3% – a cui va aggiunta l’indennità fissa destinata a coprire le spese essenziali (piu’ di 4300 euro), sulla quale peraltro non vengono pagate tasse. Inoltre vengono garantiti trasporti gratuiti, mentre il Bundestag corrisponde la metà dell’assicurazione sanitaria. Sono previste tra le altre cose anche ulteriori indennità di funzione, per esempio capigruppo, presidenti di commissioni e similari.
L’ultima polemica riguarda una recente decisione dei deputati del Landtag (il parlamento regionale) del Baden-Wuerttemberg, dove con quello che i giornali hanno definito “un vero blitz”, i gruppi di Cdu, Verdi ed Spd avevano varato una norma che in sostanza avrebbe portato ad un aumento del loro trattamento pensionistico. Dopo critiche furibonde, è stato deciso un dietrofront altrettanto fulmineo.

Ue: pensioni d’oro possibili solo per gli eletti prima del 2009

Nessuna pensione d’oro o vitalizio per i deputati del Parlamento Europeo, anche se il ritorno alla vita da cittadino comune è facilitato da un’indennità transitoria che puo’ valere oltre 200 mila euro lordi. Dal 2009, a seguito di una profonda riforma dello statuto degli eurodeputati, le regole dell’Assemblea di Strasburgo hanno parificato il trattamento previdenziale dei suoi membri, che precedentemente erano trattati come i parlamentari nazionali. Le norme attuali prevedono che, al compimento del sessantatreesimo anno di età, gli ex deputati abbiano diritto a una pensione, che ammonta al 3,5% dello stipendio per ogni anno compiuto di esercizio del mandato, sino a un massimo complessivo del 70%. Concretamente, dopo 20 anni di mandato (quattro legislature) un ex europarlamentare può intascare ogni anno al massimo circa 71 mila euro lordi (55 mila euro netti). Dopo una sola legislatura, la pensione vale circa 17.800 euro l’anno lordi (la tassazione è minima). Il trattamento previdenziale viene erogato direttamente dal bilancio comunitario. Alcuni deputati, eletti all’Europarlamento prima del 2009, possono ancora godere dei benefici dei parlamentari nazionali e di una pensione integrativa finanziata parzialmente dall’Europarlamento.

Il valore della pensione è calcolato sulla base della retribuzione mensile dei deputati europei, che ammonta al 38,5% di quella di un giudice della Corte di giustizia dell’Unione Europea. Dal 1 luglio 2016, lo stipendio di ciascun deputato è di 8.484,05 euro lordi al mese, su cui si applicano le aliquote particolarmente vantaggiose previste per tutti i funzionari europei. Al netto delle tasse, la retribuzione mensile è di 6.611,47 euro. E’ sulla base di queste cifre che si applica il 3,5% per ogni anno, con un massimo del 70%. Il diritto alla pensione sussiste a prescindere da altri trattamenti pensionistici. La pensione, in caso di decesso, è reversibile per moglie e figli a carico (fino a 21 anni). Lo statuto dei deputati prevede anche una pensione di invalidità, nel caso in cui insorga nel corso del mandato, che ammonta a almeno il 35% della retribuzione. Gli ex deputati titolari di una pensione hanno diritto al rimborso dei due terzi delle spese mediche e delle spese derivanti da gravidanza o dalla nascita di un figlio.

Fino al 2009 per i deputati europei esisteva la possibilità di andare in pensione anticipata a 50 anni, grazie a un fondo di vitalizio volontario parzialmente finanziato dall’Europarlamento. Ma questo privilegio è stato abolito con l’adozione del nuovo statuto. Il regime vitalizio integrativo per i deputati era stato introdotto nel 1989 come pensione integrativa. Tuttavia, da otto anni, non accoglie più nuovi iscritti e viene progressivamente abbandonato. Una volta terminato il mandato, gli ex deputati europei hanno invece diritto a un’indennità transitoria pari a un mese di retribuzione per ogni anno di mandato. L’obiettivo dovrebbe essere di facilitare il ritorno verso un’altra attività professionale. L’indennità transitoria viene concessa per minimo sei mesi (circa 50 mila euro lordi complessivi) e per un massimo di due anni (circa 203 mila euro lordi in totale). In caso di assunzione di un nuovo mandato in un altro parlamento o di una carica pubblica, l’indennità transitoria viene versata sino all’inizio del mandato o all’entrata in carica.

redazione vivicentro/ Agi / Adnkronos

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