span id="m_3396540836834236945docs-internal-guid-5266182b-ab57-9521-8da7-dfc6c10d86ef">Roberto Bolle ha portato la danza in prima serata su Rai 1 ed è stato un successo di pubblico con oltre 4 milioni di spettatori. Un programma asciutto che ha divulgato l’arte del balletto senza svilirlo. Come spiega la nostra critica Alessandra Comazzi “un esempio di come la televisione può essere un’ottima maestra di informazione, formazione e intrattenimento”.
Sorpresa, Bolle conquista la tv
«C’è Bolle che balla che bello», e profetiche furono le parole di Virginia Raffaele al Festival di Sanremo. Roberto Bolle non soltanto è tornato a ballare in tv, ma lo ha fatto su Rai1, la rete più generalista di tutte, primato conteso soltanto dalla omologa ammiraglia di Mediaset, Canale 5.
E tutte e due, Rai1 e Canale 5 hanno dimostrato l’altra sera quanto possa essere diversa la loro missione, quanto pluralistica l’offerta e stimolante la concorrenza. Gli ascolti maggiori, nel sabato tv ritornato per una volta centrale, li ha avuti proprio Canale 5, con «Tu sì que vales», caccia di talenti che è la quintessenza del divertimento popolare ammiccante e caciarone, ancorché professionale: 4 milioni 674 mila spettatori. Ma la notizia è che gli spettatori di «La mia danza libera» sono stati 4 milioni (3 milioni 907): che sono un’enormità per questo programma compatto, finalmente non assurdamente lungo, che ha divulgato l’arte della danza, senza però svilirla, o trasformarla in macchietta. Un esempio di come la televisione, alla faccia di quello che diceva McLuhan, con la sua tv «cattiva maestra» può essere invece un’ottima maestra, di informazione, formazione e intrattenimento. Basta che qualcuno ci creda e glielo lasci fare.
«La mia danza libera» aveva la produzione di Ballandi e due autori: uno, lo stesso Bolle; l’altro, Giampiero Solari, lui stesso marchio di qualità vivente, avendo curato gli spettacoli di Fiorello e Panariello, Pausini e Morandi, Renato Zero e Celentano. E qui si è inventata una narrazione: un po’ new age, basata sul corpo che fluttua e va nell’acqua e si libera ed è leggero, leggero. Però, non bastava la narrazione: ci voleva un personaggio come Bolle, «bravo, bello, umile, generoso, e pure ricco», come ha detto Elio, per riuscire a superare quel soffitto di cristallo che il balletto, un po’ come le donne, si trova sulla testa. Lui, d’altronde, sembra sbucato dal marmo, creatura michelangiolesca degna di una lezione di anatomia: e questo aiuta. Anche se non aiuta il fatto che parli. Non che dica sciocchezze, anzi, ma è curioso come da quel corpo vengano fuori quel vocino e quell’intonazione.
Però sapienza è consapevolezza: e quindi, nello spettacolo, ha parlato poco. Ma ha ballato molto: alla sbarra con Bollani che suonava il pianoforte; con Nicoletta Manni, prima ballerina della Scala, mentre Elio cantava Dean Martin; con Misty Copeland, con Alicia Amitrain, e con altre stelle assortite. Lo accompagnavano Luisa Ranieri incantata da cotanto muscolo e Francesco Pannofino, il ritmo è stato acceso, gli esempi di classica si sono alternati a quelli di contemporanea. Bolle ha accettato l’ironia e il ballo del qua qua; ha fatto danzare, tra l’altro non male, pure Jovanotti («Ho compiuto 50 anni, questo è il mio più bel regalo») e si è intrattenuto con una grande Virginia Raffaele, che ha fatto la Fracci e la Fracci è apparsa, in un gioco di specchi, raffinato e metaforico eppure pop, nel senso squisito del termine.
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