Depistaggio strage via d’Amelio, Fiammetta Borsellino: “Incredibile che il Viminale non si sia costituito parte civile”
“Ritengo assolutamente incredibile che il Viminale non sia parte civile di questo processo. Una cosa che ha rilevato anche lo stesso pubblico ministero è che questi funzionari dello Stato non solo hanno anche fatto delle carriere, ma attualmente ricoprono comunque il loro posto di lavoro” questo il commento di Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso il 19 luglio del 1992, che ai microfoni di Uno nessuno 100Milan in onda su Radio 24 ha ritenuto scandalosa la decisione del Ministero dell’Interno di non costituirsi parte civile al processo per il depistaggio delle prime indagini sulla strage di via d’Amelio.
Venerdì scorso il giudice per l’udienza preliminare, Graziella Luparello, ha rinviato a giudizio per calunnia aggravata tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.
“Il ministro Salvini – continua Fiammetta Borsellino rivolgendosi direttamente al vicepremier – non dovrebbe avere bisogno del mio appello per capire che si dovrebbero prendere delle posizioni chiare e precise anche nei confronti di dipendenti dello Stato, perché non ci possono essere dipendenti di serie A o di serie B. Io penso, e tutti noi lo sappiamo, che chiunque sbaglia in questo ordinamento è oggetto comunque di provvedimenti, anche di sospensione, e in questo caso secondo me sarebbe lecita una cosa del genere”.
Nel provvedimento di chiusura indagine, sette pagine, la procura nissena aveva ricostruito il presunto ruolo di Bo, Mattei e Ribaudo nel depistaggio. Bo, prima che Scarantino mostrasse la volontà di collaborare con la giustizia, seguita poi da mille ritrattazioni, gli avrebbe suggerito, anche mostrando le foto dei personaggi da accusare, cosa riferire all’autorità giudiziaria. E avrebbe fatto pressioni imbeccando Scarantino in modo che riconoscesse alcuni indagati, istruendolo sulla verità da fornire e facendogli superare le contraddizioni con le versioni rese da altri due pentiti: Salvatore Candura e Francesco Andriotta.
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