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Castellammare di Stabia

I sovranisti che spaccano la destra

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sovranisti che spaccano la destra: da Donald Trump allo Uk Independence Party, da Alternative für Deutschland a Marine Le Pen, per giungere infine alle nostre recenti vicende casalinghe, Berlusconi e Salvini, Marchini e Meloni: tutte le democrazie debbono vedersela con la crescita prepotente della destra che viene detta populista – ma che andrebbe invece chiamata sovranista, perché il nocciolo del suo programma è che sia restituita piena sovranità allo Stato nazionale. E dovunque le forze del centrodestra moderato subiscono l’impatto di questi nuovi cugini chiassosi e maleducati (politicamente, s’intende), e si chiedono quale sia il modo migliore di affrontarne la concorrenza, e se sia il caso di allearsi con loro.

Per cercare di capire un po’ meglio che cosa stia accadendo, potrebbe forse essere utile azzardare una comparazione, non ovvia, con i partiti comunisti che nacquero in Europa un secolo fa, dopo la rivoluzione russa dell’ottobre 1917.

Sia chiaro: non sto affatto sostenendo che i movimenti sovranisti di oggi siano simili a quelli comunisti di cent’anni or sono, tanto meno che lo siano ideologicamente, e il parallelismo non mi serve per benedire né maledire nessuno. Sto soltanto cercando nella storia qualche indicazione che ci aiuti a orientarci nel nostro presente e, possibilmente, futuro.

Tanto il comunismo quanto il sovranismo, in primo luogo, sono emersi a valle di crisi epocali. E, più precisamente ancora, del diffondersi della convinzione che l’ordine liberale – fondato sulla crescente e pacifica integrazione commerciale, produttiva, culturale, demografica del pianeta – non fosse più in grado di affrontare le sfide della storia. All’inizio del Novecento, naturalmente, la crisi del liberalismo fu ben più profonda, se non altro perché bagnata nel sangue della Grande Guerra. A noi del ventunesimo secolo è toccata «soltanto» una depressione economica devastante. Sarebbe tuttavia un errore imperdonabile sottovalutare la serietà della sfida demografica dei nostri tempi – l’abbinata fra l’invecchiare dell’Europa e il montare delle pressioni migratorie –, che per certi versi è ancora più grave e difficile da risolvere della crisi politica e sociale dalla quale cent’anni fa scaturì il comunismo.

Adesso come allora, in secondo luogo, le élite politiche tradizionali hanno durato gran fatica a conformare il proprio linguaggio alla nuova realtà, un po’ perché non l’hanno compresa, un po’ perché hanno sperato così di esorcizzarla. E nello iato crescente fra le esperienze quotidiane degli uomini qualunque e il linguaggio pubblico «ufficiale» – della politica, ma anche dei media e degli intellettuali – è maturato lo stato d’animo che chiamiamo antipolitico o populista, fatto di frustrazione, indignazione, fughe dalla realtà, utopie più o meno sconclusionate. Con la differenza non da poco che un secolo fa quello stato d’animo ha assunto forme attivistiche, creative, militanti, spesso violente; mentre oggi assume in genere il volto nichilista della depressione e dell’astensione. Alle domande da cui è scaturito l’atteggiamento populista ha dato allora risposta il comunismo, e oggi la dà il sovranismo.

L’uno e l’altro, in terzo luogo, hanno modificato profondamente i sistemi politici nei quali sono emersi. Ne hanno spostato il baricentro, costringendo le altre forze politiche a rispondere alla loro concorrenza sugli argomenti del giorno. Per indicare fino a che punto i sovranisti abbiano imposto la loro agenda, in Francia si parla di «lepenizzazione degli spiriti»; ma si pensi anche al ruolo che hanno avuto i comunisti nell’obbligare i propri avversari a confrontarsi coi temi del lavoro e la questione sociale. Hanno poi diviso profondamente e stabilmente l’emisfero politico nel quale si sono collocati: i comunisti hanno spaccato la sinistra per decenni; i sovranisti stanno adesso spaccando la destra. E hanno contribuito a generare fenomeni affini nell’emisfero opposto: il fascismo negli Anni Venti del secolo scorso; e oggi il «sovranismo di sinistra»: Podemos, Syriza, per certi versi il Movimento 5 stelle.

Se il parallelismo che ho disegnato ha un senso, possiamo allora provare a trarne qualche indicazione per il futuro. Con grande cautela, s’intende, considerate le enormi differenze dalle quali i due fenomeni storici restano comunque separati. Indicazioni su tre sfide, in particolare. La prima è una sfida a tutti noi: i fenomeni politici che affondano le radici in crisi epocali vivono a lungo. Il comunismo è stato con noi per settant’anni. Non è detto che il sovranismo durerà altrettanto, ma con ogni probabilità s’illude chi spera di sbarazzarsene in tempi brevi. La seconda è una sfida ai sovranisti: in settant’anni di vita, fatalmente limitati dal loro isolamento e dalla loro posizione estrema, i partiti comunisti non sono mai riusciti a vincere un’elezione libera in nessun Paese europeo. La terza è una sfida a tutta la metà destra del sistema politico. I comunisti hanno diviso la sinistra e intrattenuto rapporti assai difficili con le altre sinistre. Così facendo – basti pensare all’Italia e alla Francia – hanno finito per regalare decenni di egemonia ai partiti moderati e conservatori. Grazie ai sovranisti, questo destino fortunato potrebbe toccare oggi ai progressisti.

vivicentro.it-editoriale / lastampa / I sovranisti che spaccano la destra GIOVANNI ORSINA

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