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a nostra società è ammalata. Ha la temperatura alta e, ormai, straparla di continuo. Non viene da crederci a sentire quanta volgarità trasuda dalle varie trasmissioni televisive, radiofoniche, o a leggere i “post” sui vari social. Tutti manifestano un irrefrenabile bisogno di ricorrere al turpiloquio, ad alzare la voce, a parlare mentre parla un altro per interromperlo ed impedirgli di parlare, per sviarlo, distrarlo e confonderlo. Il tutto condito di arroganza e prepotenza.
A leggere i post sui social vien da pensare che si sia capitati dentro un riformatorio per adolescenti tarati o in un ospedale dove sono ricoverati degli sventurati affetti da disturbi psichici, con spunti che vanno dall’aggressività verbale , fino a propositi di violenza bruta. Ma il tutto viene spacciato come libertà, come rivendicazione al diritto di poter dire quello che si pensa. E qui sta il dramma, che non sono cose solo dette. Ma soprattutto pensate. Non si sono persi solo i freni inibitori verbali, ma anche quelli etici. Ognuno crede di aver il diritto di imporsi sugli altri, anche usando la violenza.
A scuola ci avevano insegnato che bisogna stare composti, parlare educatamente uno alla volta, chiedere il permesso di parlare ed aspettare il proprio turno.
Qualcuno aveva detto che la nostra libertà individuale finisce laddove comincia quella degli altri…
Ed invece?
Le cronache di queste settimane ci dicono che la libertà ormai vuol dire aggressività e maleducazione.
È veramente desolante…
In occasione della congiuntura della formazione del nuovo governo, sul Presidente Mattarella si sono rovesciate secchiate di improperi, insulti, minacce a più non posso. Alcuni parlamentari che si vantano di “rappresentare la Nazione” (Costit. art.67), in quei giorni erano sfrenati; non hanno lanciato offese, ma hanno dato esempio di sguaiatezza, impulsività al limite della decenza. Le varie tifoserie, per imitazione, a loro volta si sono scatenate in offese, minacce, sentenze sommarie che non si sarebbero mai sentite neanche nella più sordida delle taverne di altri tempi. Improperi ed offese, non solo rivolte alla Istituzioni, ma anche a chi partecipa ad un dibattito sul social di turno. Se ci si arrischia ad entrare in un branco che ha un determinato orientamento e qualcuno si azzarda ad esprimere educatamente un dissenso, viene letteralmente aggradito e sbranatato. E non con argomenti dialettici pertinenti, come sarebbe giousto, ma con insulti e minacce. E quasta la chiamiamo ancora democrazia? Adesso, che siamo “moderni”, emancipati, scolarizzati, il risultato è questo baccano mediatico, assordante e violento?
Da qualche parte abbiamo sbagliato. O la plebaglia è incorreggibile oppure la società si è corrotta talmente fino a fare immiserire delle oneste e pacifiche persone ad un punto tale da essere diventate così cafone , insolenti e violente…
Al giuramento dei ministri al Quirinale, abbiamo visto due neo ministri, seduti su austere poltrone dorate, che simboleggiano il decoro delle istituzioni, seduti a gambe larghe e piegati in avanti come fossero nella più sciatta delle osterie. Da uno che rappresenta una Nazione, un po’ di buona creanza, nelle parole e nei gesti la si può pretendere.
È di questi giorni, inoltre. la nuova notizia che un altro “educato signore lombardo” abbia insultato il Papa dai microfoni di una radio a diffusione nazionale. E pare ancje che ci sia andato sul pesante al punto da rischiare l’incriminazione sia per offesa ad un Capo di Stato (art. 278 C.P) sia per vilipendio di un ministro di culto della religione (art. 403 C.P).
Naturalmente i malcapitati che sono incorsi nei rigori della Legge, si sono premurati a scrivere lettere di scuse sia al Presidente Mattarella sia a Papa Francesco. Che magari concederanno il loro magnanimo perdono.
Secondo noi, però, sarebbe più pedagogico, civilmente parlando, che questi nostri “specchiati concittadini” prima subissero il regolare processo, a mo’ di lezione per loro stessi ed “erga omnes”, indi venissero “graziati” dal perdono se, in base al loro comportamento processuale, lo avranno meritato.
Pure in questo caso, intanto, la normativa giuridica prevede, ai sensi dell’art. 313 C.P., che sia il Ministro della Giustizia a decidere sull’opportunità di procedere o meno.
Ma proprio da queste decisioni sul costume, si capisce l’orientamento di un governo in merito all’idea di società che si vuole costruire e consolidare. Hanno parlato tanto di “cambiamento”…
Carmelo Toscano
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