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rancesca Lattante e Michela Pulieri sono due ragazze leccesi in cerca di rogne. Leggono di un concorso riservato a giovani donne con l’uzzolo dell’imprenditoria: l’idea più originale riceverà ventimila euro per l’avviamento. Si presentano in 141, vincono loro. L’idea in effetti non è male. Parrucchiere ambulanti. Con i soldi del premio comprano un furgone e lo attrezzano come si deve. Caschi, poltrone. Persino la toilette, obbligatoria per gli esercizi commerciali. Il piano delle ragazze consiste nel solcare il Salento durante l’estate, catturando clienti di ritorno dalla spiaggia o dedite all’aperitivo. Per non arrugginire i bigodini, in bassa stagione si muoveranno tra i Comuni peggio serviti della Puglia, facendo la permanente a domicilio. Lieto fine? In America, Germania e probabilmente Papuasia sì. Qui no. Qui un artigiano non può avere un luogo di lavoro semovente. Dev’essere il cliente a scomodarsi per andare da lui, giammai il contrario. La Camera di commercio nega l’iscrizione alle parrucchiere motorizzate e le rimbalza sul Comune. Ma al Comune non sanno che fare. Le leggi parlano chiaro (insomma): un itinerante può vendere oggetti e cucinare pietanze, anche scotte. Ma non può tagliare capelli. Non è previsto da alcun tabulato x al comma y del paragrafo z.
Riassumo per puro sadismo: in un Paese con il 40% di disoccupazione giovanile, due ragazze del Sud hanno un’idea brillante e i soldi per realizzarla. Ma non possono, perché manca un timbro. Vogliamo evitare che vadano a sforbiciare all’estero anche loro? Allora mettiamo questo benedetto timbro. E se qualche lobby della messa in piega si offende, facciamole uno shampoo.
vivicentro.it-opinione / lastampa / Smessa in piega MASSIMO GRAMELLINI
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