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Sicilia: per gli avvoltoi del parco è arrivata la tregua?

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Sicilia: Giuseppe Antoci, 50 anni appena compiuti, è un siciliano dei Nebrodi, di Santo Stefano di Camastra per l’esattezza. È stato nominato Presidente Parco dei Nebrodi nel 2013. A differenza di tanti altri burocrati regionali che pensano solo ad ingrassare ed a favorire gli amici degli amici, egli si mette al lavoro per ridare significanza ad un Ente Parco dove per dieci lunghi anni si era solo sperperato denaro pubblico, vivacchiando tra un commissariamento all’altro.
Intanto per ristabilire la sovranità dello Stato in queste vallate boschive, quasi dimenticate dalle istituzioni, il neo-presidente, d’intesa con il questore pro-tempore di Messina Giuseppe Cucchiara, combatte la macellazione clandestina e l’abigeato; anzi all’uopo viene istituita una idonea task force.
Nello stesso tempo Antoci percepisce che migliaia di ettari di terreni demaniali, di proprietà della regione siciliana, vengono affittati a personaggi poco limpidi. Ed allora scatta la seconda mossa: d’intesa con il prefetto pro-tempore di Messina, Stefano Trotta, stipula un accordo che prevede la presentazione di un certificato antimafia da parte degli affittuari, e non una semplice autocertificazione (facilmente falsificabile). Siamo nel 2014, ad appena un anno dal suo insediamento alla presidenza del parco. Il provvedimento svela intrighi ed intrecci che conducono a famiglie mafiose acclarate. Il lucro consisteva nel richiedere, per i terreni affittati, finanziamenti europei per opere di sviluppo agro-pastorali mai realizzate e somme regolarmente incassate, a suon di migliaia di euro a progetto. Si stima che siano stati spillati impropriamente circa due milioni e mezzo di euro di fondi europei all’anno. Le famiglie disturbate nei loro “limpidi” affari reagiscono. Dapprima con minacce: una lettera garbata informa: “Finirai scannato”; un’altra consiglia: “ve ne dovete andare” e reca come piccolo cadeau una molotov; poi ancora altri donativi altamente simbolici: due buste con dieci proiettili di calibro nove.
Il nostro non si scompone ed anzi tira dritto per la sua strada e l’accordo firmato con la prefettura di Messina viene perfezionato, diventando il Protocollo di Legalità, che nel settembre 2016 verrà firmato a Palermo da tutte le nove Prefetture siciliane. Facendo verifiche per tutta l’Isola, salta evidente che almeno 4 mila ettari demaniali erano in mani mafiose che ci hanno lucrato affari stimati della grandezza di 5 miliardi di euro. In Sicilia solamente. Se si proietta il dato per tutte le regioni italiane, si stima in 40 miliardi di euro il giro di profitti illeciti. Una bella intuizione, il nostro Giuseppe Antoci, che speranzoso dichiara: “I finanziamenti europei devono andare agli agricoltori seri, ai nostri figli e alle persone che vogliono creare futuro con queste risorse. Dobbiamo dare dignità a una misura europea che di certo non nasce per foraggiare le associazioni mafiose”.
Perciò le onorate famiglie non gliela perdonano e stavolta organizzano un agguato mortale. Ma Antoci resta miracolosamente illeso. E continua per la sua strada, ricevendo consensi politici e riconoscimenti ai massimi livelli. Presidente della Repubblica compreso, che nel 2017 gli conferisce l’onorificenza di ”Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana” con questa motivazione: ”Per la sua coraggiosa determinazione nella difesa della legalità e nel contrasto ai fenomeni mafiosi”.
All’indomani del tentato assassinio un esponente siciliano della Commissione Antimafia, definisce il delitto come “un atto di guerra, una sfida allo Stato. Antoci non è solo. Pertanto, se è guerra e che guerra sia. Siamo pronti a combatterla tutti insieme. I mafiosi sappiano che non avranno tregua”.
Bene. Sembrava che qualcuno del mondo politico si fosse accorto e si fosse svegliato. Illusione!
Infatti: sono arrivate le imminenti elezioni politiche ed il PD (suo partito) non lo mette neanche in lista. Mentre per la Boschi, in Sicilia, il posto c’è. Misteri dell’alchimia partitica, le cui logiche ci sfuggono.
A Palermo, intanto si insedia il nuovo governo regionale formato dalle destre. Viene applicata la norma meglio conosciuta come spoils system. In pratica fuori funzionari e dirigenti nominati dal vecchio governo e dentro quelli nuovi, vicini alla destra.
Il presidente Antoci, seppure il suo mandato sarebbe arrivato a scadenza naturale ad ottobre, in questi giorni di febbraio riceve il benservito come tutti gli altri manager regionali. Poco importa che sia stato esemplare nel servizio ed eroico nella perseveranza. Il “tutti a casa” è suonato e vale anche per il presidente Antoci che, però, così incalza: “Cosa nostra vuole uccidermi, ma per adesso non ce l’ha fatta. La politica, invece, mi ha fatto fuori. Questo è un messaggio. Mi chiedo indirizzato a chi”. La vecchia logica infallibile del “cui prodest”, a chi giova? Quali settori dell’elettorato si vogliono rassicurare?
E, soprattutto, che fretta c’era, per non poter aspettare la fine naturale del mandato? Questo anticipo, ha tutto il sapore di una delegittimazione, se perfino 22 sindaci dei comuni del parco hanno scritto una lettera aperta al presidente Musumeci; lettera che dichiara : “apprendiamo con grande dispiacere la revoca improvvisa ed inaspettata del dott. Antoci da Presidente del Parco. Siamo preoccupati, perché dopo anni di commissariamenti abbiamo finalmente visto ripartire l’ente che è diventato volano di sviluppo e attrattiva turistica”. Ventidue sindaci, di diverso colore politico, che firmano unanimemente, non è cosa da poco. Anzi significherà pure qualcosa, ci chiediamo.
L’on. Musumeci, oltre ad  essere un fine politico, è stato anche Presidente della Commissione Antimafia Regionale. Di mafiosi o di cittadini accusati di mafia se ne intende. Conosce la loro mentalità e il brodo di coltura dove alligna la loro perversa visione della società. Egli  sa bene cosa significa per quell’ambiente un gesto simbolico, un episodio di pubblico dominio. Un uomo delle istituzioni che non viene spalleggiato ed affiancato pubblicamente, per l’ambiente mafioso significa: delegittimazione, abbandono al suo destino. Disco verde che porta al rosso sangue. Il generale Dalla Chiesa, prefetto di Palermo negli anni ’80, percependo questa solitudine istituzionale, preludio di abbandono, chiese invano a uomini delle Istituzioni di fare insieme a lui una passeggiata a piedi per le vie del centro. Affinché tutti capissero che egli non era solo. A significare che lo Stato, le Istituzioni erano con lui, al suo fianco. Ma nessuno accolse la sua accorata e, adesso possiamo dire, disperata richiesta di aiuto. Dalla Chiesa fu lasciato  impietosamente solo. E qualcuno “pietosamente” pensò di troncare energicamente il suo disagio e la sua sofferenza. Dopo la sua morte, tutti lo hanno osannato e onorato: intitolato strade, fatto commemorazioni, pubblicazioni e studi vari. Ma la verità fu che il generale fu fermato e depotenziato. Così Falcone e Borsellino: abbandonati, depotenziati e osannati dopo morti. Il prossimo abbandonato, depotenziato per poi essere osannato, chi sarà?
Felici i popoli che non hanno bisogno di eroi…


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