L’Europa non è immune dalla tratta di esseri umani, con circa 800 mila persone sottoposte a forme di sfruttamento di ogni genere, da quello sessuale a quello sempre più sviluppato, lavorativo. A raccontarlo è Linda Laura Sabbadini che analizza il problema nei suoi diversi aspetti, sulla base dei più recenti dati dell’Onu.
“L’Italia ha buone leggi di tutela e assistenza ma bisogna fare di più”
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ROMA – È italiana la relatrice speciale dell’Onu sulla tratta. Maria Grazia Giammarinaro, magistrata siciliana è una delle più grandi esperte mondiali di traffico di essere umani in particolare di donne e bambini e si batte attivamente contro questo da più di 20 anni. Ha cominciato nel ’96 come coordinatrice del Comitato interministeriale contro il traffico di donne e bambini. Nel 2014 le Nazioni Unite l’hanno nominata relatrice speciale sul traffico di persone, in particolare donne e minori, con il compito di promuovere i diritti delle persone trafficate, sfruttate.
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Il traffico di esseri umani assume forme sempre più variegate. Lei che monitora la situazione mondiale può descriverci quali sono i meccanismi che sviluppano il traffico di esseri umani?
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Le persone possono diventare vittime di trafficking anche se all’origine hanno accettato di emigrare in modo irregolare, pagando somme anche ingenti. Gli abusi commessi dai “facilitatori” sono infiniti. Il migrante scopre a metà del viaggio che la somma pagata serve solo a finanziare la prima parte del tragitto. E allora la persona viene “venduta” a un altro “passeur” e poi ancora a un altro. E se avranno la ventura di restare vive, queste persone, tra cui molte ragazzine minorenni, troveranno altri trafficanti-sfruttatori ad aspettarle in Italia, per “piazzarle” di volta in volta sulla strada, o in un campagna a raccogliere pomodoro, o in una casa, in una condizione di servitù domestica».
A fianco dello sfruttamento sessuale nel nostro Paese si evidenzia lo sfruttamento lavorativo. In quali settori questo si manifesta di più?
«Il trafficking per fini di sfruttamento lavorativo è stato riscontrato non solo in Italia ma anche in altri Paesi, e per quanto riguarda l’agricoltura pure nel Nord Europa, nel lavoro durissimo della raccolta dei frutti di bosco in luoghi isolati, esposti al freddo e alle intemperie. Lo sfruttamento avviene anche in altri settori, nelle barche da pesca nel Sud-est asiatico, nella forestazione, nell’edilizia, quando ingenti masse di migranti vengono portati da zone povere in paesi dove si realizzano grandi opere, senza salario e possibilità di comunicare con le famiglie. E c’è il grande settore dell’industria del turismo: casi di cuochi messi a lavorare nei ristoranti in condizioni di semi-schiavitù sono stati riscontrati in Gran Bretagna e in Irlanda».
Il traffico di esseri umani non ha età: molti e in crescita sono i bambini vittime, che perdono il diritto a un’infanzia felice. Perché solo la metà dei bambini fa domanda di asilo e si rende così invisibile?
«Ciò avviene a causa delle politiche migratorie restrittive, e anche delle conseguenze perverse della Convenzione di Dublino sull’asilo, che ha dimostrato di essere fallimentare. I ragazzi che la famiglia ha mandato avanti con grandissimo sacrificio, nella speranza che essi possano col tempo riunificare la famiglia nel Paese prescelto, sentono un’enorme responsabilità. Sanno che se verranno identificati in Italia, il loro viaggio potrà essere bloccato, e qualunque Stato in cui si recheranno successivamente potrà farli rientrare forzatamente nel nostro Paese. Loro, invece, devono raggiungere la loro destinazione finale, dove spesso già si trova parte della famiglia. Perciò cercano di restare “invisibili” e di raggiungere irregolarmente la loro meta. Ma nel frattempo, dovendo sopravvivere in una situazione di irregolarità, dovendo trovare ancora altri soldi per proseguire il viaggio, diventano ostaggio dei trafficanti e sono assoggettati a qualsiasi tipo di sfruttamento».
Sui minori non ci vorrebbe qualche altra azione mirata?
«Nessuna decisione dovrebbe essere assunta se non a seguito di una seria procedura individualizzata di accertamento del migliore interesse del minore. Troppe volte i bambini vengono rimpatriati o rimandati indietro nell’ultimo paese di provenienza – spesso l’Italia – senza alcuna considerazione per i loro diritti. In questo contesto, la detenzione amministrativa dei minori per ragioni di immigrazione deve essere assolutamente bandita, perché non è mai nel migliore interesse del minore. La strategia per evitare che i minori scompaiano è la protezione, non la detenzione. L’Italia ha recentemente approvato una nuova legge sulla protezione dei minori non accompagnati. Speriamo che l’attuazione dia buoni frutti».
L’Italia ha una bella tradizione sul piano delle leggi e dell’attività delle associazioni, molto competenti su questo fronte. E’ servito a qualcosa?
«Sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi quella dell’Italia resta un’esperienza assai positiva. Già nel ’98 il nostro Paese si è dotato di una legislazione che consente di rilasciare un permesso di soggiorno e fornire assistenza e aiuto psicologico e legale alle persone straniere sottoposte a violenza e grave sfruttamento. Anche grazie al lavoro prezioso delle associazioni, molte migliaia di persone – prevalentemente donne soggette a sfruttamento sessuale – sono state aiutate a ricostruire le proprie vite. Serve un altro passo in avanti. Le associazioni devono poter avere un contatto confidenziale con le persone potenzialmente vittime di trafficking, subito dopo le operazioni di salvataggio e di sbarco e nei centri di prima accoglienza. Le vittime non si aprono con la polizia, ma con le associazioni».
Nonostante le Ong svolgano una attività fondamentale nel Mediterraneo, nel nostro Paese si è sviluppata una pesante polemica sul loro ruolo al largo della Libia. Si è arrivato a parlare persino di complicità tra Ong e trafficanti.
«La loro è un’azione meritoria. Per quanto riguarda i salvataggi ha spesso surrogato l’insufficienza dell’intervento istituzionale nelle operazioni di ricerca e salvataggio. Non c’è alcuna prova di complicità tra Ong e trafficanti. Purtroppo il numero dei morti in mare resta elevato, e tra chi perde la vita ci sono anche molti bambini. Salvare vite umane è la priorità. Un minuto dopo, bisogna pensare a salvare i migranti e i rifugiati dallo sfruttamento selvaggio, e a praticare percorsi durevoli di inclusione sociale».
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