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Castellammare di Stabia

I segreti dell’acqua nella Giornata Mondiale

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Domani è la Giornata Mondiale dell’acqua. Qualcosa che ogni giorno beviamo e tocchiamo. Ma pochi sanno da dove proviene, come l’opera dell’uomo stia cambiando gli scenari ambientali e quanta ne viene sprecata. A spiegarcelo è il geologo Mario Tozzi.

La lezione che nasce nel sottosuolo

E’ l’unica formula chimica che ricordiamo per tutta la vita dal tempo della scuola, ma l’acqua non è certo così ben conosciuta come il suo quotidiano utilizzo ci indurrebbe a pensare. Anzi: probabilmente non molte persone sanno da dove viene l’acqua che beviamo al rubinetto o imbottigliata e rimarrebbero sorprese nel sapere che scaturisce dal sottosuolo, spesso dopo lunghi viaggi sotterranei.

E

che, in molti casi, la beviamo fossile, come l’acqua delle oasi sahariane, che arriva a emergere dopo migliaia di chilometri ipogei vantando cinquemila anni di età. Di 36 milioni di chilometri cubi di acqua dolce sulla Terra quasi il 28% è l’acqua sotterranea delle falde, molta di più di tutta quella contenuta nei fiumi e nei laghi (0,36%) e molta meno di quella che riposa nei ghiacciai (oltre il 77% dell’acqua totale). L’acqua delle falde e dei ghiacciai dovrebbe preoccuparci molto di più di quella dei fiumi e dei laghi, anche se molte città moderne del mondo si approvvigionano direttamente da queste fonti dopo una laboriosa depurazione.

Non bisogna pensare però che l’acqua di falda sia contenuta in laghi sotterranei o caverne: questo accade solo nelle regioni carsiche. Più in generale, l’acqua impregna le rocce del sottosuolo piuttosto come una immensa spugna, che viene strizzata quando perforiamo un pozzo per emungerla. Gli stessi fiumi, come il Po o il Tevere, sono come canali drenanti delle falde sotterranee, vene della Terra che contribuiscono al grande ciclo idrogeologico. L’acqua sul pianeta è sempre la stessa, non può essere accresciuta da quando i vulcani e le comete l’hanno creata. Per questo il ciclo dell’acqua va tutelato, perché l’acqua alimenti le falde profonde dove costituisce la nostra riserva strategica più preziosa.

Ma le attività produttive dell’uomo alterano i tempi e le quantità di questo gigantesco ciclo. E il cambiamento climatico contribuisce a stravolgerlo. Un tempo l’acqua di pioggia cadeva con una certa regolarità annuale, per esempio i 1000 mm in Italia o in Gran Bretagna. Oggi, invece, in una giornata rischia di cadere tutta la pioggia che un tempo cadeva in sei mesi o addirittura in un anno. Quell’acqua non ha il tempo di infiltrarsi in profondità, come dovrebbe, confluendo nelle falde profonde, ma si riversa nei fiumi e finisce subito in lago o a mare, vanificando un ciclo millenario.

Ma più del cambiamento climatico possono l’uso eccessivo e lo spreco. L’uso potabile dell’acqua non è certo il più importante (meno del 20%), ma la neve artificiale o i campi da golf nel deserto non appaiono fra le destinazioni più appropriate di una risorsa così preziosa, al di là delle perdite degli acquedotti che, nelle campagne, rientrano alla fine in falda. In agricoltura pratiche di irrigazione a canale come duemila anni fa non sono appropriate oggi, come non è stato un bene, per le acque italiane, passare dal frumento al kiwi, una delle colture più idrovore che esista. L’allevamento animale resta uno dei responsabili del depauperamento delle falde mondiali in generale: «finire» un solo bovino adulto richiede tanta acqua quanta quella che ci vuole per far galleggiare un incrociatore. Tutti questi processi sequestrano una parte importante del ciclo dell’acqua e il risultato è l’abbassamento costante del livello delle falde nel sottosuolo, mettendo in pericolo la riserva più preziosa.

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lastampa/La lezione che nasce nel sottosuolo MARIO TOZZI

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