La vicenda di Quarto e i 5 Stelle. La delusione per l’incapacità di reggere una sfida come questa può condizionare il giudizio sul Movimento alle amministrative
span style="color: #252525; font-family: Arial, 'Helvetica Neue', Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; line-height: 23px;">Il Consiglio comunale di Quarto va sciolto per infiltrazione camorristica. Non importa quanti siano i voti portati dal consigliere espulso Giovanni De Robbio: quanto accaduto rischia di diventare un punto di non ritorno per il Movimento 5 Stelle. Il balletto sulle dimissioni del sindaco Rosa Capuozzo rischia di diventare una macchia indelebile, la sesta stella, la blackstar che offusca tutte le altre. Quarto è la storia di un cortocircuito. La prassi di raccogliere dossier per poter screditare l’avversario politico (che abbiamo chiamato macchina del fango), ha finito per trovare una sinistra corrispondenza, anche se sottile e camuffata, nei processi sui blog o in televisione.
Quello che pare essere accaduto a Quarto è un caso di scuola. Da una parte la conferma della terribile regola che vede la camorra schierarsi sempre al fianco di chi vince o quanto meno attiva nello strumentalizzare quelle vittorie; dall’altro un sindaco che ora dopo ora si è mostrato sempre più inadeguato al ruolo, soprattutto in quella realtà così complessa, dove niente è come sembra. Ma la storia di Rosa Capuozzo ha una ricaduta ancora più drammatica poiché conferma che la politica in Italia è solo arte del ricatto; non si esce da questa logica, chiunque sia al governo. Del resto la purezza è un concetto non applicabile alla vita reale: tutti gli esseri umani commettono errori e hanno contraddizioni, che stranamente non vengono valutati se non quando si ha un ruolo istituzionale. E come un serpente che si morde la coda, quanto più in alto abbiamo posto l’asticella della “purezza&onestà”, più grande sarà lo scandalo a prescindere dall’entità e dalla natura dell’errore, commesso o meno. Ma il nodo per comprendere questa situazione è la analisi della prassi delle espulsioni, che nei propri opachi contorni è sempre più vissuta dall’opinione pubblica come una pratica di epurazione. Del resto, cosa sono le espulsioni se non il mettere alla gogna chi non ha rispettato il programma, l’additare alla folla il reo? Rosa Capuozzo è colpevole, non eventualmente di abusivismo edilizio (di cui non conosciamo la portata e la natura), ma di essersi presentata come parte lesa invece che come amministratrice inadeguata; d’altro canto, lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche del Consiglio comunale non farebbe giustizia alla storia di un Movimento, intrisa di ingenuità politica ma non di disonestà o peggio di connivenze con la camorra.
C’è una storia che riguarda Quarto che voglio raccontare. Come spesso accade, i clan investono in società di calcio per ottenere consenso sul territorio, ma anche per riciclare denaro e camuffare il racket con le sponsorizzazioni imposte ai commercianti e agli imprenditori locali. La “Quarto Calcio” apparteneva al clan Polverino – storica cosca attiva nell’area nord di Napoli e legata alla famiglia Nuvoletta, a sua volta in rapporto con la mafia di Corleone -, un clan potentissimo e particolarmente attivo nel traffico di stupefacenti, che ha da sempre avuto un ruolo di primo piano proprio per lo storico legame con Cosa Nostra. A febbraio 2011 la DDA di Napoli sequestra la squadra di calcio ai Polverino e la affida a “Sos Impresa”, un ente antiracket. Il sostituto procuratore Antonello Ardituro, oggi al Csm, diventa il presidente onorario della “Nuova Quarto Calcio”. Nel 2013 la squadra viene promossa in Eccellenza e sembra prendere corpo il mantra che a Quarto ci si ripeteva: “Con la legalità si vince sempre”.
Ma il territorio non fa cerchio, gli atti di sabotaggio sono sempre più frequenti e prendono di mira anche lo stadio Giarrusso, quello stesso stadio tornato in gestione al comune sotto il sindaco pentastellato. L’anno scorso l’avventura della squadra della legalità si è conclusa a dimostrazione che la legalità non vince sempre, non vince se la società civile è distratta e impaurita. Non vince se la politica non comprende come queste esperienze siano un collante vero. Che Quarto non fosse un comune come un altro era evidente sin dal principio ed è per questo che la vittoria alle amministrative del Movimento 5 Stelle ha costituito un fatto per certi versi epocale, ma purtroppo per la cittadinanza, dopo sei mesi sembra già venuto il momento del bilancio finale, per un’amministrazione che esce del tutto delegittimata. Il piano politico è quello dunque più significativo oggi ed è bene dire, senza esitazioni, che la delusione per l’incapacità di reggere il confronto con una sfida davvero probante, non può che condizionare il giudizio sulla capacità strutturale del Movimento di proporsi credibilmente alle amministrative che si terranno quest’anno nelle tre più grandi città italiane. Se alle criticità il Movimento è in grado di opporre la sola prassi dell’espulsione, allora il futuro è tutt’altro che roseo e la provocatoria invocazione “onestà, onestà”, risuonata nell’aula del consiglio comunale di Quarto, e proveniente dal pubblico di militanti del Partito Democratico, ha finito per essere un amaro contrappasso, una grottesca inversione di ruoli.
Ciò che è accaduto a Quarto, ma qualche giorno fa anche a Gela (mi si potrebbe obiettare che le giunte guidate dal Movimento sono 16 e che non è giusto citare solo i casi critici: rispondo che sono i casi critici a mostrare le potenzialità di un movimento politico), ci dice chiaramente che le espulsioni non servono a creare gli anticorpi necessari per amministrare realtà complesse. Mi domando, infatti, cosa accadrà se e quando il Movimento dovesse governare realtà metropolitane in cui politica è giocoforza compromissione, nel senso positivo del termine di dover condividere decisioni importanti anche con altre forze sociali e più in generale con il territorio. Di fronte alle accuse, che ci sono e che ci potrebbero essere, non si può rispondere: voi siete peggio di noi. Non funziona così, i conti non tornano: se il nuovo è solo sentirsi migliori di quello che c’era prima, non è detto che questo sentimento basti a creare le condizioni per essere in grado di amministrare. Io stesso, quando il Movimento 5 Stelle vinse a Quarto, pensai e parlai di un successo del voto di opinione, in un contesto storicamente condizionato dagli interessi della camorra. Invece oggi il caso Quarto rischia di confermare nel cittadino l’idea che la politica in Italia viva solo nelle possibilità di ricatto e che non si possa uscire da questa logica. Rischia di confermare l’idea che non esista davvero la possibilità di evitare di candidare soggetti che prima o poi potrebbero risultare impresentabili. Ma questo non è vero: la conoscenza del territorio, insieme a strutture interne democratiche di pesi e contrappesi, sono le uniche prassi sicure di selezione e metterebbero al riparo da procedimenti di espulsione tipici di una logica da imbonitore. Invece il caso Quarto, per mancanza di competenze e di conoscenza del territorio, finisce per confermare la convinzione distruttiva che viviamo in una democrazia strutturalmente corrotta e arretrata, dove nessuno può ergersi a moralizzatore, perché i giustizieri, prima o poi, finiscono giustiziati. Chi può escludere oggi che l’inconveniente verificatosi a Quarto non possa ripetersi a Roma, a Milano o a Napoli?
E se dovesse capitare di nuovo? Se altre criticità dovessero riguardare la figura del sindaco eletto o di un importante assessore – a oggi nulla sappiamo sulla identità dei potenziali candidati e anche questa è vecchia, cattiva politica – cosa ha da proporre come rimedio politico il Movimento, oltre all’espulsione? Che sarà anche catartica, ma che non risolve i problemi enormi di realtà complesse.
La fedina penale immacolata non è sufficiente a evitare futuri imbarazzi: il boss Zagaria ha utilizzato come suoi referenti persone che lo avevano denunciato per racket e che quindi indossavano abusivamente la maglia dei “giusti”. Le mafie da anni cercano di utilizzare persone senza precedenti, cercano tra i parenti di vittime delle mafie, cercano insospettabili. Quindi come avere soltanto la garanzia della fedina penale? Bisogna munirsi di altri meccanismi di valutazione che non siano inquisitoriali ma semplicemente presenza sul territorio e approfondimento. Sono anni che diciamo quanto le mafie non siano più riconducibili allo stereotipo di coppola e lupara, e abbiano come elementi interni faccendieri dai curricula immacolati, il cui ruolo è proprio fare da collegamento tra l’imprenditoria legata ai clan e la politica. E allora è lecito chiedersi: se le mafie avvicinano il Movimento lo fanno perché è mafioso? Assolutamente no. Lo fanno perché con le sue logiche di reclutamento è facile infiltrarlo, perché sospettano che l’inesperienza di governo possa lasciare spiragli (come sarebbe accaduto a Quarto) per ottenere appalti, ricattare assessori, consiglieri comunali e sindaci. Le mafie stanno provando a infiltrare M5S perché dove la parola d’ordine è purezza e onestà, sanno benissimo come gettare ombre, come far cadere una persona, come bloccare un percorso politico. Se predichi onestà qualsiasi graffio ti farà cadere, mentre dall’altra parte resterà in sella chi il problema dell’onestà non se l’è mai nemmeno posto.
E se il Movimento non sarà in grado di imparare e trarre profitto dallo sbandamento di queste ore, il caso Quarto potrebbe pesare come un macigno sulle possibilità di offrire una credibile ed efficiente alternativa ai partiti tradizionali, nonostante i venti di tempesta giudiziaria che oramai soffiano sempre più impetuosi dalle parti di Palazzo Chigi. Eppure il meccanismo inquisitoriale che sottende la logica delle epurazioni, in continuità con la matrice puritana propria della tradizione comunista, è in contrasto con l’ammirazione che il Movimento 5 Stelle prova verso Sandro Pertini, riformista socialista che sull’esempio di Filippo Turati e Anna Kuliscioff, contrastò l’intransigenza bolscevica “o tutto si cambia o nulla serve”, spingendo al contrario verso trasformazioni graduali per rafforzare i meccanismi di legalità e giustizia. Negli anni più bui furono loro che salvarono il sentire democratico e socialista dalle derive totalitarie.
Quando è il momento di governare e di assumersi responsabilità, il cortocircuito innescato dai processi sommari a mezzo blog a soggetti infedeli ti presenta il conto: oggi è fin troppo chiaro che non basta candidare incensurati per avere la certezza che non commettano reati nel corso del loro mandato. Ed è altrettanto chiaro che non basta espellere chi non rispetta le “regole” per preservare un percorso politico. Il rischio – non faccio ironia – è che ne resti uno solo, il più puro, che finirà per espellere tutti gli altri.
*larepubblica
Lascia un commento