Andrea Fabozzi, in un suo commento su Il Manifesto, ripercorre la stessa strada percorsa ieri da me e Gramellini nell’articolo che ho pubblicato con il titolo – Il ruttodromo della Rete sul terremoto : Rutto d’oro a Salvini, Bertolaso e don Cesare. Oggi, con Fabozzi, approfondiamo ed allunghiamo l’elenco dei medagliabili certi che ce ne saranno ancora tanti altri in lizza, e procureremo di non trascurarli. Ma per ora, aggiorniamoci con Fabozzi:
I profughi, gli sfollati e i miserabili (Andrea Fabozzi)
N
on c’è bisogno di intossicarsi con le schifezze della Rete per incontrare il lato oscuro della generosità nazionale, in queste ore così celebrata. Non c’è bisogno di leggere Libero, che inventa «sciacalli Rom» sconosciuti alle forze dell’ordine o insiste con la scemenza dei profughi in albergo, stipendiati 35 euro al giorno alla faccia dei terremotati in tenda. Anche Libero – il cui editore non era così attento al denaro pubblico quando intascava per anni decine di milioni di contributi ai quali non aveva diritto – a questo punto dovrebbe aver capito che 35 euro è il costo massimo del sistema di protezione per i richiedenti asilo: soldi che in gran parte vanno ai gestori, italiani, delle strutture (spesso al limite della decenza) e non ai migranti. Per loro circa 2,5 euro al giorno che i richiedenti asilo di Gioiosa Ionica hanno deciso di devolvere ai terremotati. È poco? È più dell’italico «sms solidale».
Si può anche evitare di leggere il Tempo – stesso editore di Libero – o il Giornale, che richiamano in servizio addirittura Bertolaso per fargli stilare, dall’alto delle sue vergogne, una classifica del diritto all’assistenza: «Sarebbe inaccettabile vedere i migranti in albergo e i nostri terremotati in tenda, la priorità va a loro».
Non occorre fare queste fatiche, perché il più brutto episodio di sciacallaggio in queste ore ha un protagonista che non si nasconde dietro l’anonimato della Rete né si aggira furtivo sulle macerie di Amatrice, a rischio di essere scoperto dall’inviato di Libero (e solo da lui). Ha un nome e cognome e fa il presidente della Regione Lombardia. Roberto Maroni vuole destinare il campo base dell’Expo 2015 – quello dove hanno alloggiato gli operai che hanno montato i padiglioni dell’esposizione – ai terremotati del Lazio e delle Marche. Che stanno a seicento chilometri di distanza. Lo vuole, lo dice, perché è meglio darlo a loro che ai profughi. «Mi pare una destinazione idonea invece che farci un campo “profughi”» ha scritto, comprese le virgolette, quando ha lanciato la sua «idea» su facebook. Non conta che sia un’idea irrealizzabile, anche nella successiva versione di «smontiamo le strutture e inviamole sull’Appennino», perché i sopravvissuti al terremoto non hanno alcuna intenzione di essere deportati dalle loro terre e perché quei prefabbricati milanesi sono alti tre piani e allacciati alla rete idrica ed elettrica.
Che si tratti di un’iniziativa del tutto strumentale è evidente da come l’iniziale entusiasmo dell’assessora regionale leghista Bordonali (assessora alla sicurezza, protezione civile e immigrazione, tutto insieme), convinta giovedì che «il primo parere della protezione civile è stato molto positivo», si sia trasformato ieri in un assai più prudente «abbiamo inoltrato la documentazione al Dipartimento di protezione civile per le valutazioni tecniche sia in ordine alla fattibilità che alla reinstallazione delle strutture stesse». Maroni, che pur di evitare i “profughi” è molto attivo, ieri ha sentito i liquidatori di Expo spa, propietari del campo Base, i quali gli hanno detto che non faranno nulla in attesa di istruzioni da parte della protezione civile. Anche se, garantisce il governatore, hanno «un orientamento favorevole».
Un orientamento favorevole a un’operazione assurda, dal momento che il campo Base non è una tenda o un insieme di container, ma una cittadella abitabile lì dove si trova, cioè dall’altra parte della strada rispetto al sito di Expo, ed è sviluppato su oltre 15mila metri quadri, che significa più di due campi da calcio. Maroni però, instancabile – del resto era ministro dell’interno quando regnava Bertolaso – ha chiamato anche il capo del Dipartimento della protezione civile Fabrizio Curcio, il quale avrebbe altro da fare in questo momento. Secondo Maroni, Curcio lo ha «ringraziato per questa iniziativa», il che significa che non c’è traccia di quel «primo parere positivo». Del resto anche quando Maroni ha offerto posti letto per i feriti negli ospedali della Regione gli è stato risposto «grazie tante, ma sono troppo lontani».
La versione della Protezione civile, ieri sera impegnata in un vertice a palazzo Chigi con i rappresentanti delle regioni colpite, è che la telefonata tra Maroni e Curcio c’è stata, ma Curcio si è limitato a «prendere atto» dell’offerta di Maroni. «Come tutte le altre offerte che stiamo fortunatamente ricevendo in queste ore, sarà successivamente valutata e vedremo se sarà tecnicamente fattibile». Per la protezione civile, una cosa può considerarsi certa: «Gli abitanti delle zone colpite non saranno spostati dalle loro aree, perché questo è il loro desiderio». Dunque niente traslochi a Rho. Dovrebbe essere la montagna di Expo, per far contento Maroni, a spostarsi sull’Appennino. O almeno qualche suo pezzo, una cucina, una sala riunioni, tanto da rendere inservibile il campo Base per i richiedenti asilo, nel caso la prefettura di Milano dovesse ripensarci. Funziona così la solidarietà dei miserabili.
(il manifesto)
Lascia un commento