Il circo sempre richiama (o almeno richiamava!) adulti e piccini a vivere qualche ora di magia spensierata. Giocolieri e giuochi, funamboli e lunghe funi, attrezzisti e giocolieri, contorsionisti e pagliacci, domatori insieme ad animali esotici e giocherelloni, con tanto di luci e musiche orecchiabili ed esaltanti, riescono sempre a creare una atmosfera trasognata che ti rapisce e ti fa tornare bambino; mentre fa sognare i bambini a proiettarsi in una continuazione reale del loro mondo fiabesco.
ROVATO: divertimento e malinconia in una serata al circo Orfei Oscar
Questo mondo fascinoso, impastato di fatica e entusiasmo, sta per finire? Noi ci auguriamo di no. Vogliamo ancora poter sognare in loro presenza. E ci auguriamo che loro possono continuare a vivere la loro vita, faticosa e gratificante, nella quale sono nati e per la quale vorrebbero continuare a vivere, pur sgobbando.
La presenza di un tendone colorato della mitica schiatta degli Orfei, in un paesone di provincia come Rovato, ha attratto irresistibilmente anche noi che ci siamo ritrovati a vivere una serata di divertimento azzoppato. Un tendone enorme, fatto di tribune e platea, praticamente semivuoto. In tutto meno di trenta spettatori, in una serata di fine settimana. Volevamo lasciarci andare e volare insieme all’abile trapezista che, giovane e bella, con il suo corpo statuario, eseguiva esercizi alla fune con consumata naturalezza. Ma non potevamo fare a meno di pensare al suo stato d’animo, sicuramente mortificato di esibirsi per gradinate malinconicamente deserte.
G
iocolieri con palle e birilli che esibivano abilità più che collaudate, offerte ad un pubblico striminzito. Pubblico che anche se voleva testimoniare calore con qualche applauso, peggiorava solo la situazione: dieci, venti persone che battono le mani in un tendone vuoto è come voler far risuonare in un sacco vuoto una noce sola.
Il solito clown, arruffone e pasticcione, riusciva a mettere ilarità, ma la nota malinconica insita nel personaggio veniva come amplificata dalla mancanza dell’eco delle risate che si diffondono tra il pubblico e tornano all’artista come uno stimolo esaltante a continuare e a fare ancora più ed ancora meglio; in una gara infinita che esalta l’artista e non gli fa conoscere limiti e confini di esaltazione e creatività. Se non hai un pubblico caldo, che ti scalda, è la depressione e lo scoraggiamento che dominano la scena.
Anche lo speaker che presentava, tentava di ostentare uno stile declamatorio che dovrebbe esaltare ed elettrizzare le attese. Si sentiva che la buona volontà ed il mestiere c’erano, ma erano come fiaccati dalla frustrazione di avere apparecchiato una enorme tavolata per pochi sparuti commensali.
Perfino il viso e gli atteggiamenti di inservienti ed assistenti di scena era atteggiato alla rassegnazione di un mestiere che non elettrizza più. Ed, anzi, che fa temere per il pane nei prossimi anni.
L’intervallo è stato riservato alla visita all’immancabile zoo, quale naturale corollario di ogni carovana circense. Coccodrilli spiaggiati in improbabili spiazzi sabbiosi riprodotti dentro un vagone con vasca d’acqua annessa, grandi pappagalli coloratissimi e chiassosi all’inverosimile, loro sì, garruli e spensierati, incuranti della malinconia che si tagliava a fette tra i pochi spettatori che ci siamo spinti nella visita e che ci scambiavamo tacitamente con gli addetti alle gabbie.
Cammelli e dromedari stavano nel loro recinto, sotto una notte trapunta di stelle, che se non avevano la
lucentezza di quelle che si ammirano nel deserto, richiamavano pur sempre una placida pausa di frescura notturna dopo un giorno di calura sudaticcia. Lo spettacolo è ripreso senza la presenza di alcun animale in pista, perché il comune ospitante segue la filosofia animalista che vieta l’esibizione di bestie ammaestrate. Per i circensi è una grossa amputazione delle loro potenzialità di attrattiva ed intrattenimento.
Tra applausi, che pur spellandosi le mani, non riuscivano ad accontentare nessuno, né artisti né pubblico, la serata finisce con questo tanto di malinconia in più che si viene a sommare a quella usuale della fine di ogni spettacolo.
Ci siamo soffermati a scambiare due chiacchiere con Orlando Orfei, titolare di questo manipolo di artisti facenti parte della sconfinata brigata di famiglia, numerosa come la sabbia del mare, che ha propaggini in Italia ed in Europa. Smessi i panni del clown, con il naso ancora color del papavero, Oscar si chiedeva dove fossero tutti i potenziali spettatori. Semplice: di fronte al computer, alla tele, al cellulare a chattare, a giocare, a cazzeggiare… girovagando soli in un mondo virtuale senza guardare o accorgersi del mondo reale che ci ruota e ci passa sotto i nostri occhi.
Occhi che guardano ma non vedono. Come le nostre orecchie – del resto – che sentono ma non ascoltano. Mi diceva che i piccoli circhi come il suo non possono accedere neanche ai contributi che la legge sullo spettacolo prevede, per sostenere chi ne ha bisogno. Finisce che i contributi riescono a prenderli sempre i grandi circhi, penalizzando i piccoli, che si vedono costretti ad una vita sempre più stentata, al rischio di estinzione per inedia.
Il tendone dai colori sgargianti, la carovana di casette variopinte, la varia umanità che compone l’esercito di artisti, la loro vita di nomadi girovaghi hanno sempre acceso la fantasia di chi guarda dall’esterno la loro esistenza di apolidi. Fuori dallo spettacolo, di giorno, tutti abbiamo guardato con curiosità quasi morbosa questi uomini nerboruti che sfaccendano nel loro villaggio temporaneo attorno a roulotte, a gabbie di animali, ad aggeggi e congegni da manutenzionare; tutti abbiamo sbirciato con una punta di invidia maschilista quelle donne del circo, nelle loro fugaci e casuali comparse tra una tenda ed una casetta, vedendole senza trucco e senza vestiti scintillanti, ma nella loro quotidiana fatica del vivere tra una lavatrice da stendere o una pila di piatti da rigovernare…eppure la fantasia sessista del maschio in ognuna di quelle donne è portato a vedere una femmina dal corpo statuario, che si mostra al pubblico con generose scollature o con corpi luccicanti che si offrono in vertiginose posizioni. Dimenticando che quegli esercizi così disinvolti e quasi “naturali” sono frutto di sudore e di ore di faticosi esercizi alla fune o al trapezio per mantenere costantemente l’allenamento.
Questo mondo fascinoso, impastato di fatica e entusiasmo, sta per finire? Noi ci auguriamo di no. Vogliamo ancora poter sognare in loro compagnia. E ci auguriamo che loro possono continuare a vivere la loro vita, faticosa e gratificante, nella quale sono nati e per la quale vorrebbero continuare a vivere, pur sgobbando.
Cari, simpatici amici del circo, grazie, buona continuazione e buona fortuna per tanti decenni ancora!
Carmelo TOSCANO
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