La scomparsa di Raso fa sorgere inquietanti interrogativi
R
osa Di Domenico, la quindicenne di Sant’Antimo, è ormai sparita da sette mesi, la paura più grande di un genitore si è avverata e ciò non può non sconvolgere, far sorgere delle domande e pensare a quale grande pericolo sia andata incontro Rosa.
Il primo e il più banale, ma non per questo meno angoscioso per i genitori, è il disagio giovanile, quella voglia che prende tanti adolescenti di sfuggire al calore della famiglia, che tante volte è così caldo da diventare insopportabile, e di confondere così la libertà con l’avventura, mettendo a rischio se stessi, affidandosi magari ad adulti che sembrano più seducenti del padre e della madre ma che prima o poi si riveleranno per quello che sono: degli estranei, quando non dei profittatori. Nella vicenda di Rosa non possiamo infatti escludere la possibilità della fuga volontaria. L’altra sera un video girato col telefonino l’ha mostrata mentre comunicava di star bene, dopo sette mesi di assoluto silenzio.
Ma non ha neanche salutato i genitori, cosa strana; e mostrava un volto i cui lineamenti apparivano tumefatti o modificati, rispetto alla Rosa che la famiglia conosceva. E dunque resta il sospetto che qualcuno la tenga sotto il proprio controllo, le ordini che cosa fare; che la sua libertà insomma sia coartata. E qui arriviamo al secondo «mostro» contemporaneo che si aggira nella vicenda di Sant’Antimo: il rischio che sia stata rapita da un uomo, Alì Qasib, un giovane pakistano trapiantato nel bresciano, ritenuto dagli inquirenti coinvolto in un traffico di foto a sfondo pedopornografico; e che quest’uomo l’abbia plagiata per farla fuggire con sé, e l’abbia ora in suo potere. Anche se Rosa dice nel video che la tratta bene, non le fa mancare nulla, che ha i trucchi, le piastre per capelli, gli orecchini, perfino due conigli per compagnia, insomma il piccolo armamentario di una moderna adolescente, il sospetto dei genitori è che si tratti di una messinscena e che in realtà sia tenuta prigioniera, trattenuta contro la sua volontà.
Ma in tutti e tre i casi dobbiamo interrogarci sulle minacce, nuove e antiche, che incombono sulla felicità dei nostri ragazzi. Avere quindici anni significa sentirsi adulti, ansiosi di vivere, di conoscere il mondo, di liberarsi delle limitazioni e degli obblighi della vita in famiglia; ma, allo stesso tempo, significa anche non avere ancora la capacità di discernere il bene dal male, la maturità per compiere scelte che siano di libertà e non di sottomissione.
E purtroppo oggi sia il mercato del porno sia il radicalismo islamico sono entrambi capaci di trasformare una bambina in un oggetto e di farle apparire desiderabile la sottomissione. È una questione culturale, dunque, quella che la vicenda di Rosa evoca, non solo un’indagine giudiziaria. Sia come famiglie sia come società nel suo complesso dovremmo alzare la guardia, imparare a conoscere e capire di più i nostri figli, non pretendere di essere amati senza meritarcelo, vigilare e al tempo stesso educarli alla libertà. Se non vogliamo perderli.
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