A Roma non c’è solo l’ emergenza spazzatura. Ariela Piattelli ha messo insieme un viaggio nei parchi storici per documentare l’ultima vergogna di Roma tra migranti accampati, sporcizia e piccole discariche improvvisate.
Ville storiche abbandonate, l’ultima vergogna di Roma ARIELA PIATTELLI
Accampamenti di immigrati tra gli alberi, sporcizia, discariche: ecco come sono ridotti i parchi dove passeggiavano re e regine
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i sono meno di dieci minuti di corsa a dividere le scuderie costruite dai Savoia dalle baracche di Villa Ada, alloggio dei maghrebini accusati di aver stuprato pochi giorni fa una ragazzina di 16 anni. Ma questi prefabbricati alle sponde di un cratere abbandonato, dove avrebbe dovuto sorgere un megaparcheggio, sono solo una goccia nel sommerso del folto. Lì affondano 180 ettari di storia. Le serre del re sono ormai territorio di prostituzione.
Le tre ville monumentali più grandi di Roma, in totale 448 ettari, che conservano la memoria dei re, del Risorgimento e dell’arte, sono vittime dell’incuria, dell’illegalità e dell’occupazione degli immigrati. A Villa Ada, parco a Nord della Capitale, circondato da ambasciate e università, gli sportivi sono testimoni dello scempio.
«Ormai questo posto è terra di nessuno – lamenta Alessandro Leone, presidente dei Leprotti di Villa Ada -. Non vediamo mai volanti, né polizia a cavallo, o il servizio giardini del Comune. Tutto è abbandonato a se stesso. Una volta abbiamo salvato un bambino, che era stato portato via da una zingara. Abbiamo soccorso anche una ragazzina che stava per essere aggredita».
Ci addentriamo nel «verde», un bosco selvaggio dove i sentieri si perdono intorno a edifici storici, colorati dai panni stesi, dalle tracce di vita vissuta. E’ pomeriggio, siamo soli «perché adesso – ci spiega il runner – sono usciti tutti, torneranno alla sera. E’ il quotidiano del parco. I bambini giocano accanto ai bivacchi. Qui un bambino si è ferito con una siringa usata».
Letti, zaini, armadietti, fuochi per cucinare, sterpaglie al posto dei prati. E recinti posticci perché gli abitanti abusivi non amano essere disturbati. «Forse – azzarda Leone – ci vivono in 100 nella villa, ma possono arrivare a 300. Difficile fare una stima, sono immersi nel bosco. Si è provato ad affidare gli edifici ai privati, ma non funziona. Nella scuderia dei Savoia l’ex sindaco Veltroni voleva mettere il museo dei giocattoli. Oggi è un rudere abbandonato. Io credo che gli edifici non debbano essere dati in gestione a privati, è il Comune a doversene occupare, d’altra parte li paghiamo anche per questo».
La pensa diversamente Francesco Granese, presidente dell’associazione Amici di Villa Pamphilj, che ci accompagna in una passeggiata nel parco monumentale più grande della città (188 ettari), teatro delle battaglie del Risorgimento dei garibaldini. «I manufatti – dice – vanno affidati a privati. Si avrebbe maggior controllo sul territorio. Il Comune non riesce ad occuparsene. In questa villa ci sono controlli, però non è abbastanza. I problemi che la attanagliano sono l’occupazione abusiva, gli scippi, la prostituzione e l’incuria. Prima dell’ultimo Giubileo molti manufatti sono stati restaurati, e poi abbandonati».
Anche a Villa Pamphilj, dove in un edificio d’epoca il presidente del Consiglio accoglie capi di Stato e ambasciatori, e dove Gheddafi piantò la tenda, ci vivono in molti. «Prevalentemente immigrati dell’Europa dell’Est – spiega Granese -. Si dice che affittino anche posti letto e materassi nei monumenti storici, come nelle serre in ghisa d’epoca che i Doria Pamphilj commissionarono all’Inghilterra, vicino alla Fontana della Lumaca, del Bernini, dove si lavano gli occupanti. Molti accampamenti sono stati sgombrati recentemente, dopo le polemiche, poi però tornano subito a riabitarci». Passiamo per il boschetto noto per la prostituzione maschile gestita dai bengalesi: una trappola desolata, e come a Villa Ada spuntano cabine sos per chiamare soccorsi all’occorrenza. Non funzionano da tempo. C’è un edificio in pietra a forma di casetta e un uomo si lava alla fontanella vicina. «Questo edificio viene ripetutamente occupato. L’entrata – ci fa notare Granese – è chiusa con le pietre ma è facile riaprirla». E infatti dentro c’è un «alloggio» abitato, camera privata con vista, completa di salottino. Il caffè, la birra sul tavolino.
Gli abitanti di Villa Borghese scelgono le tende, così al mattino possono smontarle e sottrarsi ad eventuali controlli. Incontriamo due donne rom con un bambino, la loro tenda è ancora aperta, vicino a una fossa di rifiuti. «La gente che va a visitare la galleria Borghese esce da qui», ci racconta Alessandro Ricci dell’Associazione Amici di Villa Borghese, mentre indica l’uscita della metropolitana che accoglie i turisti tra cumuli di spazzatura non raccolta. Un sentiero con un mare di immondizia, che ormai ha preso il colore della terra. Ci sono immigrati che vendono borse, e la cabina dell’Acea dove fu stuprata nel 2011 una ragazza americana.
«Villa Borghese – continua Ricci – ha molti problemi, dall’incuria del verde all’illegalità. Abbiamo stimato che tra le 20 e le 40 persone si accampano per la notte». E mentre ci salutiamo incontriamo due signore anziane, storiche «senzatetto» della Capitale, che hanno vissuto per vent’anni alla stazione Termini. Si sono trasferite a Villa Borghese. «Alla stazione c’era molto rumore – dicono -. Questo è un posto silenzioso e ci sono gli alberi».
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