M
ARCO PANNELLA – Era l’ultimo erede, grande e degno erede, della tradizione liberale del nostro Risorgimento. Quell’Italia di minoranza, come la chiamava Spadolini.
Quella che ha trasformato, con il liberale moderato Cavour, un piccolo Stato subalpino in una importante nazione del moderno Occidente e che ha profetizzato, con il liberale democratico Mazzini, l’avvento di una Europa unita. Così, anche Marco Pannella, con una minoranza, anzi con una estrema minoranza, ha sempre difeso, per tutti gli italiani, i diritti della libertà e ha imposto allo Stato il dovere di riconoscerli.
È difficile, nell’emozione per la scomparsa di un vero «patriota liberale», riassumere i segni della sua lunga presenza nella vita pubblica del nostro Paese per raccoglierne la lezione fondamentale, quella che deve ispirare chiunque voglia cimentarsi in un impegno civile e politico. Ma la sua testimonianza fa sperare alle nuove generazioni di questo secolo, con un esempio difficile ma affascinante, che gli ideali di libertà e di giustizia dei secoli passati si possano difendere e conquistare anche in futuro, se si ha la coerenza e il coraggio di proclamarli a voce alta, senza alcun compromesso, senza paura di sfidare tabù, ipocrisie, conformismi, pigrizie, reticenze.
Pannella sarà ricordato certamente per la sue battaglie civili, quelle più famose e che hanno cambiato la vita dei nostri cittadini, come l’introduzione del divorzio e dell’aborto in un’Italia che a fatica, ma con gioiosa sorpresa, si scoprì più pronta ad accogliere un costume moderno di quanto una miope e bigotta classe politica potesse supporre. Sarà ricordato per un metodo di disobbedienza civile, di ispirazione gandhiana, che ne fece sempre un oppositore intransigente del potere, qualunque potere, quello politico, ma anche quello economico, sulla scia di un grande maestro liberale e radicale, Ernesto Rossi. Sarà ricordato per la difesa di un altro principio risorgimentale, quello della «libera Chiesa in libero Stato», di memoria appunto cavouriana, non contro la libertà dei cattolici e dei vescovi di parlare in nome dei loro principi, ma di imporli nella legislazione di uno Stato che deve rispettare anche la libertà di coloro che non li condividono. Sarà ricordato pure per le sue campagne «transnazionali», come quella che, negli Anni 80, combatté in favore degli ebrei russi a cui i sovietici negavano la libertà di trasferirsi in Israele.
Eppure la lezione più importante di un oppositore, scomodo e persino irritante in certi casi come Pannella, ai molti sedicenti oppositori dei giorni nostri è un’altra, che si ispira proprio alla grande tradizione risorgimentale, ed è il rispetto per lo Stato. Solo una superficiale o strumentale interpretazione della sua lunga battaglia civile e politica può assimilarlo a quella di un ribelle e anarchico assalitore dello Stato. Al contrario. Pannella aveva una così alta e nobile concezione dello Stato, dei suoi doveri nei confronti dei cittadini, ma anche di quelli dei cittadini nei confronti del loro Stato, che consacrò tutta la sua vita, da una parte, a censurare i comportamenti indegni e corrotti di coloro che lo rappresentavano e, dall’altra, con il suo stile di vita sobrio, improntato alla massima onestà personale, a indicare agli italiani un esempio di moralità , pubblica e privata.
Ecco perché Pannella voleva uno Stato le cui carceri dimostrassero i caratteri civili di una nazione, uno Stato che rispettasse la dignità di ogni persona, quella di chi ha il diritto di nascere in salute e quella di chi ha il diritto di morire senza disperazione. Uno Stato, in cui la libertà non fosse prerogativa delle maggioranze, politiche, di genere, di religione, di età , ma in cui anche le minoranze, pure quelle più piccole, si possano sentire cittadine a pieno titolo. Si potrebbe dire che Pannella avesse una concezione così elevata del «suo» Stato, mutuata da quella della nostra «destra storica» nel secondo Ottocento, da sembrare, con un apparente paradosso, più un rivoluzionario conservatore che un ribelle dell’ordine costituito. Del resto, a lui interessava più la coerenza delle idee che la collocazione di se stesso nel mutevole e opportunistico arco degli schieramenti politici italiani. Fino a utilizzare, con una spregiudicatezza che gli fu a torto rimproverata, qualunque compagno di viaggio fosse, di volta in volta, utile a combattere una battaglia giusta.
In queste ore, molti, comprensibilmente, rimproverano alla classe politica nostrana di non aver riconosciuto a Pannella i meriti di un «padre della patria» come certamente andava considerato, con gli onori che la Repubblica tributa ai suoi rappresentanti migliori, come il seggio di senatore a vita. Ma uno Stato così lontano dalla dignità che avrebbe voluto avesse Pannella avrebbe meritato di accoglierlo tra i suoi eletti? Forse è meglio così. È meglio ricordarlo senza laticlavi, neanche postumi, con quel suo sorriso, ironico e fiero, di chi non si aspetta nulla dagli altri, perché sa che sarà la storia a dargli ragione.
vivicentro.it/editoriale – lastampa / Il rivoluzionario con il senso dello Stato LUIGI LA SPINA
Lascia un commento