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Castellammare di Stabia

Riflettiamo sul significato dell’imponderabile

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Si tratta di una tragedia che dimostra quanto l’imponderabile – spiega Antonio Scurati – è ancora in grado di azzerare la modernità. Un superstite: «Ero andato in auto a prendere le medicine per mia moglie e l’hotel è crollato. Lì sotto ci sono i miei figli».

L’imponderabile che azzera la modernità

L

’imponderabile. Etimologicamente, ciò che non ha peso o che ha un peso talmente minimo da non poter essere pesato, calcolato, misurato. Come l’eventualità che ti cada il cielo sulla testa, che una slavina gigantesca si stacchi dalla montagna per seppellire un hotel in una minuscola località remota ai piedi di una montagna arcana. L’imponderabile è ciò che ha ucciso i disgraziati lavoratori e clienti dell’hotel Rigopiano di Farindola, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso, a 1200 metri d’altitudine e a una distanza abissale dall’ottusa fiducia nella affidabilità del mondo, dalla accanita illusione nell’eternità di noi stessi con cui abitualmente ci conduciamo nella vita.

Sì, perché l’imponderabile, paradossalmente, tragicamente, pur non avendo peso apparente, e forse proprio per questo, è ciò che di solito si manifesta agli uomini solo per schiacciarli sotto la propria insostenibile mole. Quanto peso hanno nelle nostre odierne esistenze le cose che non si possono pesare? Interrompere per pochi minuti il corso affannoso, e spesso vacuo, delle nostre giornate per meditare, per raccoglierci in una riflessione sul senso ultimo del nostro vivere e del nostro morire, è forse un modo più degno di altri di rendere omaggio alle vittime di questa e di altre tragedie.

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Riflettiamo allora sul significato dell’imponderabile.  

Nel mondo antico ebbe il nome di «fato». Il decreto divino riguardo all’esistenza di tutti gli uomini, stabilito in un empireo inaccessibile allo sguardo umano, pronunciato in modo inappellabile e irrevocabile. L’imponderabile veniva così a coincidere con il perimetro stesso della condizione umana, a identificarsi con gli stessi pilastri su cui si reggeva un ordine cosmico perfetto ma spietato. Al punto che per le antiche civiltà dell’Occidente ribellarsi al destino, a ciò che è più proprio alla nostra esistenza e, al tempo stesso, che le è più estraneo perché tracciato dal di fuori, dalla legge o dal capriccio di una volontà altrui, era considerata la massima colpa dell’uomo. Lottare contro l’imponderabile era ùbrys – tracotanza – inclinazione a travalicare il posto assegnatoci nel cosmo. Ed era sempre fonte di sciagura e tragedia.

Poi viene la modernità e rovescia completamente il tavolo. L’imponderabile è forse il punto in cui la modernità rompe nel modo più drastico con le civiltà antiche. La modernità diventa, anzi, essa stessa il tentativo di eliminare l’imponderabile dalla faccia della terra e dalla vita dell’uomo al punto che si potrebbe tentare di definirla propria a partire da questa sua grande, disperata impresa: la modernità, l’epoca che dichiara guerra all’imponderabile. Il posto del fato viene preso da Dio, e poi il posto di Dio dall’uomo. L’uomo, intronatosi al centro della creazione, tenta per tutti i secoli dell’età moderna di sottoporre la propria vita e il mondo a un programma così fitto di conoscenza minuziosa e trasformazione radicale da eradicare completamente l’imponderabile. Questa è stata la modernità: il sogno, il delirio di una campagna di conquista sotto le insegne della previsione e del controllo che avrebbe trionfato su tutto ciò che sfugge al nostro calcolo minacciando la pace, la salute, la floridità delle nostre esistenze.

Perfino superfluo, a questo punto, notare che la modernità è finita. La scienza progredisce ancora, la tecnologia dilaga ma il progetto moderno di previsione e controllo è stato da tempo abbandonato, come dimostra innanzitutto la resa della politica. Eppure il rifiuto dell’imponderabile non ci ha abbandonati. Non assume più l’aspetto orgoglioso, prometeico di una bonifica delle insidiose paludi della vita ma quello più modesto di una regressione della vita vissuta, di una progressiva riduzione delle superfici esposte ai colpi del destino, ai capricci del caso.

Figlia di una forse irripetibile stagione di benessere, di comfort, di agio, di noia e pigrizie, la tarda modernità di noi occidentali incapaci di pensiero tragico – e, dunque, anche di pensare e fare la guerra ai nemici che ci attaccano seminando strage proprio nei luoghi del nostro svago e del nostro confort – rifiuta ancora l’imponderabile rifugiandosi non più nella previsione ma nella premediazione.

Non puntiamo più a mettere in sicurezza le nostre vite vivendole agli estremi delle loro possibilità di trasformazione della realtà ma, più modestamente, a salvarci confinandoci ai margini di vite autenticamente vissute. Ci autoesiliamo sempre più nell’amnio tiepido e anestetico di esperienze mediate, di vite non-vissute, al riparo di consolle, monitor e display.

E, intanto, l’imponderabile è ancora lì, in agguato…

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