L’ambasciatore americano a Roma John R. Phillips si esprime sul referendum costituzionale, affermando che la vittoria del “no” nuocerebbe alle riforme economiche.
“La presa di posizione americana tocca in realtà un nervo scoperto italiano, scrive l’editorialista Stefano Stefanini Non si può guardare al nostro referendum costituzionale nell’orticello della politica romana, completamente ignari delle ripercussioni europee e internazionali. In gioco non è l’eventuale successione a Palazzo Chigi; è il futuro dell’Italia”.
Perché ci guardano gli alleati
L
’ambasciatore americano a Roma si permette di dire che Washington teme per le sorti dell’Italia in caso di vittoria del «no» al referendum costituzionale. Apriti cielo: il partito del «no» insorge contro l’ingerenza americana in Italia quasi che John Phillips stia complottando un colpo di Stato della Cia stile dimenticata Guerra Fredda. Il fronte interno del no esprime di tutto tranne che una linea vagamente comune sulla politica estera. Eccolo improvvisamente compattarsi sul Piave dell’orgoglio nazionale: lo straniero (in questo caso americano) non passerà.
Questareazione è comodamente dimentica di tre cose: primo, di domandarsi se i consigli dell’ambasciatore americano siano buoni o cattivi o irrilevanti. Gli si nega semplicemente il diritto di darli. Secondo, di riflettere sul perché il principale alleato dell’Italia (e riscopriamo che lo sia ogni volta che abbiamo bisogno di qualche grosso puntello politico internazionale, anche in Europa) si preoccupa tanto di una vicenda interna.
Terzo, di guardarsi intorno. Correrebbe il rischio di accorgersi che, fuori confini, il timore di un successo del no è tutt’altro che un’esclusiva americana. Lo condividono Berlino, Bruxelles, gli investitori cinesi e arabi che vogliamo attirare nel Bel Paese e le agenzie di rating internazionale. Altri politici e diplomatici parlano con più discrezione ma la pensano esattamente come Phillips: l’Ambasciatore americano può aver peccato in diplomazia ma certo non in onestà e sincerità. Del resto, si sa, è una caratteristica americana: gli amici possono permetterselo.
L’esplicita presa di posizione di Phillips dovrebbe costringere i sostenitori del no referendario a riflettere sulle conseguenze della loro eventuale vittoria. Invece, punti sul vivo, attaccano il messaggero anziché il messaggio. Esattamente come avvenuto nel Regno Unito dove Boris Johnson e compagni si sono scagliati contro Obama per aver sconsigliato l’uscita dall’Ue. Anche loro del resto si guardavano bene dal domandarsi quali sarebbero state le conseguenze della vittoria di Brexit. Col risultato che a quasi tre mesi di distanza Londra è ancora impreparata al grande passo.
Molti di quelli che ieri hanno linciato Phillips a Roma, avevano applaudito Obama a Londra in aprile. Forse temono che gli italiani abbiano più buon senso dei britannici nel dare ascolto ai buoni consigli di amici.
La presa di posizione americana tocca in realtà un nervo scoperto italiano. Non si può guardare al nostro referendum costituzionale nell’orticello della politica romana, completamente ignari delle ripercussioni europee e internazionali. In gioco non è l’eventuale successione a Palazzo Chigi; è il futuro dell’Italia.
All’estero il referendum italiano è percepito essenzialmente come una prova di stabilità del nostro sistema e della capacità di tenuta delle riforme di questi ultimi anni. Le simpatie internazionali verso Matteo Renzi non sono né casuali né opportunistiche. Lo conferma l’invito il 18 oottobre di un Presidente americano uscente. Premiano un presidente del Consiglio che ha il coraggio di attaccare il tabù dell’Italia che non sa o non vuole cambiare – per inciso, sulla scia dei due predecessori, Enrico Letta e Mario Monti, anche loro sempre benvenuti alla Casa Bianca.
L’Italia deve capire che quello che succede nei palazzi romani non è più un innocuo rimescolamento di carte come avveniva nella Prima Repubblica. E’ un tassello di equilibri europei e, di riflesso, internazionali. Con tre elezioni in calendario nel 2017 (Olanda, Francia, Germania), più il secondo ripescaggio delle presidenziali austriache e, forse, il terzo parlamentare in Spagna, in autunno, con il Regno Unito nelle convulsioni di Brexit (la luna di miele di Theresa May è terminata), il panorama europeo d’incertezze e fragilità politiche è desolante. Anche le ultimissime urne croate non hanno prodotto una maggioranza. La stabilità che si trova in Polonia o in Ungheria non è forse quella che l’Europa cerca.
Ci stupiamo che l’Europa e il mondo si preoccupino di un risultato referendario che farebbe precipitare anche l’Italia nelle sabbie mobili dell’instabilità? Cosa succede al famigerato «spread»? Chi gestisce la pressione immigratoria sul canale di Sicilia? La Libia?
L’Ambasciatore americano a Roma ha avuto il coraggio di dirlo. Forse dovremmo ringraziarlo. Votare no rimane perfettamente libero, legittimo e democratico. Anziché lagnarsi dell’ingerenza chi lo sostiene dovrebbe però cogliere l’occasione per dimostrare che stabilità politica, tenue ripresa e corso riformista sopravviverebbero a una loro vittoria.
Il resto di noi prende atto che quello che succede in Italia conta per il resto del mondo che, pertanto, se ne occupa e lo dice. Rallegriamocene e assumiamocene la responsabilità.
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