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Castellammare di Stabia

Il referendum è appeso a una sentenza, anzi a due

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Ora il referendum è appeso a una sentenza, anzi a due: dopo il Tar dovrà esprimersi anche il Consiglio di Stato. Il Quirinale getta acqua sul fuoco e precisa: “C’è già stato l’ok della Corte Costituzionale”. Cinque Stelle e Sinistra italiana affermano che la scheda è una truffa “ingannevole” ai danni degli elettori e presentano ricorso al Tar per ottenerne la modifica ed è così che la disputa sul quesito del referendum costituzionale è finita in tribunale.

Domande e risposte – La battaglia legale sul Referendum e il ricorso al Tar

Che cosa contesta il ricorso sul referendum?  

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rende di mira il quesito che troveremo sulla scheda. Dove ci chiederanno di approvare o no la legge «sul superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione». Secondo i ricorrenti, questo riassunto è fazioso e viola la legge 352 del 1970 sui referendum.

Cosa prescrive la legge?  

La sostanza dell’art.16 è che nelle leggi di revisione costituzionale si dovrebbero elencare sulla scheda gli articoli da cambiare, indicandone il contenuto; per le altre leggi costituzionali, invece, è sufficiente specificare l’argomento cui si riferiscono. L’accusa dei ricorrenti (gli avvocati Giuseppe Bozzi e Enzo Palumbo, cui si sono uniti Vito Crimi per M5S e Loredana De Petris per Sel) è che la formulazione renziana non indica gli articoli uno per uno, come secondo loro avrebbe dovuto, e per spiegare il contenuto usa il titolo propagandistico della Boschi.

È un ricorso fondato?  

Lo deciderà il Tar del Lazio, seconda sezione bis, presieduta dalla dottoressa Spanizzi. Il tribunale amministrativo deve anzitutto chiarire se è competente a decidere. Certi giuristi sostengono di no, che i ricorrenti hanno sbagliato indirizzo, avrebbero dovuto bussare invece alla Cassazione che già aveva messo il suo timbro sul quesito. Sennonché la legge sui referendum (art.12) non prevede alcuna forma di ricorso in Cassazione, per cui Bozzi e gli altri non avevano altra possibilità che contestare l’intero decreto con cui il Presidente della Repubblica ha indetto il referendum. Per questo motivo si sono rivolti al Tar, correndo i rischi del caso.

Nella sostanza i ricorrenti hanno ragione?  

Il governo tramite i suoi avvocati dirà di no, che pure in passato si era fatto così: tanto nel 2001 quanto nel 2006 la scheda non indicava gli articoli da cambiare ma semplicemente «il Titolo V», oppure «la seconda parte della Costituzione»: formulazioni che guarda caso corrispondevano ai titoli delle due riforme sottoposte a referendum. Sostiene il premier: noi ci siamo regolati esattamente allo stesso modo, inserendo il titolo della legge approvata dal Parlamento. Sottovoce, certi fautori del Sì riconoscono che c’è stato un po’ di furbizia; salvo aggiungere che la legge del 1970 non la vieta affatto, perché la formulazione del famoso art. 16 è alquanto lacunosa. Prescrive semplicemente di specificare sulla scheda l’argomento cui la riforma costituzionale «concerne», ma non indica il modo in cui la riforma va sintetizzata. Renzi l’ha riassunta a modo suo, e per il Tar non sarà facile metterlo con le spalle al muro.

Quando la decisione?  

La cattiva notizia: qualunque cosa il Tar decida, ci sarà un appello davanti al Consiglio di Stato. La buona notizia: diversamente da quella civile, la giustizia amministrativa procede in fretta. Già oggi a mezzogiorno è fissata la prima udienza.

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