I cani randagi stanno diventando un’emergenza nelle città del Sud. I microchip sono pochi e le sterilizzazioni non ancora una prassi. Al momento si rasenta il milione di animali e per questo serve un piano straordinario. Intanto le associazioni denunciano: “Ci sono interessi e collusioni dietro decine di canili”.
Cani randagi fuori controllo al Sud: “Serve un piano straordinario”
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Randagi: pochi microchip e sterilizzazioni, si rasenta il milione di animali. Lav ed Enpa: «Interessi e collusioni dietro decine di canili»
Doveva cambiare tutto dal 13 marzo 2009, quando a Scicli (Ragusa) Giuseppe Brafa fu ucciso a 9 anni da un branco di cani, e invece un pezzo d’Italia è finito fuori controllo. Il randagismo al Sud, generatore di crudeltà e accanimento sugli esemplari che vagano per campi e città, foriero di pericoli per la salute e l’incolumità degli umani, è in aumento: «Nel nostro Paese – la denuncia del Sivelp, sindacato italiano veterinari – i cani randagi potrebbero essere raddoppiati nell’ultimo quinquennio», rasentando quota 700 mila con stime d’un milione fra i più pessimisti. Meno drammatica la proiezione di Ilaria Innocenti (Lega Antivivisezione): «Settecentomila è una cifra attendibile ed esiste un divario nettissimo fra Nord e Sud. Le presenze nei canili , attualmente siamo a 79 mila, sono scese del 25% su scala nazionale rispetto a dieci anni fa, ma crescono nel Mezzogiorno, Puglia, Campania e Sicilia in primis. Senza dimenticare che spesso non vengono comunicati dati con puntualità».
Perché non se ne viene a capo? «Mancano le sterilizzazioni – insiste Piera Rosati, presidente nazionale della Lega per la difesa del cane – e l’inserimento sistematico d’un microchip che permetta d’individuare la provenienza. Il risultato sono riproduzioni incontrollate (uno studio dell’americana Doris Day Animal League conferma che una femmina «vagante e non sterilizzata» sostiene due parti all’anno da otto cuccioli, ndr). E anche quando un randagio viene intercettato, resta a lungo in qualche struttura». Nonostante una legge del ’91, perfezionata nel 2004, obblighi a sterilizzare ogni animale che entra in un canile sanitario, in concreto avviene solo nel 60% dei casi, lo certifica il ministero della Salute. E nel generale calo delle adozioni (-8,5% nel 2016 rispetto al 2015) è impressionante la differenza tra Centro-Nord e Sud sulle «restituzioni» dai canili al padrone: 50% nel primo frangente, 3,5% nel secondo. In assenza di chip e prevenzione delle nascite, e con i fondi ministeriali per il contrasto all’abbandono ridotti dai 4,2 milioni del 2005 ai 297 mila euro del 2017, i Comuni s’affannano a sovvenzionare 1100 canili.
Sempre secondo la Lav gli enti locali spendono 100 milioni all’anno, con punte incredibili come in Puglia (65 mila euro di esborso giornaliero) o in Sicilia (37 mila, in Lombardia sono 10 mila). «Il giro d’affari è più alto – rilancia Michele Visone, presidente Assocanili -. E alcune associazioni, con fiscalità agevolata a differenza delle imprese private, lucrano sui contributi per gestire rifugi». Sul punto chiede distinguo la presidente nazionale Enpa, Carla Rocchi: «Si punisca chi è colluso con gli amministratori pubblici, s’investa nella formazione dei volontari che svolgono cruciale opera di salvataggio e assistenza. E i municipi dovrebbero spendere in convenzioni con i veterinari per la sterilizzazione di massa; ma finché non accade, i canili non si chiudono». È in questo mare di contraddizioni che il randagismo non cala. «Eppure i sindaci – chiude Manuela Giacomini, avvocato che lavora per l’internazionale Animal Welfare Fundation – dovrebbero preoccuparsene: sono i proprietari dei randagi, responsabili penalmente del loro comportamento».
vivicentro.it/CRONACA – SUD
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