È
comprensibile che Radio Maria non si auguri la nascita della Cirinnà, intesa come legge che disciplina le unioni civili. Lascia più perplessi che si auguri la morte della Cirinnà, intesa come persona fisica prima firmataria della legge. «Signora, arriverà anche il suo funerale, stia tranquilla. Glielo auguro il più tardi possibile, ma arriverà», ha vaticinato don Livio Fanzaga dai microfoni dell’emittente cattolica di cui è direttore. Anche in tempi di assuefazione a qualsiasi eccesso, un prete in versione gufo che augura la morte a una pecorella smarrita rientra ancora nel novero degli eventi stupefacenti. Non tanto per l’assenza della minima particella di carità cristiana, difficile da rintracciare in un uomo che ha definito gli amori gay «una sporcizia». Quanto perché, per un credente tutto d’un pezzo come lui, la morte dovrebbe rappresentare un esito positivo, lo skilift per approdare a quella vita eterna che fino a prova contraria rimane il «core business» dell’azienda. Nelle sue parole, invece, la Grande Liberatrice sembra essere diventata una fattura da scagliare contro gli avversari e persino il funerale si trasforma in una minaccia. A meno che.
A meno che don Livio, amando da buon cristiano la morte e i funerali, li abbia augurati alla signora Cirinnà come dimostrazione di affetto. In tal caso se ne potrebbe dedurre che la legge sulle unioni civili non dispiaccia troppo nemmeno a lui. E questo, nei giorni della tournée di padre Pio, sarebbe un autentico miracolo.
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