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Castellammare di Stabia

Quel lontano ricordo del 25 aprile

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UEL LONTANO RICORDO DEL 25 APRILE, QUANDO RISORGIMENTO E LIBERAZIONE FACEVANO RIMA CON FESTA E CELEBRAZIONE. SEMPRE PIU’ BISTRATTATA E MISTIFICATA, LA RICORRENZA DELLA  LIBERAZIONE SEMBRA NON AVERE PIU’ SENSO.

Nel turbinio oramai irrefrenabile dell’eterna messa in discussione, del revisionismo che tutto ammanta di novità o di pseudo tali innovazioni più o meno fattive e più o meno utili, al riguardo del tutto e di tutti, cioè verso i concetti, le idee e le pratiche così come le persone e le cariche istituzionali che ricoprono, anche il 25 Aprile, Festa della Liberazione nazionale, non poteva certamente essere risparmiata.
Cosa significhi storicamente questa data e cosa abbia significato per l’Italia democratica tutta appare francamente troppo scontato ricordarlo ancora una volta, nonché eccessivamente manicheo.
Sarà pur vero che la storia la scrivono alla fine i vincitori e che i detrattori devono sempre pur poter dire la loro in una piena logica da regime democratico, imperniato sul contraddittorio e sulla diversità delle visioni, ma più che di democrazia, di multiformi opinioni o di diverse vedute, parlerei di negazione delle categorie storiche e dell’oggettività di un racconto fondativo.
L’Italia, il cui processo di State-building, è stato lungo e complesso, ed il cui mito fondativo nazionale solo in parte nasce nella logica romantica della Patria e del Sangue dei suoi valorosi figli, ultimamente annaspa in un generale marasma di odio, pressapochismo, tendenza alla violenza, a più punti ripresa e sussunta da personaggi di varia estrazione e di dubbia solidità culturale.

Volendo tentare un’analisi scevra da pregiudizi politici e da letture politicizzanti che fermerebbero il livello della questione a maggioranza in carica e opposizione dell’altro lato politico sconfitto, si dovrà necessariamente convenire su un dato.
Mai come in questa stagione politica gli episodi di antisemitismo, vilipendio ai simboli nazionali, distruzione di targhe commemorative e danneggiamento di luoghi simbolo sono stati inanellati con una precisione quasi chirurgica, come pezzi di un puzzle di cui si attende la realizzazione di un incastro ancora lungi dal venire.
Abbasso i catastrofismi e le cospirazioni delle nuove tirannie alle porte, dicono i più, e probabilmente si può anche ragionevolmente essere d’accordo con una posizione del genere, ma l’intolleranza esperita attraverso determinati episodi è sempre più un dato di fatto e non una mera opinione.
Come in tutte le cose si tratta di trovare un punto equilibrato di lettura, una posizione mediana che ci permette di bilanciarci tra i più pericolosi estremismi e gli altrettanto dannosi lassismi del lassez faire.
Il modello giapponese delle tre scimmie sagge del non vedo, non parlo e non sento non basta più, perché se è vero che non siamo sull’orlo di un nuovo regime tirannico sarà altrettanto vero che i capisaldi dell’Unità nazionale non sono mai stati tanto messi in discussione come oggi.
Se il ministro dell’interno imbraccia un mitra ed è sempiternamente vestito come il capo della polizia, se la sindaca di Lentate decide di cancellare la ricorrenza del 25 Aprile, se in Piazza Loreto a Milano nel bel mezzo di un pomeriggio qualunque 30 ultras laziali inneggiano al fascismo con tanto di striscione sentenziante “Onore a Benito Mussolini”, appare evidente che gli anticorpi dell’antifascismo e della libertà democratica di questo paese hanno chiaramente bisogno di essere rimpolpati in numero e qualità.

Il racconto storico della liberazione dal nazifascismo, dell’accoglienza trionfale riservata all’esercito americano, dei partigiani protagonisti del Risorgimento, delle città liberate ancor prima dell’intervento degli alleati e della risuonante Bella Ciao per le piazze, appare oramai come robetta da romanzo di appendice, trattato alla stregua di un’invenzione partorita di sana pianta dai soliti comunisti in cattiva fede che hanno scritto la storia a proprio piacimento.
Anche il controracconto deve essere consentito, anche la narrazione delle molteplici versioni alternative che gli sconfitti della storia ad ogni latitudine vogliono consegnare agli onori della cronaca spacciandole per verità assoluta, liquidando nel frattempo la verità oggettiva come verità di regime, deve essere sempre e comunque resa fruibile e testimoniabile, ma con decisi limiti oggettivi.
Tali limiti oggettivi sono il rispetto della legge e dei diritti del libero pensiero e della libera manifestazione, ma auspicare il ritorno violento del Fascismo calpestando il 25 Aprile e la sua eredità storica ancora presente benché annacquata, è viltà e si tramuta in vigliaccheria istituzionalizzata o permessa qualora le autorità competenti non intervengono.
Sembra di una elementarietà disarmante, ma val la pena ancora una volta ribadire il concetto secondo cui offendere, inneggiare alla violenza e idolatrare il fascismo non è libertà di opinione né di espressione, è solo manifestazione di biechi istinti di una malrisolta identità ed eredità con un passato non tanto poi lontano.
Il 25 aprile, maltrattato e bistrattato, diventato insieme vuoto di paccottiglia istituzionale e autocelebrativa, versa in gravi condizioni, un malato al cui capezzale corrono in tanti a mo’ di passerella delle grandi occasioni, ma trovare la cura giusta verso i rigurgiti attuali di odio e recrudescenza simbolica di certi fenomeni è ben altra cosa.
Speriamo in un 25 Aprile saldo ed in buona salute che non corra il rischio, già il 26 aprile, già il giorno dopo, di stare male, irrimediabilmente ed irrecuperabilmente male.

Saranno gli anni a venire, la tenuta della scuola e della cultura, le identificazioni simboliche delle attuali e delle future generazioni a dirci le cose come andranno, verso quale stagione di valori vireremo e quali rischi, reali e presunti tali, saremo ancora una volta in grado di correre e accollarci.

Vincenzo Inserra

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