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Quartieri illegali e ghettizzati: «Fuggire è la nostra unica speranza» prima di morire (before to die)

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Le grandi città si dimenticano dei quartieri delle loro periferie e dei 15 milioni di persone che ci vivono.  Nel suo reportage Niccolò Zancan racconta il disagio di chi vive nel quartiere Falchera di Torino: «Fuggire è la nostra unica speranza».

Falchera, la Torino senza futuro: “Fuggire da qui è l’unica speranza”

Nella periferia tra discariche abusive e abbandono

TORINO – Erano sogni di fuga già ai tempi del Real Falchera Football Club. «Se facessi 13 al Totocalcio e vincessi 300 milioni, io non li investirei da nessuna parte. Il mio sogno sarebbe girare tutto il mondo. Ma con i soldi. Non da vagabondo». Il portiere della squadra del quartiere più periferico di Torino si chiamava Andrea Moretti: maglietta verde pisello, di quelle abbondanti. Si chiama ancora così, anche se non gioca più. Dai tempi del cortometraggio girato nel 1991, di viaggi ne ha fatti pochi. Adesso abita in provincia. Ha recitato qualche parte in altri film più importanti. Ultima occupazione nota: dipendente in un’impresa di pulizie.

«

Ce ne siamo andati quasi tutti dalla Falchera», racconta il regista Giacomo Ferrante. È suo l’unico documentario che racconta quel quartiere con le case alte e i nomi delle vie dedicati alle piante – ulivi, abeti, querce – che non si è mai sentito davvero parte della città. Ma proprio per questo, ha sempre avuto un senso speciale di appartenenza. Un orgoglio, nelle difficoltà.

«Siamo stati costretti a cambiare quartiere e anche città», dice il regista Ferrante, che nel frattempo è diventato autista per la Regione Piemonte. «Ce ne siamo andati per cercare lavoro, per accettare un affitto a prezzi convenienti. Ma torno spesso a trovare mia madre Antonietta, ho ricordi bellissimi. Tutti noi, ragazzini, sempre per strada. I genitori al balcone. Le macchine inventate con le assi di legno, il gioco dei tappi. Le partite a calcio. E certo, il Real Falchera F.C.».

Dall’autostrada Torino-Milano vedi i palazzi che svettano in mezzo ai campi. Sono un arrivederci o un benvenuto. Il quartiere era nato nel 1974: Falchera Nuova. Era per gli operai del Meridione italiano, Puglia, Calabria, Sicilia, e per quelli arrivati dal Veneto. Nasceva accanto a Falchera vecchia, dove già alloggiavano molti esuli istriani. «Era come trovare tutta Italia nelle stesse strade», ricorda Ferrante.

Erano famiglie come non ce ne sono più. Case popolari proporzionate: 120 metri quadrati, sei stanze. Tutti avevano come minimo due figli. Il 1971 per Torino è stato l’anno con il record di natalità: 19.683 nati, 11.393 morti, saldo naturale 8300. Vita. Tanta vita. Anche in quel quartiere separato da tutto il resto, anzi escluso.

Ora il campo del Real Falchera F.C. è in disgrazia totale. Hanno rubato cavi elettrici, panchine, luci, tombini. L’erbacce sono alte più di un metro, a malapena si vedono le porte. Il proprietario del chiosco, accanto al vecchio impianto sportivo, ha cercato di occuparsene. «Ho scritto lettere, mandato petizioni, ma è stato tutto inutile», dice arrabbiato. Dietro al campo c’è una discarica abusiva lunga un chilometro. E dietro alla discarica, sulla strada parallela, cinque giorni fa hanno sparato ai gestori del distributore Tamoil. Ugo Esposito e la moglie Filomena, 68 e 65 anni, che hanno cercato di difendere l’incasso. Sono entrambi ricoverati in ospedale in gravi condizioni.

È sempre così alla Falchera. Arriva qualche notizia tragica a portarsi via ogni volta tutta la fatica e l’orgoglio dei residenti. E ce ne sono state, negli anni, di notizie terribili. A cominciare dall’omicidio di Antonino Micciché, 25 anni, un esponente di Lotta Continua soprannominato «il sindaco del quartiere». Perché era il leader del comitato di lotta per le case popolari. Venne ucciso da una guardia giurata per un garage abitato abusivamente. Gli Anni di Piombo. La droga. La rabbia. La povertà. Anche molto recente. Matteo, un bambino di quattro mesi, morto di stenti, disidratato e denutrito, in via delle Querce. Oppure la storia dell’orco della Falchera, come era stato soprannominato quel padre che per 25 anni aveva violentato la figlia in uno di questi palazzoni. Prima di essere arrestato.

Adesso diversi alloggi sono vuoti. In una sola torre abitano dodici vedove. Li chiamano «alloggi sottoutilizzati». E periodicamente torna all’ordine del giorno per l’Atc, l’ente gestore, l’ipotesi di trasferire le vedove altrove. Ma la Falchera si è sempre opposta. Ora ci si batte per la storia.

«Sono nato qui, ma alla fine sono dovuto andare via anche io», racconta Massimo Gelini al bancone del Bar Quadrifoglio. «Era una lotta per tutto. Per l’acqua che pioveva dentro casa. Per i troppi alloggi dati alle famiglie rom invece che a quelle italiane. Per avere il tram. Per avere qualche iniziativa culturale nel quartiere. Qui ci siamo sempre sentiti abbandonati. I politici sono venuti solo ed esclusivamente per prendere voti. Li abbiamo visti sparire tutti. Uno dopo l’altro. E alla fine, te ne devi andare. Ma mi si stringe il cuore a ripensare alle domeniche da bambino, quando eravamo tutti poveri anche se non ci sembrava di esserlo. Dividevamo le angurie e passavamo l’estate, stando insieme».

Oggi ci sono appartamenti in vendita a 800 euro al metro quadrato. L’unico supermercato della compagnia «Tuodì» è chiuso da tre mesi. L’unica edicola ha dimezzato gli incassi nel giro di un decennio. Il 35% dei 26.343 residenti ha più di 65 anni. Ma i ragazzini hanno aperto un buco nella rete arrugginita per tornare a giocare a pallone, proprio accanto al vecchio campo del Real Falchera F.C.

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lastampa/Falchera, la Torino senza futuro: “Fuggire da qui è l’unica speranza” NICCOLÒ ZANCAN


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