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n pregiudicato era stato arrestato nell’operazione Primavera dai CC di Piazza Armerina (EN). Ora è stato condannato in via definitiva per mafia
Pregiudicato era stato arrestato, ora condannato in via definitiva a quattro anni e sei mesi per mafia
A distanza di poco più di quattro anni dall’operazione di polizia giudiziaria denominata “Primavera”, condotta dai Carabinieri della Compagnia di Piazza Armerina (EN), è arrivata la condanna per Liborio Bonfirraro, un pregiudicato componente del sodalizio mafioso di Pietraperzia, facente capo all’organizzazione denominata Cosa Nostra.
Il 28 giugno 2016 con l’importante operazione “Primavera” – coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta – era stato possibile disarticolare l’organizzazione mafiosa operante nel comune pietrino, assicurando alla giustizia numerosi malavitosi che avevano, per anni, terrorizzato la comunità locale.
L’operazione “Primavera” era stato un blitz antimafia eseguito dai Carabinieri del Comando provinciale di Enna nel territorio del Comune di Pietraperzia. Dieci furono le persone che finirono in carcere: Liborio Bonfirraro, 56 anni; Salvatore Bonfirraro, 48 anni; Salvatore Calvino, 37 anni; Vincenzo Capizzi, 37 anni; Claudio Di Blasi, 38 anni; Giuseppe Marotta, 57 anni; Vincenzo Monachino, 49 anni; Giuseppe Piccicuto, 48 anni; Calogero Siciliano, 44 anni; e Filippo Viola, 50 anni.
Un retroscena significativo che emerse dalle indagini era stata l’esercitazione della cosca in improvvisati poligoni di tiro nelle campagne, nonché la spregiudicatezza dei componenti i quali parlavano tra di loro di armi, arrivando persino ad andare in giro per le strade del paese armati.
In particolare l’indagine condotta dai militari dell’Arma aveva permesso di ricostruire le dinamiche mafiose insistenti nel Comune di Pietraperzia ed era stata finalizzata ad azzerare la capacità operativa della locale famiglia mafiosa, facente capo ai fratelli Monachino.
L’attività investigativa era riuscita a documentare la continua programmazione di attività criminali quali rapine, estorsioni, traffici di droga, attentati e danneggiamenti, nonché la disponibilità di armi, il controllo delle attività delittuose poste in essere dalla criminalità “comune”.
Inoltre era emersa la disponibilità ad intervenire per dirimere qualsiasi controversia privata, utilizzando la forza persuasiva che promana dall’appartenenza a Cosa Nostra ed infine il continuo interesse su varie attività economiche operanti sul territorio, al fine di avvicinare gli imprenditori per imporre loro il pizzo o l’assunzione di un appartenente al clan o di persone vicine all’organizzazione mafiosa.
Per Bonfirraro è scattata dunque, dopo la pronuncia della Corte di Cassazione, la condanna definitiva a quattro anni e sei mesi per associazione di tipo mafioso, finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti ed al controllo del territorio attraverso la commissione di estorsioni ed attentati incendiari.
I Carabinieri della Stazione di Pietraperzia dopo le formalità di rito lo hanno accompagnato presso la Casa Circondariale di Enna, come disposto dall’Autorità Giudiziaria di Caltanissetta che ha emesso il provvedimento.
Numerose e continue nel tempo sono le operazioni svolte dai Carabinieri in questa parte della provincia ennese, infatti all’operazione Primavera si aggiungono quella denominata Ferro Battuto e per ultimo Kaulonia (26.03.2019 Mafia, summit tra boss di Catania e Enna. I Carabinieri del Ros eseguono 21 arresti – 30.09.20 Svolta nelle indagini dell’omicidio dell’Avvocato Antonio Giuseppe Bonanno) i cui primi esiti giudiziari hanno portato a recenti condanne con il rito abbreviato da parte della Magistratura nissena.
Uno dei fratelli Monachino, Giovanni, ance lui pregiudicato, era stato già arrestato dai Carabinieri del Comando Provinciale di Enna, unitamente agli agenti della Polizia di Stato di Enna, nel marzo del 2004 poiché ritenuto dagli investigatori un esponente di spicco di Cosa Nostra nell’Ennese. L’uomo era stato già arrestato il 23 febbraio del 2000 nel corso dell’operazione denominata “Ferro battuto”, un’articolata indagine condotta dal reparto operativo dell’Arma di Enna, attraverso la quale era stato scoperto che la famiglia mafiosa di Pietraperzia controllava gli appalti pubblici, imponendo anche l’assunzione di manodopera gradita ai boss e l’acquisto di materiali da ditte controllate direttamente dalla cosca. In particolare, Giovanni Monachino e Giuseppe Anzallo, altro pregiudicato, sono stati riconosciuti colpevoli di associazione mafiosa per essersi inseriti illecitamente nella gestione dell’appalto di metanizzazione del comune di Pietraperzia, i cui lavori se li erano aggiudicati la ditta “C.P.L. Concordia” di Modena per un importo complessivo di quattro miliardi e mezzo di lire, nonché per avere ottenuto denaro a titolo estorsivo e fatto assumere personale a loro vicino.
Le indagini del reparto operativo dei Carabinieri, nell’ambito dell’operazione “Ferro battuto” (nella quale sono confluiti in sede dibattimentale anche i risultati delle indagini svolte in modo autonomo dalla squadra mobile ennese), furono coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di Caltanissetta e hanno permesso di dimostrare come Giovanni Monachino, unitamente ad altri appartenenti alla criminalità organizzata, avesse costituito una cellula di Cosa Nostra dedita all’infiltrazione negli appalti pubblici e alle estorsioni.
Monachino era comunque già conosciuto alle Forze dell’Ordine fin dagli inizi degli anni ’90. Il 21 agosto del ’92 fu individuato dalla polizia stradale a Sacchitello, nell’area di servizio dell’autostrada A19, mentre con Paolo Severino, Filippo Mingrino, Mario Potente e Calogero Farruggia stavano progettando l’omicidio di un altro pregiudicato, Gaetano Leonardo, detto “Tanu ‘u liuni”, poiché vi sarebbe stato un conflitto fra le famiglie di Enna e Pietraperzia. Monachino, in quell’occasione, fu arrestato perché trovato in possesso di una pistola calibro 9. Il 17 novembre dello stesso anno, in seguito alle rivelazioni dei pentiti Leonardo Messina e Paolo Severino, gli fu notificato in carcere un altro ordine d’arresto, nell’ambito dell’operazione “Leopardo I”. In primo grado fu condannato a sei anni di carcere, mentre in appello la sua posizione fu stralciata.
Nel maggio del 2002 il Tribunale di Enna ha condannato Monachino alla pena di sette anni di detenzione, con l’aggravante di essere il rappresentante della “famiglia” di Pietraperzia, e Anzallo a sei anni e sei mesi, con l’aggravante di essere il viceprovinciale di Cosa Nostra.
Come disposto dalla Procura generale di Caltanissetta, in seguito alla sentenza definitiva di condanna emessa dalla Corte di cassazione, Monachino espiò un anno di reclusione, ossia la pena restante di quella già scontata in regime di custodia cautelare in carcere. Inoltre, gli era stata applicata una pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale nonché la misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno.
Sempre nel 2004, all’inizio dell’anno, tra Pietraperzia e Barrafranca, gli stessi Carabinieri eseguirono l’operazione cosiddetta “Gran secco” che portò, tra gli altri, anche all’arresto dell’avvocato Raffaele Bevilacqua, presunto rappresentante provinciale di Cosa Nostra.