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Più investimenti per la sicurezza dei pendolari: ma di quali?

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Dopo il drammatico incidente ferroviario di Pioltello, tutti reclamano più investimenti per la sicurezza dei pendolari sui treni. Giusto. Ma nell’allocare i finanziamenti non si può dimenticare che è sulla strada che si contano 2.400 morti in incidenti all’anno (contro 5 sui binari).

Sicurezza prima di tutto, ma di quali pendolari?

È davvero difficile sostenere che i trasferimenti pubblici per la manutenzione nelle ferrovie siano scarsi, data la loro entità. Semmai vanno aumentate le risorse destinate alla sicurezza delle strade. Perché la maggior parte dei pendolari usa l’auto.

Incidenti e mezzi di trasporto

N

elle ore immediatamente successive all’incidente ferroviario avvenuto il 25 gennaio in Lombardia, e costato la vita a tre persone, da più parti si sono levate voci per denunciare la scarsità di risorse destinate al settore del trasporto pubblico locale e la inaccettabilità delle condizioni di sicurezza sulla rete ferroviaria: “Non è accettabile che delle persone muoiano in questo modo, mentre vanno a lavorare o studiare” (Laura Boldrini); “Morire così, nel 2018, in una nazione che fa parte del G8 è francamente inaccettabile” (Giorgia Meloni); “È inaccettabile morire mentre si va al lavoro” (Graziano Delrio); “Episodi del genere non devono più accadere” (M5s). Giornali e telegiornali hanno dedicato alla notizia lo spazio di apertura. Le stesse reazioni si erano già avute in passato in circostanze analoghe. Eppure, se si prova a superare la comprensibilissima emozione legata all’accaduto, qualcosa non torna. Proviamo a dire perché.

Ogni giorno sono poco più di diciotto milioni gli italiani che si recano nel luogo di lavoro o di studio. Di questi, una minima parte, 870 mila, si spostano in treno (1,2 milioni sommando quelli della metropolitana e non cinque da portare a dieci come propalato ad arte da Legambiente con l’endorsement del Ministro dei trasporti). La stragrande maggioranza si serve dell’auto o della moto. Costoro corrono un rischio che è di gran lunga maggiore rispetto a quello che interessa i viaggiatori in treno. In ferrovia il numero medio di passeggeri deceduti nell’ultimo lustro è cinque; sulle strade perdono la vita ogni anno 2.400 conducenti di veicoli. È come se ogni giorno accadessero due incidenti come quello del 25 gennaio. Ma questa notizia rimane confinata, in qualche modo inevitabilmente, in ambito locale e non assume rilevanza nell’informazione nazionale.

 

Chi paga

Quanto alle risorse, vi è una radicale disparità di trattamento tra pendolari che utilizzano l’auto e quelli che si servono del treno. I primi, infatti, si fanno carico interamente dei costi del proprio spostamento: pagano, per via fiscale e di pedaggio, i costi correlati alla costruzione e alla manutenzione della rete stradale e tutti quelli connessi all’utilizzo del veicolo. Non solo: ogni anno entrano nelle casse dello stato all’incirca 40 miliardi di euro al netto delle spese sostenute da tutte le amministrazioni pubbliche.

La condizione della ferrovia è opposta. Chi si serve di un treno non contribuisce neppure in minima parte ai costi di costruzione delle linee. E sopporta solo una parte minoritaria, intorno a un terzo, di quelli relativi alla circolazione dei convogli. Nel caso degli abbonati la percentuale è ancora più contenuta: approssimativamente solo un quinto, tutto il resto è a carico dei contribuenti attuali o futuri.

La diversità di trattamento appare di assai dubbia giustificazione dal punto di vista dell’equità. La parte largamente prevalente dei pendolari che usano il treno sono impiegati e studenti che si dirigono verso le aree centrali delle maggiori città, mentre per categorie con redditi del tutto paragonabili, come operai e artigiani, e più in generale chi effettua spostamenti in aree periferiche, spesso non c’è alternativa all’uso dell’auto. E appare fortemente discutibile sia sotto il profilo ambientale (l’impatto delle politiche di sussidio delle ferrovie – in Italia intorno ai 200 miliardi negli ultimi trenta anni – e dei trasporti pubblici più in generale è quasi trascurabile nel lungo periodo e sempre meno efficace, al contrario di quanto continuano ostinatamente a ripetere i fautori della “cura del ferro”) sia dell’efficiente uso dello scarso spazio stradale. I mezzi pubblici aumentano l’accessibilità ma, di per sé, non riducono la congestione: nel centro di Londra, con una dotazione senza pari di ferrovie e metropolitane, prima della introduzione della congestion charge, la velocità media dei veicoli era pari a 14 km/h.

Dove investire in sicurezza

Ma torniamo agli incidenti. Nelle attuali condizioni non vi è dubbio che il migliore utilizzo delle risorse pubbliche da destinare alla sicurezza degli spostamenti sia quello che ne preveda l’impiego pressoché esclusivo a favore della strada.

Il contributo più rilevante per la sicurezza dei trasporti che potrebbe oggi venire dalla ferrovia è quello, indiretto, che si conseguirebbe con un miglioramento dell’efficienza produttiva e la riduzione dei sussidi pubblici: se anche una modesta quota delle risorse che attualmente l’Italia e gli stati europei destinano al trasporto su ferro (quasi 50 miliardi di euro all’anno) venisse dirottata alla sicurezza stradale, la riduzione del numero di vittime di incidenti sarebbe dell’ordine di qualche centinaio di unità per anno. Si dovrebbe trattare di un rafforzamento dell’attività di controllo e repressione dei comportamenti non conformi al codice della strada e, laddove giustificati in base all’analisi costi-benefici, di interventi di adeguamento delle infrastrutture tramite, ad esempio, la separazione dei flussi di traffico contrapposti (un’autostrada è indicativamente cinque volte meno pericolosa di una strada ordinaria). In ambito urbano è poi verosimile che la riduzione della incidentalità che si potrebbe ottenere grazie alla riduzione del flusso automobilistico in superficie con la realizzazione di infrastrutture sotterranee stradali sarebbe superiore a quella derivante dalla costruzione di nuove linee di metropolitana la cui domanda è rappresentata solo in minima parte da ex automobilisti (con la non trascurabile differenza che una metrostrada, a differenza di una metropolitana, non richiede sussidi per l’esercizio, non comporta una riduzione delle entrate fiscali ed è in grado di ripagarsi almeno una parte dei costi di investimento).

Per quanto riguarda la sicurezza della rete ferroviaria, sembra davvero difficile ipotizzare alla luce della loro entità che gli attuali trasferimenti pubblici per la manutenzione non siano adeguati. In ogni caso, qualora in specifici ambiti si evidenziasse una carenza di finanziamenti, le risorse integrative dovrebbero essere reperite attraverso la cancellazione o, quantomeno, il ridimensionamento di grandi progetti i cui benefici risultano essere di gran lunga inferiori ai costi, oppure con l’aumento del prezzo di biglietti e abbonamenti.

Da ultimo, occorrerebbe non dimenticare che impegnare eccessive risorse per ridurre un rischio molto ridotto non è saggio: le stesse risorse sono sottratte ad altri impieghi, pubblici o privati e possono portare indirettamente ad accrescere altri rischi. Se questi ultimi sono di entità superiore a quelli evitati, la maggior sicurezza in uno specifico settore può risultare complessivamente controproducente.

FRANCESCO RAMELLA – Si è laureato in ingegneria meccanica ed ha ottenuto un Dottorato di ricerca in Trasporti presso il Politecnico di Torino. Libero professionista. Insegna “Trasporti e Logistica” all’Università di Torino. E’ Fellow dell’Istituto Bruno Leoni.

vivicentro.it/OPINIONE – L’ESPERTO
vivicentro/Più investimenti per la sicurezza dei pendolari: ma di quali?
lastampa/Sicurezza prima di tutto, ma di quali pendolari? (Francesco Ramella)

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