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Castellammare di Stabia

Per il dissesto idrogeologico speso negli anni solo il 19% dei fondi

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La Corte dei conti sul Fondo progettazione 2016-2018 contro il dissesto idrogeologico, scrive che le Regioni hanno speso il 19,9% dei soldi in dotazione.

Il dissesto idrogeologico è una sciagura che sentiamo anche sulla nostra pelle e vita da anni. Quante volte abbiamo sentito da trasversali parlamentari di destra e sinistra cantare che occorre un “piano Marshall” [ufficialmente chiamato piano per la ripresa europea (“European Recovery Program”), fu annunciato in un discorso del segretario di Stato statunitense George Marshall, il 5 giugno 1947 all’Università di Harvard. A seguito della sua attuazione, fu uno dei piani politico-economici statunitensi per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale. Questo piano consisteva in uno stanziamento di 13.3 miliardi di dollari].

Invece scopriamo dal comunicato della Corte dei conti  che le Regioni (questi risaputi carrozzoni politico-istituzionali-burocratici-professionali ecc. di noto clientelismo, voto di scambio, ingordigia, nepotismo, familismo corruzione, ecc.) non hanno speso nel tempo neppure i fondi per la progettazione.

Un documento, quello dei Magistrati contabili che riepiloga gli innumerevoli interventi legislativi varati dai vari esecutivi, dal quale si evince in modo lampante che “Le risorse del Fondo progettazione effettivamente erogate alle Regioni, a partire dal 2017, rappresentano ad oggi solo il 19,9 % del totale complessivo in dotazione, a testimonianza dell’inadeguatezza delle procedure, della debolezza delle strutture attuative degli interventi, dell’assenza di controlli e monitoraggi. Infatti, è stata erogata dal MATTM (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mar, ndr), soltanto la prima tranche del 26% dell’importo richiesto da ciascuna Regione; non è stata erogata la seconda tranche, pari al 47%, non avendo nessuna Regione completate le progettazioni finanziate”. Rispetto all’indagine precedente del 2015, annotano i giudici, “il quadro complessivo delle problematiche risulta immutato, nonostante gli interventi correttivi posti in essere”.

Per la Corte i cosiddetti ritardi burocratici sono la causa principale. Aggiungiamo più modestamente da queste pagine, che la causa è pure la cronica accidia e misantropia del sistema pubblico-politico, nonché la (preordinata, di tutta evidenza e notorietà, al fine di costituire le maglie della corruzione legalizzata) farraginosità e affastellamento di leggi, procedure, interpretazioni ed Enti vari autorizzativi, nazionali e regionali.

“A distanza di tre anni dalla istituzione del Fondo e da oltre un anno e mezzo dall’erogazione della prima quota del finanziamento, si rileva che le Regioni non sono state ancora in grado di avviare la progettazione degli interventi, come attesta la mancata erogazione della seconda quota di finanziamento”, scrive la Corte dei conti.

Numerose, secondo i Magistrati contabili, le criticità a livello nazionale e a livello locale l’inadeguatezza delle procedure e la debolezza delle strutture attuative; la mancata interoperabilità informativa tra Stato e Regioni; la necessità di revisione dei progetti approvati e/o delle procedure di gara ancora non espletate; la frammentazione e disomogeneità delle fonti dei dati sul dissesto”. E dall’assenza di un sistema di controlli e monitoraggi che “è risultato carente e pressoché assente, atteso che il controllo si è concentrato esclusivamente sui dati relativi alla spesa e non è stato esercitato in corso d’opera”.

Inoltre, sommando tutte le fonti di investimento e le previsioni di spesa per le opere necessarie, che sono due cose diverse, in quanto le prime sono soldi disponibili, le seconde soldi che servirebbero, si arriverebbe oggi a circa 2,4 miliardi di euro (stima al 23 dicembre 2018). Una cifra molto al di sotto delle reali necessità del Paese. E se da un lato non si interviene sulle emergenze, dall’altro si continua a consumare suolo. Il dato aggiornato a dicembre 2018 recita 23.033 chilometri quadrati di territorio intaccato, con una crescita netta di 5.211 ettari (52 km2) tra il 2017 e il 2018, con una media di circa 14 ettari al giorno, cioè 2 metri quadrati irreversibilmente persi ogni secondo.

È tra l’altro emersa la diffusa difficoltà delle amministrazioni nazionali e locali di incardinare l’attività di tutela e prevenzione nelle funzioni ordinarie, con il conseguente ripetuto ricorso alle gestioni commissariali. La Corte raccomanda l’adozione di un sistema unitario di banca dati di gestione del Fondo, assicurando in tempi rapidi la revisione dell’attuale sistema e che il nuovo quadro normativo e regolamentare, di recente introdotto, garantisca l’unitarietà dei livelli di Governo coinvolti, la semplificazione delle procedure di utilizzo delle risorse nonché il potenziamento del monitoraggio e del controllo sugli interventi.

Senza interventi reali sul territorio, la situazione idrogeologica della Nazione non può che aggravarsi, con conseguente aumento dei costi. Se infatti nella programmazione 2000-2014 si contavano richieste per 1.781 interventi sull’intero territorio nazionale, per un fabbisogno stimato di 9,5 miliardi (solo un quarto di questi, circa 2,26 miliardi, riguardavano interventi che, pur finanziati, non erano mai stati avviati), a luglio 2015 il numero di interventi era già lievitato a oltre 7.000 “per un valore di circa 22 miliardi, il 90% dei quali rappresentato da opere ancora da progettare, specie nel Mezzogiorno” scrive la Corte dei conti. Due anni dopo, a maggio 2017 “il fabbisogno presunto di opere richieste dalle Regioni era aumentato a 9.420 interventi, per un valore di circa 28 miliardi, di cui la grandissima parte ancora da progettare (solo il 14% dei progetti risultavano cantierabili)”.

Eppure era stata disposta una corsia preferenziale per queste opere con la nomina dei Presidenti di Regione a Commissari di Governo, con poteri speciali, stabilita dal decreto “Sblocca Italia”nel 2014.

Il MATTM (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che è l’organo del Governo Italiano preposto all’attuazione della politica ambientale, il cui Ministro in atto è Sergio Costa dei cinquestelle) ha elencato i problemi di spesa da parte dei soggetti attuatori (Presidenti di Regione) dovuti in parte a problemi di ordine burocratico e amministrativo e in parte alla cronica mancanza di progettazione di livello adeguato”. Una posizione sposata dalla speciale struttura della Presidenza del Consiglio, Italia Sicura (recentemente soppressa, ma sostituita dalla “Cabina di regia Strategia Italia”), che nel settembre 2017 si giustificava così: “il vero ritardo, a dimostrazione di un lavoro di prevenzione mai realizzato finora, sta nelle progettazioni. Delle 9.397 opere richieste dalle Regioni solo l’11% dei progetti pervenuti sono esecutivi e pronti per gare e finanziamento”.

Altra difficoltà per i progetti sono state le norme che prevedevano due banche dati differenti nelle quali le Regioni avrebbero dovuto caricare situazioni a rischio, progetti, bandi di gara e stato di avanzamento delle opere. La Banca Dati Unitaria (BDU) istituita presso il MEF (Ministero dell’economia e delle finanze è uno dei più importanti e influenti dicasteri del Governo della Repubblica Italiana) e la ReNDiS ( Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo) gestita dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). Due data base con differenti criteri di accesso e che tra loro non interagiscono, col risultato di aver raddoppiato i tempi di attesa e il lavoro del personale regionale. La Corte sottolinea come per alcuni progetti siano stati inseriti nel ReNDiS nel 2014, ma, protraendosi a dismisura i tempi per “il completarsi della procedura di presentazione della documentazione utile alla valutazione positiva del progetto stesso da parte del MATTM ha generato la necessità, in molti casi, di ulteriori indagini geologiche e rilievi topografici per aggiornare le tipologie di interventi inizialmente individuate e il rinvio delle procedure di gara. Ciò a dimostrazione che la sola disponibilità di risorse in bilancio non sempre è sufficiente a garantire la realizzazione di interventi efficaci”.

Oggi, il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha oggi dichiarato Ci sono già 6,5 miliardi di euro per il dissesto, e altri ancora potranno essere stanziati. 700 milioni sono già stati dati e abbiamo aperto oltre 500 cantieri. Non basta però. Servono più progetti dalle Regioni e dai Comuni. Noi mettiamo a disposizione una Task Force del Ministero, esperti in progettazione e di dissesto per affiancare le autorità locali se serve. Inoltre abbiamo ridotto i tempi burocratici di un 75% e con la legge #CantiereAmbiente che è ora in Parlamento andremo ulteriormente a sburocratizzare tutta la macchina. Una macchina ingolfata che per colpa della burocrazia era ferma e procedeva a rilento, e questo ha degli effetti devastanti per il nostro territorio e lo stiamo vedendo in questi giorni. Dobbiamo continuare ad aprire i cantieri che fanno bene al Paese, quelli di cui l’Italia ha bisogno, quelli per la messa in sicurezza del territorio”.

Nell’immagine di copertina l’alluvione del 1° ottobre 2009 che colpì Scaletta Zanclea in provincia di Messina, causando 37 morti e due dispersi. Il processo si è chiuso senza colpevoli. Lo scorso marzo infatti, la quarta sezione penale della Cassazione ha rigettato infatti i ricorsi della procura generale di Messina e delle parti civili, rendendo definitiva la sentenza con cui la corte d’Appello aveva assolto l’ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca e l’ex sindaco di Scaletta Zanclea Mario Briguglio perché “il fatto non sussiste” e revocato i risarcimenti. In primo grado erano stati condannati a 6 anni. Oggi, quanto meno, quegli stessi borghi sono stati quasi tutti messi in sicurezza, ma nel frattempo si sono svuotati.

L’opinione.

Il trasversale ipocrita sistema degli ultimi cinquant’anni, pubblico-politico-giuridico-burocratico-ecc. di destra, sinistra e centro, seppure va in pensione, poi ritorna da altre finestre e persino porte, facendo tra i giovani, specialmente professionisti e cosiddetta società civile, degli ottimi allievi di legale corruzione e asocialità interiore, sicché il marciume etico si rinnova e anzi aumenta di individui e consorterie.

Il Governo Nazionale e il Parlamento italiano devono fare pulizia, con leggi chiare, serie, limitatamente interpretabili, efficaci e severissime in crescendo secondo il livello rivestito dal singolo responsabile nel sistema pubblico-politico. Tutto ciò senza guardare se si ha una toga, un doppio petto, un tailleur, una doppia e tripla laurea, un titolo, una carica, ecc. E per tutti, nessuno indenne, dagli scranni più alti fino all’ultimo sgabello.

Lo Stato italiano e le Regioni sono risaputamente e in modo sparso, una decennale alcova di elusione, omertà e connivenza, per coprire le manciugghie e corruzioni legalizzate con norme ingannevoli all’origine. In Italia c’è da anni una mafia che è molto più radicata di quella criminale: “la mafia legalizzata”. O si spazzano a fondo entrambe senza se e senza ma, oppure continuiamo a raccontarci eleganti retoriche, fino a che dura. Nel frattempo si continua a morire anche per esondazioni, alluvioni, ecc. Noi cittadini, tutti, pure finiamola solo di pontificare e filosofeggiare, additandoci tra di noi concittadini come fossimo delle scimmie isteriche con le fregole. Sono i “Piani Alti con rispettive pletore di codazzi, ad essersi mangiati nei decenni pure il midollo di noi cittadini e il futuro dei nostri ragazzi, che per questo devono anche emigrare. Contro di loro dobbiamo schierarci, salvo simulare di non farne mentalmente o di fatto parte.

a href="https://vivicentro.it/author/sebaddu/">Adduso Sebastiano

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