La scomparsa di Gianroberto Casaleggio potrebbe condizionare in profondità il futuro del Movimento 5 Stelle, e con esso quello di tutto il sistema politico italiano.
P
er i grillini non sarebbe potuta cadere in un momento peggiore. Fra il voto di domenica sulle trivelle, le elezioni comunali, il referendum istituzionale, le inchieste giudiziarie, la crisi del centrodestra, stiamo per entrare in una stagione politica cruciale, ricchissima di opportunità ma anche di pericoli.
E di tutto avrebbe bisogno il Movimento, tranne che di affrontarla in contemporanea con una transizione interna – o, magari, con un aspro conflitto di successione. Anche perché la storia ci insegna che raramente viene data una seconda chance a chi le opportunità non ha saputo coglierle nel momento in cui si sono presentate.
Il Movimento, per come lo aveva pensato il suo «guru», è stato pienamente figlio del suo tempo. Al tempo della crisi delle classi dirigenti, Casaleggio ha teorizzato che delle classi dirigenti si può fare benissimo a meno, proponendo la retorica dell’«uno vale uno» e la casalinga al ministero dell’Economia. Al tempo della crisi dell’intermediazione politica, ha offerto un modello alternativo di democrazia: la partecipazione diretta dei cittadini via web. Il successo del M5s non è stato affatto casuale: queste idee hanno fornito una risposta alle domande della nostra epoca; hanno dato una forma intellettuale alla rabbia e alle frustrazioni, cercando di metterle al servizio d’un processo di rigenerazione politica e sociale. Poteva essere realizzato, il piano di Casaleggio? In astratto, posso soltanto esprimere una convinzione personale: no, non aveva modo di essere realizzato. E in concreto, invece, che cosa è stato mantenuto delle sue promesse? A questa domanda, i fatti degli ultimi anni consentono di dare una risposta meno opinabile.
Le innumerevoli scissioni interne al movimento, l’opacità dei processi decisionali, le frequentissime eccezioni alla regola della democrazia diretta, il controllo che i vertici hanno esercitato sulla base, le regole ferree finalizzate a disciplinare quel controllo: il M5s ci ha somministrato tutto questo in così grande abbondanza da toglierci ogni dubbio sul fatto che l’utopia democratica grillina si sia convertita in un qualcosa che assomiglia molto al suo contrario. Stando a tutte le cronache, insomma, c’era almeno uno – Casaleggio, appunto – che valeva molto, ma molto più degli altri. Il Movimento era anch’esso un partito personale come tanti ne abbiamo conosciuti nell’ultimo quarto di secolo – pure se di natura peculiare, visto che il leader che disegnava le strategie e controllava la macchina non coincideva col leader mediatico, Beppe Grillo. E che fosse un partito personale lo confermano anche le voci secondo le quali Gianroberto avrebbe da ultimo passato la mano al figlio Davide.
È proprio sulla buona riuscita di questa successione «dinastica» che è lecito nutrire qualche dubbio. Soprattutto perché in questi tre anni dai gruppi parlamentari del M5s sono emersi vari leader ambiziosi, non sprovvisti d’un certo talento politico e comunicativo, e intenzionati con ogni evidenza a prolungare il più possibile la propria gratificante esperienza di personaggi pubblici. Leader che difficilmente si adatteranno a seguire le indicazioni di un capo il cui solo titolo di legittimità, per ora, è quello di essere «figlio di». Né vi sono, all’interno del Movimento, dei meccanismi «normali» coi quali si possano selezionare i vertici, prendere le decisioni, dirimere i conflitti – visto che si pensava, sbagliando, di potersi affidare ai meccanismi straordinari della democrazia via web. Tutte le premesse, così, lasciano intravedere all’orizzonte l’avvicinarsi d’una burrasca grillina, all’interno della più generale burrasca politica italiana.
vivicentro.it-editoriale / Il passaggio più difficile per i grillini GIOVANNI ORSINA
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