Dublino, pieno centro, un gruppo di uomini armati irrompette in un ufficio postale, il General Post Office, e lo trasformò nel cuore della rivolta, la “rivolta di Pasqua”.
span style="font-family: 'times new roman', times, serif; font-size: 20px;">Da una parte il poeta e insegnante Patrick Pearse, che lesse il proclama del governo provvisorio della Repubblica irlandese: “Il diritto del popolo irlandese al possesso della sua terra e al pieno controllo del destino dell’Irlanda”.
Dall’altra il sindacalista marxista James Connolly, che dichiarò: “un solo unico esercito, l’Esercito repubblicano irlandese”, l’Irish republican army, ovvero l’Ira.
Due leader, due comandanti e due anime, era il 24 aprile 1916, i repubblicani socialisti e nazionalisti dichiararono l’indipendenza dell’isola.
Con l’Inghilterra impegnata nella grande guerra contro la Germania, si sperò in un aiuto militare dei tedeschi.
Roger David Casement, noto per le sue denunce degli orrori coloniali in Africa e dello sfruttamento degli indigeni in Sud America, non esitò a recarsi presso i nemici tedeschi per cercare di arruolare tra i prigionieri irlandesi una legione che sarebbe dovuta intervenire nell’isola per combattere.
Così, nella Pasqua d’insurrezione, confluirono le diverse sfaccettature della vicenda irlandese: dallo spirito di resistenza a una plurisecolare oppressione alla lotta, in nome della ragione illuministica, contro l’intolleranza religiosa; dalle rivendicazioni degli operai e contadini al tentativo di costruire uno Stato indipendente e sovrano per una nazione che era un mosaico di culture e tradizioni differenti, che andavano salvaguardate dal conformismo imposto dai britannici.
Il manifesto di proclamazione della Repubblica irlandese fu firmato da sette uomini e una donna.
Oltre a Pearse e Connolly, il giornalista Sean MacDiarmada, il suonatore di cornamusa Eamonn Ceannt, il poeta e giornalista Joseph Plunkett, il più giovane a morire, il principale organizzatore della rivolta Thomas Clarke, il poeta e drammaturgo Thomas MacDonagh e la passionaria Constance Markievicz, che si batté per il voto alle donne, fu condannata a morte e graziata, poi amnistiata.
Nel 1918 fu la prima donna eletta al Parlamento di Londra.
La rivolta durò 6 giorni, 1250 uomini effettivi a Dublino e circa 3000 nelle altre zone.
Il 29 aprile Pearse dichiarò la resa per evitare un ulteriore spargimento di sangue.
Alla fine, i britannici applicarono la legge marziale e fucilarono Pearse il 3 maggio e Connolly il 12 su una sedia, non riusciva a stare in piedi per le gravi ferite subite nei combattimenti.
Casement, convertitosi al cattolicesimo in prigione, fu impiccato il 3 agosto.
Nello stesso periodo gli altri firmatari della dichiarazione d’indipendenza vennero fucilati insieme a qualche ufficiale dell’Esercito repubblicano.
La “Settimana di sangue” costò tra gli insorti 64 morti, numerosi feriti e 16 condannati a morte. 132 morti nella polizia e tra le truppe britanniche e circa 400 feriti.
Tra i civili ci furono 254 morti e 2217 feriti.
Pearse di fronte alla corte disse: “Non riuscirete mai a spegnere il desiderio di libertà degli irlandesi: se non ce la faremo noi, ce la faranno i nostri figli”.
Nel giro di pochi anni i repubblicani riuscirono a tramutare quella sconfitta in un’epopea.
Una rivolta che dal 1919 al 1921 portò l’Irlanda alla suddivisione.
Furono capaci di sostituire all’insurrezione aperta una micidiale guerriglia, che portò al trattato del 6 dicembre 1921.
Questo concedeva a 26 contee di costituirsi in uno Stato libero d’Irlanda, mentre 6 contee dell’Ulster formarono la cosiddetta “Irlanda del Nord”, unita alla Gran Bretagna sotto il dominio della corona.
La trasformazione dello Stato libero in una vera entità politica autonoma, l’Eire, risale al 1937; il nome di Repubblica d’Irlanda è stato adottato nel 1948.
Oggi Pearse e Connolly non si riconoscerebbero nella non facile coesistenza delle due realtà irlandesi e guarderebbero con orrore alla pretesa contrapposizione dei cattolici e protestanti.
Ma certamente resterebbero affascinati da come il seme della libertà gettato in quella Pasqua sia sbocciato tra i più diversi popoli della terra.
Vincenzo Vanacore
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