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Palermo, il bar di fronte al pantheon di Falcone è dei boss: la Finanza lo sequestra

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L’espresso di Cosa nostra, c’è anche una torrefazione nel patrimonio da 15 milioni gestito da un amico del figlio di Riina

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alermo – L’antimafia è ormai diventata un paravento perfetto per i mafiosi e i loro complici. E anche un buon affare. Un boss parecchio intraprendente ha investito nel “Gran cafè” che sorge di fronte al pantheon dove dall’anno scorso sono custodite le spoglie del giudice simbolo dell’antimafia, Giovanni Falcone. La chiesa di San Domenico è ormai una delle mete più gettonate dai turisti e dalle scolaresche in gita. Quale occasione migliore per ristrutturare un vecchio bar e trasformarlo in un locale alla moda con tanto di sala ristorante e banco di pasticceria pieno di delizie siciliane. Il boss Francesco Paolo Maniscalco è stato sempre un imprenditore particolarmente attento ai nuovi investimenti. Fra il 2000 e il 2002 andava al ristorante con il figlio di Totò Riina, Giuseppe Salvatore, e insieme discutevano di affari. Sono stati arrestati nello stesso blitz ed entrambi condannati (Maniscalco a 4 anni, Riina junior a 8 anni e 10 mesi).

Come Salvuccio Riina, anche Maniscalco si è rifatto una vita. Da rispettabile imprenditore, grazie ai soliti fidati prestanome. Ma la sua attività non è sfuggita agli investigatori del Gico del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Palermo. Ed è scattato un sequestro per il nuovo impero di Maniscalco: otto società che gestiscono due bar, una palestra nella centralissima via Dante, una torrefazione e un’azienda che produce cialde. Sì, adesso la mafia ha il suo espresso. Si poteva bere al “Gran cafè San Domenico”, ma veniva anche imposto ai locali del centro città. Si deve prendere e non si può lasciare l’espresso dei boss, non ci sono margini di trattative, Cosa nostra è tornata ed essere aggressiva. E, intanto, Maniscalco compilava dichiarazioni dei redditi da fame, anche se abitava in una bella casa in centro, con la moglie e le due figlie. Probabilmente, un’altra parte del suo tesoro è ancora al sicuro: “Maniscalco è fra gli autori del grande colpo al Monte dei Pegni di Palermo del 1991, fruttò nove milioni di euro”, ha raccontato l’ultimo pentito di mafia, Vito Galatolo. Quel tesoro non si è mai trovato.

“La via maestra per sconfiggere Cosa nostra è l’aggressione ai patrimoni illeciti”, dice il generale Giancarlo Trotta, comandante provinciale della Guardia di finanza di Palermo. “Dobbiamo rendere più povera l’organizzazione mafiosa. E’ questo il focus delle nostre indagini”. Indagini non facili. “L’organizzazione mafiosa si mimetizza nel tessuto economico legale – spiega il colonnello Francesco Mazzotta, comandante del nucleo di polizia tributaria – punta a sempre nuovi investimenti grazie alla complicità di insospettabili”.

Tutte le attività di Maniscalco erano gestite da insospettabili, perfetti sconosciuti che non hanno mai svolto alcuna professione.

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